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Trentin e la libertà nel lavoro: in un seminario a Roma, dialogo tra Acli e Cgil

Fernando Liuzzi
Luglio26/ 2023

Cominciamo dalla fine. Ovvero dall’ultimo dei numerosi, e qualificati, interventi che, ieri pomeriggio, hanno animato l’appassionato dibattito che si è svolto a Roma, nell’arco di quattro ore, presso la sede nazionale delle Acli.

Diciamo subito che il seminario di cui stiamo parlando, convocato assieme dalla fondazione della Cgil, intitolata a Giuseppe Di Vittorio, e da quella delle Acli, intitolata ad Achille Grandi, andava forse al di là dei temi e dei problemi che possono essere più immediatamente evocati dai nomi dei due grandi sindacalisti appena citati. Il titolo dell’incontro appariva infatti come più filosofico che strettamente sindacale: “La centralità della persona per un rinnovamento delle culture democratiche e del lavoro”.

Perché, dunque, vogliamo partire qui dall’ultimo intervento, quello svolto da Maurizio Landini? Perché Landini è stato l’unico dirigente sindacale attualmente in carica chiamato a dare il suo apporto in un dibattito che è stato animato, oltre che da ex dirigenti sindacali, quali Raffaele Morese (Fim-Cisl) e Francesco Sinopoli (Slc-Cgil), da docenti universitari, parlamentari, giornalisti, e, naturalmente, dirigenti delle Acli, ovvero dirigenti di un’organizzazione (Associazioni cristiane lavoratori italiani) che, certo, di lavoro si occupa, ma non con le responsabilità contrattuali di un’organizzazione sindacale.

Landini ha dunque affrontato due punti. Il primo è quello dell’autonomia sindacale. Qui il leader della Cgil si è rifatto all’esperienza di Bruno Trentin, rievocando un episodio accaduto nei mesi successivi all’autunno caldo del 1969. Un giorno Pierre Carniti, all’epoca alla guida della Fim-Cisl, gli disse che era pronto a sciogliere la sua organizzazione per partecipare alla fondazione di un ancora inesistente sindacato unitario dei metalmeccanici. Al che Trentin, nella veste di segretario generale della Fiom,  si trovò a non poter accogliere tale proposta perché, spiegò, i partiti di sinistra, molto forti nel mondo Cgil, si sarebbero opposti all’idea dello scioglimento della stessa Fiom.

Una ventina di anni dopo, in un contesto politico-sindacale certo molto diverso, lo stesso Trentin, divenuto segretario generale della Cgil, poté invece far approvare dalla stessa Cgil quel Programma fondamentale che sanciva non solo il definitivo superamento delle componenti partitiche della Confederazione, sostituite da aree programmatiche, ma la dotava di un proprio più ampio orizzonte strategico.

Ebbene, Landini ha sottolineato che per lui è “particolarmente significativa” l’idea di un sindacato che fonda la sua autonomia su un programma da costruire assieme “alle persone che vuole rappresentare”. Un progetto sociale che deve avere al suo centro “la persona che lavora”.

Secondo punto. Sempre secondo un Landini che intende rifarsi all’insegnamento di Bruno Trentin, una delle cause della crisi della sinistra sta nel fatto che nessuna delle sue varie articolazioni politico-partitiche – comunista, socialista o socialdemocratica – ha posto al centro del suo pensiero e della sua iniziativa la problematica della “libertà nel lavoro”, e quindi di un cambiamento del modello produttivo, ma si è, per così dire, accontentata di “un’idea di redistribuzione”.

Anche con forze politiche “di sinistra” al potere, il taylorismo è rimasto lì, mentre non si è creato un nuovo modello di impresa. Per cui, il cittadino lavoratore ha acquisito la libertà di votare il giorno delle elezioni, ma non è poi libero nel luogo di lavoro. Mentre, sempre secondo Landini, non basta rivendicare un salario dignitoso e un orario dignitoso, quanto piuttosto occorre prima chiedersi “cosa faccio e come lo faccio”, e poi discuterne. In altre parole: “Occorre andare oltre la funzione redistributiva”, ponendo la questione di “cosa produrre, come produrlo e con quale sistema di relazioni produrlo”.

Venendo a questioni di più stringente attualità, Landini ha anche detto che, per lui, “non deve essere la legge a fare il salario minimo. Lo deve fare la contrattazione”, a partire dai contratti nazionali da più lungo tempo non rinnovati. Mentre la prima risposta da dare alla crisi della politica, evidenziata dal fatto che “metà degli elettori non votano”, è quella di dire che occorre “riformare la legge elettorale”. Ma ce n’è anche per il sindacato che “deve ripensare il proprio modello”, allargandosi a includere figure diverse.

Concludendo: per Landini occorre tornare ad assumere come riferimento “valori e termini della Costituzione”.

Ora, ci si potrà chiedere: perché, in questo intervento di Landini, tanti riferimenti all’opera e al pensiero di Trentin, piuttosto che a quelli di altri fra i massimi dirigenti della Cgil?

La risposta è semplice. Il fatto è che il seminario di cui stiamo parlando, e che, secondo quanto affermato da Emiliano Manfredonia, il giovane Presidente nazionale delle Acli, è stato “pensato” da Claudio Sardo (fra le altre cose, ex direttore de l’Unità), è stato aperto da due corpose relazioni. La prima, tenuta da Sante Cruciani, docente all’Università della Tuscia, era dedicata, appunto, a “Bruno Trentin, la sinistra e il personalismo fra trasformazione del lavoro e integrazione europea”. Mentre la seconda, svolta da Marialuisa-Lucia Sergio (Università di Roma Tre), era così intitolata: “David Sassoli, il personalismo come antidoto alle chiusure nazionaliste e leva di nuove politiche sociali”.

Pare insomma di poter capire che nella mente di chi ha progettato questo complesso seminario, oltre alla volontà di mettere in luce quali punti di contatto vi siano oggi fra due organizzazioni così diverse per natura e storia come le Acli e la Cgil, vi fosse anche la volontà di sondare se l’eredità del personalismo cristiano non possa costituire un terreno su cui poggiare questi punti di contatto. Scommettendo sull’ipotesi che un confronto tra il pensiero e l’opera di due uomini di sinistra come Trentin e Sassoli possa aiutare a gettare luce su tale sentiero di ricerca.

Tema difficile che, lo confessiamo, esula dalle competenze di chi scrive. A questo proposito, ci permettiamo solo di avanzare una paio di interrogativi. Primo interrogativo. Secondo noi, una cosa è dire che il personalismo comunitario di Emmanuel Mounier può aver influenzato la cultura etico-politica della sinistra sindacale cattolica, e aver quindi giocato un ruolo storico, ad esempio, nell’avvicinamento, già sopra ricordato, fra il cattolico Pierre Carniti e il marxista critico Bruno Trentin. Altra cosa sarebbe dire che Mounier ha influenzato la formazione del pensiero dello stesso Trentin. Altra cosa ancora sarebbe affermare che, oggi, l’eredità di Mounier possa aiutare sindacati e partiti di sinistra a trovare nuove strade in un mondo sempre più complesso e in via di sempre più rapidi cambiamenti.

Secondo interrogativo: chi ha avuto maggiore e più duratura influenza su Bruno Trentin: Marx o Keynes? Emmanuel Mounier o Carlo Rosselli? Silvio Trentin (l’intellettuale azionista padre di Bruno) o Giuseppe Di Vittorio? Oppure, ancora, Jacques Delors? Difficile dire. Anche se il titolo del suo ultimo libro, La libertà viene prima (2004), lascia pensare che il peso del pensiero di Rosselli e, comunque, dell’elaborazione di “Giustizia e Libertà, non sia stato secondario.

Ma, ritornando dai cieli della teoria al terreno dell’attualità, oltre che a quello della storia, si possono fare un paio di  notazioni finali.

La prima: stando alle parole di Manfredonia, è apparso chiaro che rispetto a decisivi problemi posti dall’attualità politica, come quelli che vanno dalla lotta contro il progetto leghista dell’autonomia differenziata, alle questioni della sanità e a quelle del contrasto all’inquinamento da gas serra, Acli e Cgil sono davvero molto vicine.

La seconda: ancora Manfredonia ha citato un episodio storico veramente significativo. Ai primi di novembre del 1957, a Firenze era in corso il Congresso nazionale delle Acli. Quando giunse la notizia della morte del leader della Cgil, Giuseppe Di Vittorio, gli Aclisti, nonostante gli aspri scontri che, all’epoca, tenevano diviso il mondo cattolico da quello “socialcomunista”, si alzarono subito in piedi. E ci fu anche un monsignore che recitò una preghiera per Di Vittorio. Il quale, però, essendo comunista, cioè iscritto al Pci, era ufficialmente scomunicato. Tanto che, nel mondo cattolico, ci fu chi poi criticò quella preghiera.

Storie di un’epoca che, ormai, ci appare molto lontana. Personalismo a parte, certe distanze si presentano come, ormai, del tutto superate.

@Fernando_Liuzzi

Fernando Liuzzi