di Mario Vigna – segretario generale Anqui
E’ trascorso ormai un anno da quando la Ccgil si alzò dal tavolo del negoziato sulla riforma della contrattazione attivato su proposta dell’allora neo presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo. Le ragioni che, a suo dire, indussero la Ccgil a rifiutare il confronto risiedevano nella mancanza di una posizione unitaria tra le confederazioni sindacali su una materia, invero decisiva, per il ruolo del sindacato.
Nonostante la costituzione di commissioni di lavoro unitarie, le maggiori confederazioni non sono state ancora in grado di elaborare una posizione comune non solo sulle linee strategiche su cui deve incamminarsi la riforma della contrattazione ma anche, più semplicemente, sulle revisione tecnica degli strumenti negoziali. Contemporaneamente, il malcelato tentativo di realizzare di fatto uno spezzone importante di novità contrattuali attraverso la gestione del rinnovo intermedio del contratto dei metalmeccanici mostra tutta la sua avventatezza.
Infatti, a sette mesi dalla scadenza naturale del biennio economico non solo non si intravede il barlume di qualche novità sull’assetto strutturale del contratto nazionale, ma resta di difficilissima realizzazione anche il semplice adeguamento delle retribuzioni dei lavoratori metalmeccanici all’inflazione. Nel frattempo il quadro generale dell’economia e lo stato dei rapporti sociali, in questo ultimo anno, si è ulteriormente deteriorato delineando, soprattutto per i settori produttivi soggetti alla concorrenza internazionale, una situazione caratterizzata più nel segno dell’emergenza che della programmazione per il futuro.
In questo scenario, certamente non esaltante, il congresso della Cisl ha formalizzato alcune interessanti prese di posizione sulla riforma della contrattazione, che sembrano in grado di rimettere in moto un meccanismo ormai incagliato nei veti di organizzazione e nelle reciproche riserve mentali. Questa organizzazione, innanzi tutto, ha indicato nella riforma della contrattazione la principale priorità della sua iniziativa, dichiarando la sua disponibilità a procedere in questa direzione anche in un contesto non unitario, qualora entro il prossimo mese di ottobre, non si raggiunga una posizione comune con Cigl e con Uil.
Essa, inoltre, ha dato inizio ad una operazione verità sui reali obiettivi a cui la riforma della contrattazione dovrebbe tendere, indicando, contemporaneamente, nella definizione di una nuova stagione di concertazione, definita con il termine leggera,la cornice dentro la quale inserire le novità da introdurre nel sistema contrattuale, dichiarando ormai superato l’accordo del luglio 1993. Ma alla Cisl, soprattutto, va riconosciuto il coraggio di aver voluto, per la prima volta, precisare che, se si vuole realmente valorizzare la contrattazione articolata, aziendale o territoriale, per ridistribuire sul lavoro parte della produttività realizzata, è necessario alleggerire il ruolo ed il peso dei contratti nazionali di categoria che, tra l’altro, devono essere ridotti nel loro pletorico numero attraverso opportuni accorpamenti categoriali.
Per quanto ci riguarda queste recentissime prese di posizione non sono una novità e, quindi, non ci colgono di sorpresa. Anzi, in queste indicazioni riconosciamo, finalmente, molte delle prese di posizione che l’Anqui, anche attraverso la Cuq, Confederazione unitaria dei quadri a cui aderisce, ha proposto al dibattito delle parti sociali da molti mesi a questa parte. Partendo dalla improcrastinabile necessità di affrontare con immediatezza la situazione ogni giorno più difficile dei settori produttivi del nostro Paese, la nostra organizzazione ha messo in evidenza l’assoluta necessità di mettere in campo un concreto sforzo comune di tutte le componenti della società italiana, dando vita ad una nuova, lunga stagione di contrattazione che possa avvalersi di una rinnovata politica dei redditi sia finalizzata allo sviluppo, alla innovazione, alla ricerca, insieme alla difesa dei redditi dei lavoratori.
Solo dentro questo contesto è possibile ipotizzare una riforma della contrattazione che sia coerente con questa strategia di lungo periodo. Infatti resta difficile capire come, diversamente, possano essere conciliate, anche solo sul piano tecnico, le premesse contrapposte da cui partono Confindustria e confederazioni sindacali per ritenere necessaria la modifica degli assetti attuali. Resta, inoltre, difficile immaginare come, senza un obbiettivo strategico alto e di grande valore politico possano essere ricondotte ad unità le varie e diversissime posizioni che sono state consentite dalla scarsa determinazione a procedere sulla riforma e dal prolungamento dell’agonia degli accordi del ‘93.
Per quanto ci riguarda, intendiamo ancora una volta sottolineare come, nell’ambito della riforma della contrattazione, non possa essere sottovalutata la necessità di porre mano, una volta per tutte, alla questione della rappresentatività dei titolari della contrattazione. E questo non solamente per rendere possibile quello che noi dell’Anqui abbiamo riassunto nello slogan: nuova contrattazione che coinvolga nuovi soggetti per affrontare, in modo innovativo, nuovi contenuti negoziali e le nuove necessità che emergono nel mondo del lavoro e nelle professioni. Quella della rappresentanza negoziale negata a soggetti veramente rappresentativi delle diverse realtà del mondo del lavoro è, infatti, una delle cause non secondarie che hanno determinato la crisi del tradizionale modello contrattuale che i tradizionali titolari della contrattazione collettiva si sono ostinati ad esercitare, a dispetto dei cambiamenti avvenuti nel corpo sociale del Paese. Per quanto ci riguarda, dunque, come associazione siamo pronti a rispondere positivamente alle sollecitazioni che continuano a giungere dalla Confindustria, ultime quelle ribadite da vicepresidente Bombassei, per riaprire il confronto, senza pregiudiziali e con senso di responsabilità, sui problemi del Paese.
Certo, però, anche sulle migliori intenzioni delle parti sociali incombe un dubbio ed una difficoltà. Esse, nell’ambito della loro disponibilità e responsabilità, se veramente vorranno, potranno fare un significativo percorso comune sulla riforma della contrattazione. Ma la concertazione è un esercizio che non può avere due soli protagonisti. Affinché sia effettiva è necessario un terzo interlocutore, il Governo, che ha il compito e la responsabilità di proporre, di garantire, di fare la propria parte sia sul piano delle politiche dello sviluppo che su quelle della tutela del reddito. Il dubbio, dunque, risiede nella volontà, nella capacità, nella possibilità che in un contesto politico di fine legislatura il quadro politico complessivo sia in grado di farsi carico di una responsabilità così grande.
L’auspicio che l’Anqui si sente di esprimere è che un argomento così importante per l’intero Paese possa essere affrontato da maggioranza e da opposizione al di fuori dalla competizione politica e dalle convenienze del momento.