Si sta purtroppo verificando l’avvitamento delle relazioni industriali e dei rapporti interconfederali che tutti temevamo. Perché questo è l’effetto scontato del fatto che Guglielmo Epifani abbia mandato a picco la trattativa avviata con Confindustria e messo in crisi i rapporti unitari, che già traballavano dopo l’anomala conclusione della vertenza Alitalia. Che quello del segretario generale di Cgil sia stato un vero e proprio altolà, è fuori dubbio. E’ vero che la trattativa continua, ma una presa di posizione così dura, in un momento così topico delle relazioni industriali non è un accorgimento negoziale, non è un prendere tempo per verificare la compattezza delle posizioni avversarie.
Se Epifani dichiara sostanzialmente chiusa la trattativa con Confindustria, e parallelamente chiede l’allargamento del tavolo alle altre sigle sindacali e al Governo, è evidente che non sta cercando di imprimere una direzione diversa al negoziato in corso, ma che vuole aprirne un altro, però molto più difficile di quello che abbandona. Trovare un accordo con Confindustria poteva essere esercizio complesso, ma ancora possibile.
Si poteva pensare di portare avanti questo negoziato e quelli con le altre confederazioni, e poi al momento della stretta collegarli tutti imbarcando anche il Governo e cercare un accordo, sofferto, ma non disperato. Ma chiamare tutti a un maxitavolo significa solo andare incontro a un naufragio annunciato. Le esperienze di concertazioni di anni passati insegnano che quando si è troppi al tavolo non si conclude nulla. Forse allora sarebbe stato più comprensibile se Epifani avesse deciso di continuare con la sola Confindustria, tenendo però le proprie posizioni molto rigide e verificare dove si poteva arrivare. Così invece tutto sembra destinato a fallire, nonostante gli altri negoziati stiano andando intanto avanti, specie quello degli artigiani.
Il fallimento di questo negoziato comunque non interromperà le relazioni industriali, che proseguiranno come sempre, zoppicando a qualche tavolo, come quello dei meccanici, andando spedito in altre categorie. Il punto è che l’unità sindacale come l’abbiamo vissuta in questi ultimi anni è destinata a cadere. Cisl e Uil si limitano per il momento a scuotere il capo davanti alle prese di posizione di Epifani, come non capissero, ma è evidente che qualsiasi collaborazione è destinata a cadere. Tutto il fronte sindacale si indebolirà e le trattative, quale che sia il tavolo aperto, saranno più difficili. Né è da pensare che Confindustria, Cisl e Uil vadano avanti da soli con un accordo separato. Di tali accordi se ne fanno tanti, continuamente. Ma una cosa è chiudere senza una sigla sindacale un rinnovo contrattuale di una categoria, un’altra scrivere da soli le regole che debbono valere per tutti. Quelle devono essere scritte da tutti assieme, altrimenti non servono a nulla. Bisognerà quindi rassegnarsi a rapporti sindacali difficili, che non potranno non peggiorare anche dentro le aziende. A pagare un prezzo alto saranno i diritti dei lavoratori, perché è con la contrattazione che questi vengono conquistati prima e difesi poi. Soprattutto il pericolo è che cada l’impegno del Governo per la defiscalizzazione del salario d’impresa. Il ministro Sacconi lo ha già detto, che si trattava di una sperimentazione e che poteva andare avanti solo in presenza di un accordo generale.
Massimo Mascini
30 settembre 2008



























