Dopo la protesta dello scorso novembre, riapre la vertenza Roma Tpl. Il comune di Roma non ha elargito tutte le risorse necessarie per pagare i dipendenti dell’azienda privata più grande d’europa. Circa 1800 famiglie sono da mesi senza stipendio.
“Nella serata di ieri si è consumata l’ennesima giornata di passione presso la Prefettura di Roma alla presenza del vice-prefetto di Roma, di tutte le aziende della Roma TPL s.c.a.r.l., delle organizzazioni sindacali e di Roma Capitale”. Cosi, in una nota, Francesco Sorrentino, segretario generale della Fit Cisl Lazio. “Con estremo rammarico, nonostante Roma Capitale abbia erogato nei termini dovuti i compensi derivanti dal contratto di servizio alla Roma TPL s.c.a.r.l., ad oggi i dipendenti hanno percepito solo un piccolo acconto sulle retribuzioni relative agli ultimi due mesi, e da più di due anni hanno scoperta la loro posizione Priamo (Fondo Previdenza Complementare). Disagi gravi – continua Sorrentino – che vanno a sommarsi anche ad altre inadempienze relative al mancato trasferimento delle somme trattenute sulle busta paga dei lavoratori verso alcune finanziarie. Per questo – continua la nota – chiediamo con forza a Roma Capitale di mettere un punto ad una situazione catastrofica che si ripercuote sempre e solo sui lavoratori e le loro retribuzioni, mettendo così in forti difficoltà 1800 famiglie. Eppure Roma Tpl s.c.a.r.l. è la più grande azienda privata del TPL Nazionale, e ci meraviglia che una candidata sindaco, visto l’esempio di Roma Tpl, affermi pubblicamente che se le Municipalizzate Romane fossero private funzionerebbero meglio. Invece – conclude il sindacalista – bisogna dire che ATAC Spa, AMA Spa e l’Agenzia Roma Servizi per la Mobilità, sono le uniche che, dopo un forte percorso di risanamento (come in ATAC Spa) o di consolidamento di utile di bilancio, sono stabili: noi siamo e sempre saremo per le Aziende Pubbliche con carattere industriale al servizio dei cittadini e dei romani”.
“Abbiamo assistito ad una partita a poker – commenta Fabiola Bravi, dell’Unione Sindacale di Base – dove gli attori principali, aziende e Roma Capitale, si sono scambiati continuamente il ruolo di carnefice e vittima, dove chi alzava la posta fingeva di avere l’asso nella manica, mentre aveva da offrire solo un due picche.”
“In poche parole – prodegue Bravi – Roma Tpl Scarl appare destinata al fallimento senza le continue iniezioni di liquidità di Roma Capitale. Non bastano neppure i 22 milioni di euro che ieri Roma Capitale ha messo in pagamento a conguaglio delle fatture del 2014 e del 2015 per garantire il pagamento degli stipendi, degli aumenti del rinnovo contrattuale di categoria, dei contributi, dei fondi pensionistici, delle cessioni del quinto, dell’Erg e dei buoni pasto. Ma nel frattempo sempre Roma Capitale dichiara di non poter mettere in pagamento le fatture da gennaio 2016 ad oggi, perché su di esse grava un’azione di pignoramento dalla Breda Menarini per circa 21 milioni di euro e perché necessita di verificare la capienza degli importi, ovvero di calcolarli al netto delle penalità che sistematicamente lo stesso Comune applica al Consorzio per le inadempienze contrattuali riscontrate”.
Osserva la sindacalista USB: “Non vorremmo che la scelta di non recedere dal contratto di servizio da parte di Roma Capitale fosse dettata dalla volontà di rientrare del debito derivante dal contenzioso che Roma Tpl Scarl ha vinto nei confronti di Atac, stimato attorno ai 118 milioni di euro, e che Roma Capitale applichi al Consorzio delle penalità solo per ridurre di molto i crediti maturati con il contratto di servizio”.
“Se queste fossero realmente le intenzioni – sottolinea Bravi – è evidente che il Consorzio non avrà vita lunga e di conseguenza anche i lavoratori. Doppia beffa, quindi, per chi fino ad oggi ha garantito il servizio all’utenza, senza neppure lo stipendio e con il rischio sempre più imminente di ritrovarsi per strada senza un lavoro”.
“Dopo aver assistito per l’ennesima volta ad un lungo braccio di ferro, dove Roma Tpl Scarl e Roma Capitale hanno difeso in prima istanza i propri interessi economici, noncuranti degli effetti devastanti sugli oltre 1.900 lavoratori e le loro famiglie, l’USB ha deciso di abbandonare il tavolo.
È gravissimo che le istituzioni, consapevoli di essere di fronte ad una violazione di un diritto costituzionale, di un disagio sociale e di ordine pubblico, nonché di reiterate violazioni contrattuali, abbiano fatto prevalere gli interessi economici, calpestando senza alcun ritegno la dignità dei lavoratori e degli utenti che pagano per un servizio che non c’è”, conclude Bravi.