Negli Stati Uniti Barach Obama alza in maniera sostanziale il salario dei lavoratori di tutte le aziende che hanno rapporti con l’Amministrazione federale. In Italia la Electrolux minaccia di abbassare il salario dei lavoratori delle sue aziende. Destini diversi dei due paesi. Nel primo il Pil sale più del 3% l’anno, da noi si stenta di arrivare al +1%. Il gesto del presidente degli Stati Uniti ha certamente un forte sapore elettorale, perché a novembre si vota per rinnovare tutta la Camera, un terzo del Senato e tanti governatori, ma le motivazioni espresse parlano un altro linguaggio. “Nella nazione più ricca del mondo, ha detto il presidente, non è ammissibile che un lavoratore dipendente non guadagni abbastanza per vivere”. E per questo con un provvedimento immediatamente esecutivo ha alzato il salario di quei lavoratori da un minimo di 7,25 a 10,10 dollari l’ora. Una legge avrebbe fatto di più, avrebbe interessato 17 milioni di lavoratori, ma la destra non è d’accordo, avrebbe votato contro. Quindi un primo passo, ma importante proprio per le considerazioni che hanno accompagnato questa decisione. “I profitti delle imprese, ha detto Obama, non sono mai stati così alti, la Borsa ha raddoppiato i suoi indici da quando sono diventato presidente, e nel mezzo di questa ripresa americana troppi lavorano più di prima ma non riescono ad arrivare a fine mese, le retribuzioni medie rimangono ferme, l’ineguaglianza peggiora, la mobilità sociale verso l’alto si è fermata”.
Differenze abissali con il nostro paese, ma è un dato di fatto che gli Stati Uniti hanno saputo risolvere i loro problemi e adesso il tasso di disoccupazione americano è in forte calo: era all’11% adesso è al 6,7%, la metà del nostro paese. Noi italiani siamo invece costretti a fronteggiare le richieste di Electrolux che pensa di abbandonare l’Italia, certamente di chiudere il grande stabilimento di Porcia e per mantenere una qualche produzione in Italia chiede una forte riduzione dei salari, nonostante nel nostro paese davvero tanta gente, sempre di più, non riesce ad arrivare alla fine del mese, tanti nemmeno alla metà. La contrapposizione tra sindacati e azienda è fortissima, tutti si sono mobilitati, ma non sarà facile trovare una soluzione che riesca a salvare la produzione, soprattutto quella dello stabilimento di Porcia, una volta il fiore all’occhiello di quell’azienda. Si spera qualcosa dalla discesa nell’agone di Enrico Letta, ma è difficile che il presidente del Consiglio riesca a compiere questo miracolo. Pesano anni e anni di mancata politica industriale, di disattenzione nei confronti delle esigenze aziendali, di disinteresse nei confronti delle ragioni dell’economia, soprattutto in epoca di globalizzazione.
E proprio per questo acquista invece valore la proposta che proprio in materia di investimenti e rilancio economico di una regione hanno avanzato in questi giorni gli industriali di Pordenone che hanno pensato che con opportuni interventi e anche sacrifici sia possibile restituire all’area della loro provincia, una volta così ricca, la capacità di attirare capitali esteri, ma anche quelli nazionali, grazie a una serie di interventi. Tra le altre cose hanno proposto anche un intervento massiccio nei confronti del salario, sia pure limitandosi a limare i superminimi accumulati in queste terre negli anni dell’abbondanza. Sacrifici duri, comunque, ma sopportabili perché inseriti in un piano complessivo dove questi sacrifici potrebbero essere almeno in gran parte essere compensati con un welfare integrativo molto ricco, in grado di sgravare le famiglie da una serie di spese altrimenti impossibili da sostenere. Se si offrono ai lavoratori interventi per aumentare la loro pensione integrativa, un sistema sanitario integrativo, se si danno buoni mensa e ticket restaurant, se si contribuisce ad alleviare il costo dei trasporti collettivi, si forniscono aiuti per la cura delle persone anziane, se si allestiscono asili nido, si fornisce un aiuto vero alle famiglie, che vengono sgravate di spese importanti, che spesso fanno la differenza.
Ma la proposta della Confindustria di Pordenone è importante anche per un altro motivo, perché sottolinea la necessità di una politica industriale, che punti a una ripresa generale dell’attività produttiva e non si limiti a un taglio del costo del lavoro, utile quando si vogliono pareggiare i conti, ma di breve respiro se si vuole guardare più in là, alla competitività di un territorio, alla sua capacità di riattivare sistemi produttivi caduti in difficoltà. Quello che conta è la prospettiva, se si chiedono sacrifici, si deve dare anche una prospettiva di crescita generale, chi è chiamato a pagare un prezzo deve sapere che questo consentirà di avere in un domani qualcosa di forte, forse non la soluzione di tutti i problemi, ma una crescita generale del territorio di cui tutti finirebbero per godere.