di Luigi Copiello – Segretario Generale Fim Veneto
Le grandi riforme nascono “vecchie”. Per fare grandi riforme servono grandi consensi, e questi si realizzano su ciò che già esiste e va sviluppato, piuttosto che su ciò che non esiste ancora e va inventato. Lo “storico” accordo del luglio ’93 rispetta questo vincolo: prende la vecchia esperienza del settore industriale (contratto nazionale e aziendale) e la estende a pubblico impiego, servizi e impresa minore.
Riusciranno i nostri eroi a produrre un “nuovo” storico accordo? Se sì, anche questo prenderà qualche esperienza già collaudata e la estenderà laddove ancora non c’è. Nel caso, potrebbe essere la contrattazione territoriale, già presente in edilizia, commercio, agricoltura ed artigianato, per estenderla ad industria e pubblico impiego. Sempre nulla di nuovo sotto il sole. Ma… il mondo si è messo a correre, ad una velocità che mette in difficoltà in primo luogo la formazione del consenso. Pare ormai che il tempo impiegato a riflettere bene sulle cose da fare, a convincersi e convincere, sia tempo buttato: qualcuno è arrivato prima. Il modello asiatico (dispotismo politico e sviluppo economico) è emblematico. Eppure, noi non abbiamo altri mezzi. A noi toccano i tempi lunghi dei grandi consensi.
Vediamo comunque di non perdere tempo e di produrre almeno qualcosa. E, fermo restando che anche questa riforma sarà “vecchia”, vediamo di aggiungere qualche elemento che le dia più sostanza e più efficacia. In fin dei conti, il mercato è occupato non solo da nuovissimi e sofisticatissimi modelli, ma soprattutto da vecchissimi e maturi prodotti, continuamente aggiornati. Si faccia dunque la contrattazione territoriale, e se ne faccia tanta. Ma si assuma il parametro che è proprio del territorio, non altro. Nel territorio contano poco gli indicatori usati nei contratti nazionali o aziendali: inflazione, redditività produttività, etc..
Nel territorio conta, come indicatore, il mercato del lavoro. Conta la professionalità. Un territorio è ricco se ha molti occupati, ben preparati, oggi per domani. Un territorio è povero se ha pochi occupati, mal preparati, su vecchi saperi. Questi sono i vincoli e le risorse della contrattazione territoriale. La quale dovrebbe saper contrattare e gestire formazione professionale, riqualificazione professionale, certificazione professionale, inquadramento professionale, retribuzione professionale. La cosa dovrebbe andar bene a tutti. Una professione non s’inventa. Anche le professioni sono vecchie: hanno bisogno di lunga scolarità, solido impianto culturale, cospicui investimenti, verifiche costanti, riconoscimenti economici e sociali condivisi. Hanno bisogno di molti padri: nelle famiglie, nelle istituzioni, nelle imprese.
La professionalità sembrerebbe un optional, ma sicuramente ha mercato. L’indagine di Federmeccanica lo conferma clamorosamente. Le aziende hanno erogato il 35% in più di quanto fissato dai due livelli di contrattazione. Chi più, chi meno, la “pioggia” ha inoltre bagnato tutti, operai e impiegati. Qualche sindacalista ha fatto dell’ironia sull’improvvisa ricchezza capitata ai metalmeccanici. Resta che la sua “professionalità” vale ben poco, a vedere i risultati che (non) ha portato a casa. Invece (parole del presidente di Federmeccanica, Calearo), la professionalità di operai e impiegati “andava a ruba” tra azienda e azienda ed ha fruttato quel 35% in più.
Piuttosto, a Federmeccanica, ed altri, vanno fatti due rilievi. Il primo: l’indagine riguarda gli assunti a tempo indeterminato. Il guaio (statistico) è che in poco tempo sono entrati nel mercato del lavoro italiano un milione in più di occupati, a crescita zero. Centomila in più, nel metalmeccanico, a macchina ferma. Giovani, donne, part-time, interinali e terministi (tutti con la Treu, prima della Biagi). Categorie basse, orari ridotti, anzianità zero; ossia: bassi salari. Questi salari, appunto perché, bassi, poco hanno fatto crescere la torta salariale, mentre hanno moltiplicato le fette dei percettori. Ecco spiegata l’altra faccia delle statistiche, quella che racconta l’impoverimento dei salariati.
Il secondo: il presidente Calearo ribadisce di voler negare autorità salariale al sindacato in tema di professionalità. Ampiamente ricambiato, a quanto pare, da un sindacato espertissimo in tema di inflazione (programmata, attesa, percepita, reale, realissima, ….), ma del tutto estraneo a quello che è più proprio del lavoratore: il suo mestiere, le sue capacità, la sua professionalità. E così, vecchie forme di conflitto si perpetuano a dispetto di tutto e di tutti. Non producono nulla ormai, neppure conflitto. Consentono semmai una ripresa del vecchio corporativismo, tra qualche superminimo “rubato” e qualche terminista “buttato” (dopo l’uso). Con un mercato del lavoro diventato ricco di flessibilità quanto povero di professionalità. Con un’autorità salariale che non c’è più, sia nelle imprese che nei contratti.
La speranza, ma anche l’”astuzia”, è che quando tutti saranno costretti al tavolo territoriale dovranno smetterla con i ferri vecchi ed esercitarsi con i nuovi. E’ la storia, spesso, dello sviluppo: interi settori sono nati costruendo accessori e particolari per potenti (e vecchie) aziende madri. Ma hanno poi capovolto le vecchie gerarchie produttive. Auguri.