Nel Festival del Management, tenutosi quest’anno a Napoli, è stato ancora una volta posto l’accento sulla crescente esigenza da parte delle PMI italiane di accrescere le proprie competenze manageriali:
il temporary management (di seguito TM) è stato da più parti indicato come uno strumento adatto a perseguire questo scopo, rappresentando un mezzo efficace per “portare in casa” competenze di alto livello, per il tempo necessario e a costi variabili, in modo che alla fine di un progetto l’azienda sia in grado di fare le stesse cose meglio di prima o di farne di nuove. Prende spunto da queste considerazioni il crescente interesse da parte del legislatore di creare attraverso il costrutto normativo un terreno fertile per l’utilizzo dello strumento, come peraltro dimostrano alcuni buoni esempi del passato.
Da diversi anni i legislatori locali e nazionali hanno riconosciuto l’importanza di disporre di strumenti legislativi di supporto all’utilizzo del TM nelle PMI, quali elementi incentivanti e facilitanti di una conoscenza ed un apprezzamento del servizio in costante aumento.
Ultimo e più recente “prodotto” di questa linea di pensiero è la proposta di legge 2474, a firma di Letizia Giorgianni e altri, avente per oggetto “Agevolazioni fiscali per l’assunzione di dirigenti temporanei e a progetto presso le piccole e medie imprese“, attualmente in fase di lavorazione.
Un po’ di storia
Prima di entrare nel merito della specifica proposta, può essere utile ripercorrere la storia dei provvedimenti legislativi più significativi, nazionali e locali, a sostegno del TM nel mondo delle PMI, evidenziando temi ricorrenti e criticità di tipo applicativo.
Dal punto di vista delle formulazioni, il legislatore locale ha prodotto più e forse meglio di quello nazionale, sicuramente più vincolato da difficoltà di natura sostanzialmente politica.
Due i punti chiavi affrontati in maniera diversa dai vari proponenti: da un lato i requisiti professionali del temporary manager (quali e come attestarli) e il suo legame con la figura del dirigente, dall’altro le modalità di finanziamento di un progetto.
Il primo esempio di legge italiana che riconosce il TM e le società che lo forniscono è la legge n. 7193 del 12 novembre 1997 della Regione Umbria, cui va riconosciuto il merito di interpretarne nel giusto modo i principi (elevata seniority; interventi per innovazione e diversificazione, a livello di top management e funzionale; necessità di un progetto con obiettivi ben definiti; intervento anche attraverso società specializzate).
Nel 2004 la Commissione Lavoro della Camera ha elaborato un disegno di legge (il 5421, definito Camo-Lettieri) che prevedeva agevolazioni fiscali per interventi nelle PMI. Il DDL partiva da corrette considerazioni sulla scarsa capacità competitiva delle imprese italiane, riconducibile alla struttura prevalente delle piccole imprese ed alla loro bassa capacità di finanziamento, alla quale si sommano le loro scarse capacità gestionali e la limitata presenza di manager in grado di organizzare e guidare l’azienda con metodo e coerenza.
Perchè l’impresa potesse usufruire delle agevolazioni il TMan doveva possedere alcune caratteristiche oggettivamente riconoscibili: aver esercitato le funzioni professionali per almeno cinque anni, dimostrabili per mezzo di un’attestazione, anche qualitativa, rilasciata da un’associazione professionale censita presso il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro o da un organismo indipendente, purché redatta sulla base della normativa prevista dall’organismo nazionale UNI o dall’organismo internazionale EN o ISO.
La migliore articolazione fino ad oggi proviene dalla regione Friuli Venezia Giulia che, prima con il “Documento strategico per il comparto manifatturiero” introduce il concetto di Temporary Management definendolo come la gestione di una o più attività aziendali da parte di manager professionisti, poi approva il “Disegno di legge sullo Sviluppo Competitivo delle PMI”, che, con la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Friuli Venezia Giulia del 4 marzo 2005, è diventato la Legge n. 4, altresì nota come legge Bertossi dal nome del suo ispiratore.
Finalità principale di questa legge è quella di superare i fattori tradizionali di debolezza competitiva, quali l’insufficienza dimensionale e i livelli di capitalizzazione, la scarsa apertura degli assetti di governo societario e l’inadeguatezza dei livelli di managerializzazione. I destinatari degli incentivi sono le piccole e medie imprese, in qualsiasi forma costituite, singole ed associate, aventi sedi o almeno un’unità operativa nel territorio regionale, per l’utilizzo di manager a tempo che, a fronte di un business plan definito, le aiutino a gestire ad esempio, interventi crescita dimensionale (aggregazioni, fusioni e accordi interorganizzativi), processi di internazionalizzazione (creazione di reti commerciali all’estero, sviluppo strutturato di relazioni internazionali); razionalizzazione degli assetti gestionali e organizzativi; situazioni di successione generazionale, processi di ricapitalizzazione o di riordino degli assetti di governo societario anche attraverso l’apertura a terzi, fabbisogno manageriale temporaneo.
In questa legge, infine, si presta molta attenzione al profilo del manager, alla valutazione della sua coerenza con il business plan, e alla sua capacità di trasferire competenze.
Nel 2010 Alessia Mosca, Segretario della Commissione Lavoro della Camera, e Giuliano Cazzola, Vice Presidente della stessa Commissione, hanno avviato un processo positivamente bipartisan per arrivare, in tempi anche rapidi, alla definizione di un testo di legge nazionale sul tema del TM.
Sono così nati, per motivi di opportunità politica, due disegni di legge sostanzialmente gemelli sulla materia: il primo, presentato da Alessia Mosca (DDL 3642 del 20 luglio 2010), il secondo, presentato da Giuliano Cazzola (DDL 3978 del 20 dicembre 2010).
Le caratteristiche richieste al Tman: aver operato come dirigente per almeno dieci anni presso imprese con più di 10 dipendenti, per interventi di natura funzionale oppure almeno quindici anni presso imprese con più di 50 dipendenti, per interventi di natura gestionale complessiva.
Tra i progetti ammissibili al finanziamento: crescita dimensionale dell’impresa; internazionalizzazione; razionalizzazione degli assetti gestionali e organizzativi dell’impresa; successione generazionale dell’impresa; processi di ricapitalizzazione o di riordino degli assetti di governo societario anche attraverso l’apertura a terzi; il trasferimento di know how e dicompetenze manageriali.
La nuova proposta di legge
L’incipit è inappuntabile: la proposta si propone, da una parte, di rafforzare la struttura organizzativa delle nostre PMI, dall’altra di creare un tessuto imprenditoriale favorevole all’affermazione di una nuova (?!?) generazione di manager flessibili, dinamici e orientati al risultato.
Nell’Art. 2, in sede definitoria, il dirigente temporaneo e a progetto è un professionista qualificato a cui sono attribuite, funzioni di amministrazione temporanea dell’intera azienda, di un suo ramo, di una specifica funzione o struttura ovvero di sviluppo e attuazione di un progetto determinato e delimitato nel tempo: a parte forse la necessità di chiarire per bene il legame con la figura del dirigente, sembra essere, in versione compatta, la definizione canonica del TM.
Un punto delicato di attenzione emerge però nell’Art. 3 che pur parte dalla corretta premessa che il temporary manager deve avere una comprovata esperienza nella gestione aziendale.
Scendendo nel dettaglio, si richiede infatti che il dirigente temporaneo e a progetto debba essere: a) un dottore commercialista, iscritto all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, che abbia maturato un’e sperienza professionale di almeno tre anni, anche non continuativi, nello svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso un’impresa, con almeno due incarichi nell’ultimo triennio in organi amministrativi o di controllo; b) un professionista in possesso del diploma di laurea magistrale in scienze economico-aziendali (classe LM-77), che non abbia superato il trentacinquesimo anno di età alla data della sua assunzione, e che abbia esercitato, anche in modo non continuativo, per un periodo complessivo non inferiore a tre anni, funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso un’impresa.
La formulazione della proposta di legge, nella sua forma attuale, sembrerebbe molto restrittiva e limiterebbe in maniera rilevante il campo di applicazione. Abbiamo pertanto posto ad un panel di TMan e ad alcune associazioni manageriali la seguente domanda per mettere bene a fuoco il punto
- Una PMI che utilizzi un Direttore HR, un Direttore Industriale, un CFO o un DG (tutte casistiche reali), quindi un manager che non rientri nella fattispecie dell’Art. 3 ai punti a) e b), potrebbe o meno accedere ai benefici della futura legge? Apparentemente no, dato che i TMan impegnati in tutti questi casi non avrebbero i requisiti richiesti in quanto NON DOTTORI COMMERCIALISTI (parliamo, ahimè, sempre e solo ovviamente manager di lungo corso!) e in quanto tutti ben over 50 (ovvero con almeno 15 anni di esperienza nel ruolo, come richiesto dalla tipologia di problemi da gestire).
La risposta è stata praticamente sempre la stessa: la stragrande maggioranza degli incarichi realizzati sul mercato oggi per le PMI non troverebbe spazio per essere finanziata con l’attuale proposta di legge.
Peraltro, anche in sede di Commissione, è stato sollevato lo stesso problema, in quanto tale requisito “appare incongruente alla luce della realtà socio-economica del Paese, nella quale i dirigenti che si occupano di risorse umane spesso hanno conseguito un titolo di studio in ambiti diversi dall’economia e dal commercio”.
Sempre in sede di Commissione, ecco la relativa controobiezione: gli spazi finanziari prospettati dal provvedimento non sembrano consentire un consistente allargamento della platea dei soggetti tra cui le imprese potranno scegliere i temporary manager.
Un’indicazione per il legislatore
Dalle interviste informali effettuate, abbiamo cercato di estrapolare i più significativi suggerimenti per il legislatore.
In primis, l’aspettativa è che una legge nazionale sul TM abbia un campo di applicazione il più ampio possibile, per tenere in adeguato conto quello che realmente avviene sui mercati italiano e internazionali. A titolo di cronaca, la nostra indagine internazionale del 2022 evidenziava un’età media di 53 anni con almeno 3 anni di esperienza come TMan (oltre all’esperienza pregressa come manager permanent/dirigente).
Di conseguenza, per poter comprendere il mercato del TM nelle PMI nella sua totalità, si chiede di inserire tra le figure professionali dell’Art. 3 anche le seguenti categorie:
- Manager funzionali con significativa esperienza gestionale (almeno 15 anni come dirigente apicale nella specifica funzione)
- DG e CEO sempre con significativa esperienza gestionale (almeno 10 anni nel ruolo)
Un punto che per il legislatore è importante è la possibilità di poter esibire dei titoli a sostegno di una possibile richiesta: per quanto riguarda il ruolo di dirigente, si ratta di uno status contrattuale facilmente provabile. Per il ruolo di DG e CEO, di fatto un sottoinsieme del precedente, basterebbe produrre le dichiarazioni delle aziende presso le quali il manager ha avuto questi ruoli.
Per alcune figure professionali, In alcuni casi, si potrebbe anche fare riferimento alle certificazioni messe in campo da alcune associazioni manageriali, es. per le Risorse Umane (AIDP) e per Finanza Amministrazione e Controllo (ANDAF), caratterizzate dalla certificazione di terza parte indipendente e dalla conformità con le regolamentazioni nazionali e internazionali in materia (prassi UNI Pdr 104:2021 per ANDAF e norma UNI11803:2021 per AIDP). Come pure per l’attestato di qualità e qualificazione professionale di Leading Network, associazione non ordinistica riconosciuta dal MIMIT.
Una volta risolto questo non banale nodo interpretativo, da più parti si è anche discusso sull’opportunità o meno di utilizzare lo strumento del credito d’imposta rispetto a forme più dirette di finanziamento (come nel caso di alcune leggi regionali), rilievo fatto anche in Commissione: mentre dal punto di vista puramente operativo le PMI, specie le più piccole, gradirebbero una forma di finanziamento a fronte spesso di un capitale circolante limitato per far fronte ai costi, comunque rilevanti, di un progetto di TM, il legislatore nazionale, anche in passato, ha dovuto obtorto collo optare per la soluzione del credito d’imposta data l’oggettiva difficoltà a trovare le coperture finanziarie necessarie nell’altro caso. In sintesi, il credito d’imposta non sarà certamente ottimale, ma perlomeno garantisce che una proposta di legge non venga bloccata sul nascere.
In sintesi, la proposta di legge attualmente in discussione contiene senza dubbio una serie di punti interessanti, che potrebbero essere ulteriormente valorizzati in un contesto applicativo più ampio.
Concludiamo con gli auspici di Fabio Montefiori, Presidente di Leading Network, sulle caratteristiche che dovrebbe avere qualsiasi nuova proposta normativa: “riconoscer la natura trasversale del ruolo del TM; valorizzare l’esperienza manageriale pregressa come prerequisito essenziale; consentie la presenza di competenze specialistiche diversificate, in coerenza con le esigenze reali delle imprese; evitare eccessi di rigidità formale che potrebbero escludere proprio i profili più efficaci”.
Maurizio Quarta – Vice Presidente Confassociazioni Management



























