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Home - Primo Piano - Tlc, Laura Di Raimondo (Asstel): investimenti, visione e competenze per cambiare il futuro del settore

Tlc, Laura Di Raimondo (Asstel): investimenti, visione e competenze per cambiare il futuro del settore

di Elettra Raffaela Melucci
12 Giugno 2023
in Interviste
Di Raimondo (Asstel): “non ci siamo fermati, e siamo pronti per un futuro migliore”

La Filiera delle telecomunicazioni è al centro di una complicata crisi di sistema che richiede la messa in discussione di logiche e assetti per poter tornare a competere con il mercato internazionale. Intervistata da Il diario del lavoro, il direttore generale di Asstel, Laura Di Raimondo, ha tracciato un profilo completo e puntuale di un settore cruciale per tutto il sistema produttivo italiano, individuando punti deboli e i punti di forza dai quali ripartire per la ricostituzione di solide prospettive future per l’Italia

Qual è il quadro del mercato italiano delle telecomunicazioni?

Il 2022 ci consegna un anno in cui i flussi di cassa sono negativi di circa 4 miliardi causato prevalentemente dal pagamento dell’ultima rata per le licenze 5G. Quindi il settore, che nel 2021 aveva flussi di cassa pari a 1mld e 100, per la prima volta è andato in negativo e questo è un elemento preoccupante. L’invito che noi come associazione abbiamo lanciato al governo è di agire in tempi rapidi con interventi strutturali per promuovere misure che favoriscano lo sviluppo, gli investimenti e offrano prospettive anche alle persone.

Quali sono gli interventi per uscire da questa situazione così complessa?

Come Asstel da tempo abbiamo presentato al governo e alle istituzioni un pacchetto di istanze puntuali e articolate, sia sulla componente industria sia sul lavoro. La richiesta portata avanti, e condivisa anche dai sindacati, è di una nuova politica industriale. Si tratta di interventi che al tempo stesso incidono positivamente su tutto il sistema produttivo italiano, perché il settore delle telecomunicazioni è strategico per la digitalizzazione del Paese.

Di che misure si tratta?

La mitigazione strutturale del costo dell’energia; l’armonizzazione dei limiti elettromagnetici a livello europeo; gli interventi per la riduzione dell’IVA per i servizi di connettività, ispirandosi ai recenti indirizzi europei; l’estensione del beneficio per investimenti in beni strumentali nuovi nel piano Transizione 4.0; un supporto pubblico nella fase di avvio del fondo di solidarietà di settore, costituito con le organizzazioni sindacali in occasione dell’ultimo rinnovo del contratto collettivo. In particolare, il fondo costituisce uno strumento essenziale che potrà contribuire al riequilibrio della Filiera offrendo soluzioni non più emergenziali, ma strutturali nell’ambito dei processi di trasformazione e transizione tecnologica e digitale.

I sindacati condannano il silenzio delle istituzioni parlando di una totale assenza di strategia. Qual è la vostra opinione?

Da parte nostra, in questi anni, abbiamo sempre avuto un confronto di merito con le istituzioni, alle quali chiediamo l’adozione di una politica industriale che guardi all’intera Filiera in chiave strutturale. Sicuramente positivi sono statigli interventi normativi sulle semplificazioni nel decreto Pnrr.

Cosa serve al Paese in questa fase di transizione digitale?

La Filiera delle telecomunicazioni ha un ruolo sociale, industriale ed economico, ma soprattutto sono abilitatori di servizi digitali come il cloud, l’intelligenza artificiale, l’internet delle cose e la cyber security.  In questo contesto le imprese avranno il compito di: affrontare le sfide legate al raggiungimento degli obiettivi di infrastrutturazione digitale del Paese; creare di nuovi modelli di business e un nuovo ecosistema; investire sul capitale umano tramite assunzioni, reskilling e upskilling. Per questo auspichiamo che le Istituzioni locali, nazionali ed europee affianchino la Filiera lungo questa evoluzione.

Lo sciopero nazionale del settore telecomunicazioni di martedì 6 giugno. I sindacati sono preoccupati per le ricadute occupazionali. Qual è la posizione di Asstel?

Come Asstel abbiamo costruito un modello partecipativo, evoluto e dialogante di relazioni industriali e lo dimostrano tutti gli accordi che progressivamente sottoscriviamo.  Per questo, a partire dal settore dei servizi di Customer Care, attraverso una solida rete di relazioni industriali, ispirata a consapevolezza e responsabilità condivisa, vogliamo accompagnare i cambiamenti in atto continuando ad offrire tutto il supporto necessario a favore della nuova occupazione e dell’occupazione esistente, nonché della trasformazione dei modelli organizzativi.

Lavoro e formazione. Quali sono le strategie di Asstel?

Il settore ha un’età anagrafica media di oltre 52 anni. Questo comporta un impegno per sostenere una formazione che definisco “permanente”. Non a caso dal 2020 e fino al 2026, il settore erogherà 5 giornate pro-capite di formazione al 100% della popolazione impiegata, oltre 200mila persone: un piano eccezionale per garantire l’evoluzione delle competenze. Abbiamo mappato 69 competenze “a prova di futuro”, una matrice che identifica le competenze che si intersecano determinando i nuovi mestieri e identificando i fabbisogni della filiera. Un’attività fondamentale su cui siamo impegnati è l’orientamento: nelle scuole, negli ITS, nelle Accademy, nelle università, un buon orientamento porta lavoro di qualità se c’è un dialogo tra le imprese e chi ha la responsabilità di educare i ragazzi. C’è un problema di upskilling, di re-skilling, e questo spiega perché la Filiera delle telecomunicazioni è stata promotrice di strumenti innovativi di politiche attive – come il contratto di espansione e il fondo nuovo competenze. Il tema è governare le transizioni lavorative attraverso la contrattazione di anticipo.

L’Italia sta vivendo una crisi di personale altamente qualificato negli ambiti delle tecnologie.

Fino ad oggi è sempre mancata propensione a investire sulle politiche attive, che rappresentano un elemento fondamentale per accompagnare le persone in un percorso fatto di aggiornamento continuo. Allo stesso modo è sempre più necessario promuovere iniziative di collaborazione, di dialogo, tra il mondo del lavoro e la scuola. Oggi si cominciano a mettere a sistema una serie di azioni, come nel Pnrr con gli ITS, le Accademy, ma anche sui nuovi percorsi universitari che possono rimettere al centro tutte le materie S.T.E.M. Son questi gli strumenti per creare le condizioni ottimali per offrire a lavoratori ed imprese un modello di lavoro che esalti la qualità e conseguentemente prospettive di sviluppo.

Non vi preoccupa la fuga di cervelli?

La grande fuga che c’è in questo momento non è determinata solo dal fattore economico, ma da fattori collaterali a cui le nuove generazioni danno significativo rilievo, come la qualità della vita, l’equilibrio tra vita personale e vita lavorativa, l’ambiente lavorativo, le condizioni, l’organizzazione del lavoro. La Generazione Z pone delle istanze totalmente nuove: ad esempio, spazio e tempo sono diventati due elementi che per noi erano totalmente rigidi, mentre per loro sono elementi duttili. Sia le aziende sia le organizzazioni sindacali devono mettere al centro strumenti nuovi anche nell’ambito della contrattazione di primo e di secondo livello che rispondano a queste nuove esigenze.

Cosa cercano i nuovi ragazzi dal lavoro?

I giovani sono portatori di una logica nuova che, se non seguita, rischia di farceli perdere completamente. I settori ad alta trasformazione tecnologica e organizzativa hanno bisogno di contaminazioni generazionali e di nuovi saperi.

 

Elettra Raffaela Melucci

Elettra Raffaela Melucci

Elettra Raffaela Melucci

Redattrice de Il diario del lavoro

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