L’Unione europea è unita nel ritenere che bisogna agire per aumentare la presenza delle donne nei consigli d’amministrazione delle società europee, ma l’ipotesi di imporre a livello Ue quote rosa obbligatorie accoglie tiepidi consensi.
Intanto però solo 23 società europee, tra le quotate in Borsa, hanno sottoscritto l’impegno volontario a portare la quota delle donne nei consigli d’amministrazione al 30% entro il 2015 e al 40% entro il 2020, lanciato dalla Ue quasi un anno fa. Lo ha riferito la commissaria alla giustizia Viviane Reding, all’audizione pubblica al Consiglio lavoro a Bruxelles, che vuole invertire la tendenza. Nella Ue, solo il 12% dei membri nei Cda delle più grandi imprese quotate sono donne e solo il 3% sono ad.
“È un enorme spreco di talento”, ha detto Reding, auspicando che l’impegno volontario lanciato lo scorso 8 marzo faccia “nuovi progressi” nelle prossime settimane.
La media europea del 12% di presenza rosa è il frutto di dati molto diversi da un paese all’altro: si va dal 26% di donne nei consigli d’amministrazione di aziende svedesi o finlandesi al 2% di Malta. Bassa anche la percentuale in Italia, quartultima della lista Ue, dopo Portogallo e Grecia e prima solo di Cipro, Lussemburgo e Malta.
“Alcuni paesi sono contrari, altri le vorrebbero, altri pensano ad azioni nazionali: c’è tutta una gamma di opinioni”, ha riferito la commissaria alla giustizia Viviane Reding. “La cosa importante è che c’è unanimità sul fatto che l’assenza di donne nei vertici decisionali è molto negativa e quindi c’è unanimità sull’esigenza di agire”.
Durante il dibattito pubblico, pochi paesi (Francia, Austria e Italia) si sono dichiarati a favore di azioni vincolanti, mentre la maggioranza (incluso Gran Bretagna, Slovacchia, Lituania e Lettonia) si è pronunciata contro quote rosa obbligatorie. (FRN)

























