Per qualche milione di lavoratori dipendenti che avevano deciso di finanziare con la liquidazione la loro pensione integrativa, si apre forse una possibilità: il diritto al ripensamento sull’opzione che avevano a suo tempo esercitato, in forma allora irrevocabile, di destinare il TfrR al proprio fondo previdenziale. Non sarà più irrevocabile, questa scelta. Ma il ripensamento potrà riguardare soltanto i versamenti futuri (flussi) e non lo stock di Tfr accumulato. Inoltre l’esercizio di questo diritto è ammesso per un periodo di tempo limitato.
La novità era nell’aria ai primi segnali della crisi dei mercati finanziari. E’ stata annunciata dal ministro del Lavoro Maurizio Sacconi il 18 giugno scorso in occasione della Relazione annuale della Covip, la commissione che vigila sui fondi pensione. Ed ora i tecnici del ministero stanno lavorando per produrre una bozza da sottoporre alle parti sociali, passaggio concertativo ritenuto pregiudiziale, prima di varare un testo di legge.
Perché si allenta il vincolo sul Tfr? Perché la crisi dei mercati ha prodotto negli ultimi mesi un rendimento negativo dei Fondi, che ha rosicchiato non solo il rendimento che il Tfr avrebbe avuto se fosse rimasto in azienda, ma anche il capitale. Infatti con la destinazione ai fondi il Tfr perde la garanzia del capitale e del rendimento (1,5% fisso più il 75 per cento dell’inflazione), in quanto la sua natura di salario differito si trasforma in quella di capitale di rischio.
Tutti ormai sanno che questo tipo di investimento finanziario a fini previdenziali non si può valutare dalla performance di uno o due anni, trattandosi di un investimento strutturalmente a lungo e lunghissimo termine. Però è comprensibile il disagio di chi oggi vede consumarsi il proprio tesoretto. Un disagio che potrebbe generare sfiducia nel sistema della previdenza “privata”, bloccando l’estensione delle adesioni al resto dei lavoratori del settore privato. L’aumento delle adesioni è già in affanno, specialmente tra le giovani generazioni.
Sono in ballo 5 miliardi l’anno
La questione è abbastanza delicata. Quasi tutti i lavoratori dipendenti che hanno aderito ad un fondo pensione hanno scelto di investire il Tfr. Sono 3,6 milioni se guardiamo a tutte le tipologie di fondi, due milioni se guardiamo ai soli fondi negoziali. Il Tfr di questi lavoratori genera un flusso annuo che nel 2008 è stato di 5 miliardi. E questi 5 miliardi rappresentano la metà (il 46%) del flusso contributivo totale che arriva ai fondi. Il che pone problemi finanziari molto seri. Se tutti quei milioni di lavoratori decidessero di interrompere definitivamente il flusso di risorse rappresentato dal Tfr, l’intero impianto della previdenza integrativa verrebbe strozzato con conseguenze incalcolabili, la loro pensione integrativa andrebbe a farsi benedire. Da qui la necessità di porre limiti al diritto di ripensamento. E proprio su questi limiti, in particolare quelli temporali, il ministero sta lavorando per circoscrivere l’impatto di questa misura. Si potrebbero ammettere al ripensamento lavoratori che versano il Tfr da un certo periodo di tempo. Potrebbero sospendere il flusso solo per alcuni mesi e in poche occasioni.
Concedere la revoca temporanea della destinazione del Tfr ai Fondi, avrebbe la finalità di creare una scialuppa di salvataggio per un minimo di rendimento che rischia di essere travolto dalla tempesta finanziaria. Però anche il Tfr non è esente da rischi. Si tratta del rischio inflazione, come ricorda il commissario Covip Bruno Mangiatordi. Fino a una crescita dei prezzi del 6%, il Tfr guadagna sull’inflazione fino alla conservazione del capitale. Ma basta arrivare con l’indice Istat dei prezzi al consumo a +6,5 per cento, per intaccare il capitale. Con l’inflazione all’8 per cento i prezzi si mangiano sia il rendimento, sia lo 0,5 per cento del Tfr accumulato. Adesso l’inflazione è ai minimi degli ultimi quarant’anni. Ma con le massicce iniezioni di liquidità che i vari Stati stanno operando nel sistema economico, tutti si attendono una fiammata inflazionistica. La trasfusione di base monetaria è a carico del debito pubblico, il cui finanziamento dovrà essere attirato con elevati tassi d’interesse. Inoltre uscire da un investimento finanziario quando si è in perdita è un errore.
Vigilanza e Osservatorio: cautela, la misura potrebbe essere deleteria
Hanno affrontato il tema sia la Covip, sia il Mefop, l’associazione per lo sviluppo dei fondi pensione. Di fronte all’ipotesi di un ripensamento sulla decisione di destinare il Tfr ai Fondi, le due istituzioni hanno raccomandato estrema cautela. L’indicazione è stata di operare soltanto sui versamenti futuri e per periodi limitati a scadenze molto rarefatte. Con una misura che abbia un effetto psicologico più che reale, incoraggiando i lavoratori ad entrare nel sistema e non certo ad uscirne. In una indagine del Mefop sulla platea dei non aderenti, tra le motivazioni che frenavano i lavoratori c’era l’irrevocabilità della scelta. E dunque la valvola di un possibile ripensamento avrebbe potuto incoraggiare l’ingresso nel sistema. Ma sempre entro limiti molto rigidi. Guai a generalizzare, si rischia che il lavoratore esca ogni volta che la borsa va male, consolidando così le perdite. La misura diventerebbe pericolosa per il futuro previdenziale del soggetto, e deleteria per l’intero sistema.
Che cosa ne pensano gli amministratori dei Fondi? Sono quasi tutti molto perplessi, se non contrari a riconoscere agli iscritti la revoca pur temporanea dei versamenti del Tfr ai Fondi. Quelli negoziali si sono organizzati in una associazione, Assofondipensione, e il vicepresidente Domenico Proietti non si dice pregiudizialmente contrario purché il ripensamento sia ammesso molto raramente, al massimo un paio di volte nel corso della vita lavorativa, trattandosi di uno strumento che può diventare dannoso. Il professor Godfried Tappainer presiede a Bolzano PensPlan, una società della regione Trentino Alto Adige creata per la promozione dei Fondi ai quali eroga gratis i servizi gestionali. Una sorta di autorità sui questi fondi regionali, dei quali il maggiore è il Laborfond per i lavoratori dipendenti. Ebbene, Tappainer ritiene che dare questa possibilità adesso, con i mercati in difficoltà, è da evitare: si ammetterebbe la tipica reazione del non professionista che esce dal Fondo, incamera le perdite, perde l’occasione dei mercati che stanno per decollare, ed entra quando i prezzi sono al massimo. La responsabilità di tutelare il risparmio previdenziale non può essere caricato sulle spalle del singolo iscritto, i fondi pensione ci sono proprio per questo.
Contrari gli amministratori dei Fondi
Cometa è il maggior Fondo in assoluto, con quasi mezzo milione di metalmeccanici iscritti e un patrimonio di quasi quattro miliardi di euro. Il suo presidente Fabio Ortolani, ex commissario Covip ritiene che una misura del genere rischia di scardinare la fiducia che i lavoratori hanno sul loro Fondo. Qui, nel pieno della crisi dei mercati, 23.000 lavoratori sono usciti per andare in pensione o cambiare lavoro, ma Cometa ha avuto altrettante nuove adesioni: segno che la crisi non ha provocato il panico. C’è piuttosto un problema di redditi, perché sono state molto elevate le richieste di riscattare il 30% del Tfr versato come la legge consente. C’è il rischio che il Fondo, invece di una istituzione che deve garantire una pensione agli iscritti, diventi un ammortizzatore sociale.
Gianni Ferrante è presidente di Fondapi, al quale aderiscono 45 mila dipendenti delle aziende più piccole, appena il 9% del mezzo milione di addetti alla categoria. Il basso tasso di adesione spiega la difficoltà che questi lavoratori e datori di lavoro hanno nel ritagliarsi un pezzetto di reddito per finanziare il Fondo, e soprattutto metterci l’accantonamento per i il Tfr indispensabile per le spese correnti dell’azienda. Ferrante, in dissenso con il vertice del proprio sindacato di riferimento, la Fiom Cgil, è contrario alla revoca, pur temporanea, dell’opzione Tfr-Fondi perché non dà nessun vantaggio al lavoratore, non in termini di agevolazioni fiscali, non in termini di prestazioni. Invece va salvaguardato il finanziamento ai fondi perché la previdenza complementare è una necessità a fronte di una pensione obbligatoria sempre più bassa, con un tasso di copertura che va verso il 50% dell’ultima retribuzione.
Solidarietà Veneto, 45 mila iscritti, è un altro fondo regionale a suo tempo promosso dalla Cisl locale. Il suo direttore generale Franco Deotti non nasconde il suo scetticismo di fronte ad un diritto al ripensamento sul Tfr. Citando l’intervento del suo presidente Giuseppe Covre in una audizione al Senato, Deotti spiega che con la mobilità dei lavoratori della sua regione, che passano spesso da una azienda all’altra, riscattano tranquillamente il loro ex Tfr e poi decidono se metterlo in un nuovo fondo. Quindi nei fatti già esercitano la facoltà che il diritto al ripensamento concederebbe loro.
In campo sindacale si attendono le proposte del governo. Morena Piccinini, segretario confederale della Cgil, ricorda che il diritto alla revoca dell’opzione era stato richiesto proprio dalla confederazioni, e venne rifiutato concedendo in cambio la possibilità di ritirare liberamente il 30% del Tfr versato, e riscattarlo interamente con la cessazione del rapporto di lavoro. Ora invece la revoca viene riproposta. Se è una opportunità in più, dice la sindacalista, va bene. Non andrebbe bene se dietro alla carota della revoca ci fosse il bastone della riduzione dei diritti acquisti sui riscatti, o peggio ancora l’obbligatorietà di versare il Tfr al Fondo. In campo politico, nessuno si pronuncia ancora. Nell’opposizione Cesare Damiano, responsabile del Dipartimento Lavoro del Pd, aspetta la bozza definitiva e si limita a manifestare una forte perplessità.
Raul Wittenberg
24 luglio 2009
























