L’ipotesi di un patto sociale separato torna a circolare concretamente. Daniela Fumarola, nel chiudere il congresso della Cisl, è stata ancora più precisa di quanto non avesse fatto nella relazione di apertura. Il grande accordo riformista a suo avviso non è un’opzione, è una necessità per aiutare la crescita e cementare la coesione sociale. E allora va fatto velocemente, e se qualcuno non ci sta si va avanti lo stesso. Nel caso specifico anche senza la Cgil, dal momento che Maurizio Landini non ha esitato a respingere l’offerta di stringere questa nuova alleanza. Anche se va aggiunto che nel documento finale dell’Assemblea Cgil si definisce ‘’importante’’ il confronto appena riavviato con la Confindustria e con Cisl e Uil, precisandone l’agenda. Ma quanto al confronto col governo è tutto un altro discorso. Con la segretaria generale della Cisl, per dire, ci sta certamente Giorgia Meloni. La premier è stata precisa nello schierarsi con la Cisl e certo non ha problemi a lasciare da parte una Cgil che non le è mai stata amica, anzi ha combattuto questo governo con forza.
Il quadro però non è completo, mancano ancora alcune tessere molto rilevanti per la completezza del mosaico. Non si sa bene cosa farà la Uil. Pier Paolo Bombardieri, il segretario generale, a differenza del suo omologo della Cgil, non ha chiuso la porta alla proposta del Patto. La mia confederazione, ha detto, non è contraria a un grande patto riformista, ma la via è lunga e difficile perché gli ostacoli sono tanti e non è possibile aggirarli, è necessario abbatterli. È quindi possibile che la Uil partecipi a questo confronto, anche se non si sa come andrà a finire. Più complessa la posizione della Confindustria, perché Emanuele Orsini, il presidente, è certamente favorevole a un nuovo patto sociale, ma può essere che l’assenza della Cgil induca gli industriali a frenare gli entusiasmi. E senza di loro un grande patto sociale nascerebbe zoppo, senza un protagonista fondamentale.
Ma è sicuro poi che la Cgil non partecipi a questo confronto negoziale? Tutto farebbe credere che sia proprio così, perché le parole di Landini sono state chiare, la sua irritazione evidente. Ma il dubbio resta, perché da questa trattativa la Cgil potrebbe riuscire a portare a casa un via libera per una legge sulla rappresentanza, obiettivo per questa confederazione molto importante. La Cisl è fortemente contraria a una legge, ritiene che il Parlamento e in generale la politica non debbano legiferare su temi di stretta competenza delle parti sociali e che la via da seguire sia solo quella negoziale. Il punto è che un accordo sulla rappresentanza c’è già stato, molto preciso e universalmente accettato, ma poi non ha funzionato, peggio, non è mai stato possibile applicarlo. Forse allora non è escluso che la Cisl, nel corso di un negoziato ampio e articolato, accetti una legge su questo tema controverso.
Ma questa è fantascienza. Per il momento c’è solo la determinazione della Cisl ad andare avanti con il governo e con chi ci sta. Il che significa arrivare a un accordo separato. Che in quanto tale non piace a nessuno. O meglio, non piace a tanti. Il ricordo va a vecchi accordi separati. Il più vicino è quello del 2009. Anche in quel caso si stava trattando un nuovo sistema di contrattazione e di regolazione della rappresentanza. Il confronto era in corso da tempo, ma la Cgil non si decideva a compiere l’ultimo passo. Fu Emma Marcegaglia, la presidente degli industriali, a prendere la decisione, sostenuta dal governo guidato da Silvio Berlusconi. Ma la strada era tutta in salita perché erano in scadenza i grandi contratti nazionali di lavoro dell’industria e sarebbe stato molto difficile chiudere quelle vertenze senza la Cgil. Finì che le categorie dell’industria, tranne gli irriducibili metalmeccanici, finirono per trovare accordi che non accettavano e non rinnegavano l’accordo interconfederale, che pure in termini salariali dettava delle regole molto rigide. Si fece finta di niente, si fissarono degli aumenti salariali che per alcuni rispettavano gli accordi, per altri no. Prevalse il buon senso, ma il patto sociale perse la sua forza.
E non andò bene nemmeno nel 1984/85, dopo l’accordo, anche questo separato, sulla scala mobile e il referendum che fu fatto successivamente. La Cisl, che aveva fortemente voluto quell’accordo e che aveva vinto la prova referendaria, ma in generale tutto il sindacato, si ritrovò diviso e debole, soprattutto perché avevano dato troppo spazio di manovra alla politica. Servirono anni per recuperare la forza e l’autorità di una volta.
Forse proprio il ricordo di questi precedenti, ma l’elenco potrebbe continuare, dovrebbe spingere le parti sociali ad attenuare lo slancio emotivo. Un accordo separato rompe gli immobilismi e consente spazio di manovra. Ma il gioco è molto difficile, gli equilibri complessi da mantenere.
Massimo Mascini