Uliano Stendardi – Segretario generale aggiunto Fai Cisl
Dopo un primo incontro “di guerra”, tenutosi a poche ore dallo scoppio del conflitto iracheno, il negoziato per il rinnovo del contratto degli alimentaristi è entrato, finalmente, nel vivo con gli incontri del 3 e 10 aprile. Il 20 marzo le parti, infatti, avevano preferito, in considerazione della drammaticità degli eventi appena scatenatisi, limitarsi all’apertura formale del tavolo rinviando il merito ad incontri successivi. Resta comunque il valore politico di un’apertura immediata del negoziato a ridosso della presentazione della piattaforma.
E’ in gioco, con questo rinnovo, la possibilità di un ulteriore salto di qualità rispetto ad una già positiva storia contrattuale: dieci anni di rinnovi entro i termini, senza conflittualità e con contenuti innovativi. Quello del 1999 era stato un contratto di svolta, con la ridefinizione del ruolo del contratto nazionale, sempre più centro regolatore del sistema di relazioni e sempre meno centro di costo a favore di uno sviluppo, in qualità e quantità, della contrattazione di secondo livello.
Si tratta, ora, di segnare un ulteriore passo avanti sulla strada di una logica di sistema in cui i singoli eventi negoziali (dal contratto nazionale stesso, agli accordi aziendali e di gruppo o territoriali dove esistono) non siano momenti a sé stanti, ma tra loro correlati e coerenti, ed in grado di mettere le parti a confronto non solo sulla negoziazione di materie contrattuali ma anche su politiche industriali e settoriali, sugli scenari di competitività, sui temi della qualità e della sicurezza alimentare, sulla valorizzazione del lavoro e la promozione dell’occupazione.
La recente proposta di riforma della Pac, la politica agricola comunitaria, presentata dal commissario Fischler e la riapertura del “Tavolo verde” a livello nazionale rappresentano per tutti gli attori sociali dell’intera filiera agro-alimentare-ambientale-industriale un vero banco di prova per misurare le volontà e le capacità per concorrere a dare a questo settore la valenza strategica che merita a livello nazionale ed europeo.
Il contratto nazionale come centro regolatore del sistema deve avere la potestà e gli strumenti per organizzare, con adeguati strumenti e metodologie, i vari momenti di confronto rendendoli strutturali e non più episodici. Vanno in questa direzione le proposte di piattaforma tese a potenziare il ruolo dell’Osservatorio nazionale di settore e ad articolarlo in più sezioni di attività, prevedendo anche la possibilità di iniziative comuni sul campo della formazione e della ricerca.
Su questa impostazione nell’incontro del 3 aprile è stata illustrata la piattaforma, mentre da parte di Federalimentare è stata presentata la situazione del settore. Un settore in buona salute, che conferma le proprie caratteristiche “anticicliche”: nel 2002 la produzione ha segnato un + 1,6% a fronte del – 2,5% medio del resto dell’industria. L’alimentare si pone come terzo pilastro del manifatturiero, con 7000 aziende con oltre 9 dipendenti che danno lavoro a 270.000 addetti e fattura 93 miliardi di euro rappresentando l’11% dell’intera industria manifatturiera. Positivo anche l’andamento dell’export con 13,9 milioni di euro pari ad un + 6,6%; contro un’import di 11,5.
Ma è sulla redditività che si leva il grido di dolore dell’industria alimentare italiana (non a caso in sede di apertura del rinnovo contrattuale).La pressione della grande distribuzione, i maggiori investimenti per garantire la sicurezza delle produzioni e per penetrare nei mercati internazionali hanno fatto crescere volumi e fatturati ma hanno compresso i margini di guadagno. E così la redditività media è passata dall’1,7% allo 0,9%, mentre l’export è penalizzato dalla supervalutazione dell’euro e richiede ulteriori sforzi finanziari. A ciò si aggiungono le incognite derivanti dai possibili effetti della riforma della Pac, o dei negoziati del Wto e della guerra in atto. La Federalimentare paventa il rischio di delocalizzazioni se il rapporto con le materie prime dovesse diventare difficile o troppo costoso.
Rispetto a questo scenario l’industria alimentare italiana si dichiara prossima ad un punto critico ed identifica la piattaforma sindacale “articolata e complessa”, come poco attenta ai problemi di competitività e scarsamente coerente col protocollo del luglio ’93.
Dopo gli scenari che hanno caratterizzato l’incontro del 3 aprile, in quello successivo (del 10 aprile) Federalimentare ha presentato una prima risposta sui vari punti della piattaforma: non ci sono pregiudiziali, ma vengono identificati alcuni punti particolarmente difficili.
1. La contrattazione territoriale modifica l’attuale struttura della contrattazione e richiede benestare a livello confederale.
2. L’inquadramento, stante le caratteristiche del settore, mal si presta ad una revisione centralistica ed inoltre comporta ricadute di costo difficilmente prevedibili.
3. Sul capitolo mercato del lavoro e terziarizzazioni, la piattaforma tende a limitare flessibilità di cui l’industria ha sempre più bisogno ed inoltre è in controtendenza rispetto agli orientamenti del governo.
4. Sul fondo sanitario ci sono seri dubbi di fattibilità ed inoltre è un ulteriore fattore di costo.
5. Dulcis in fundo, la richiesta salariare viene giudicata incompatibile con i costi globali della piattaforma e del tutto al di fuori dei canoni previsti dall’accordo del luglio ’93.
Ma accanto a questi punti, particolarmente sottolineati, si è registrato un atteggiamento di chiusura generalizzata nei confronti della piattaforma con una tendenza a rifiutare il negoziato su tutte le questioni su cui sono aperti possibili percorsi legislativi ed a posporre la trattativa ad interventi legislativi avvenuti.
Partenza difficile dunque, ma il negoziato continua. Per approfondire i contenuti di ogni singolo punto si è convenuto un lungo ed articolato calendario di incontri tecnici e di gruppi di lavoro che dovranno sfociare in un nuovo incontro a delegazioni plenarie intorno alla metà di maggio, in cui fare il punto politico della situazione. Come notazione finale su questo avvio di rinnovo vale la pena di ricordare come rischino di pesare anche altri elementi “di contorno”: le difficoltà su altri tavoli contrattuali, le posizioni di chiusura di Confindustria (presente al tavolo). Finora l’impostazione unitaria di Fai, Flai e Uila è stata un elemento di valore aggiunto (apprezzato anche da Federalimentare). Occorre continuare così ed affermare, anche, l’autonomia del tavolo contrattuale da ogni interferenza esterna. Se si guarda alle caratteristiche del settore, il negoziato, per quanto difficile, ha dei parametri oggettivi di riferimento; se si guarda altrove la strada, oltre che in salita, diventa sconosciuta.