di Germana Di Domenico e Manuel Marocco – ricercatori Isfol*
1. L’Isfol ha svolto un’indagine sulle Agenzie per il lavoro (ApL)[1] che, avendo soddisfatto i requisiti giuridici e finanziari previsti dalla normativa di riferimento, risultavano iscritte nel relativo albo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. L’analisi concerne, da un parte, la natura delle stesse (vale a dire, la tipologia di attività esercitata, la forma giuridica assunta, la struttura organizzativa e l’articolazione territoriale) e, dall’altra, le attività svolte e le relative condizioni di espletamento (in termini di servizi, funzioni, aspetti operativi, finanziari e logistici). Contestualmente, si è inteso rilevare le modalità di interazione che tendono a delinearsi tra gli operatori privati ed il sistema pubblico dei Servizi per l’impiego, analizzandone lo stato dell’arte e di avanzamento, in modo da poter coglierne anche le prospettive di evoluzione.
A marzo 2005, l’insieme delle agenzie autorizzate ammontava a 442 unità, di cui: 355 agenzie di ricerca e selezione del personale; 70 agenzie di somministrazione generaliste; 3 agenzie di intermediazione; 14 agenzie per il supporto alla ricollocazione professionale, mentre nessuna di somministrazione specialista risultava autorizzata. A tale platea di operatori, è stato somministrato informaticamente (metodologia C.A.W.I – Computer Assisted Web Interviewing) un questionario specifico per tipologia funzionale, con una redemption pari a 176 unità. Il gruppo di osservazione (39.8% dell’insieme delle agenzie autorizzate), contempla, nello specifico, 153 agenzie di ricerca e selezione, 20 di somministrazione generaliste e 3 di ricollocazione.
2. Prima di esporre i risultati principali della ricerca pare indispensabile ricostruire brevemente il contesto normativo in cui agiscono dette agenzie.
Con la pubblicazione del Decreto 5 maggio 2004 del Ministero del lavoro, avvenuta il 2 luglio del 2004, si è completata la messa a regime del nuovo sistema di vigilanza pubblicistica dei nuovi operatori legittimati ad intervenire nel mercato del lavoro[2]. Di conseguenza dall’entrata in vigore di tale ultimo decreto potevano effettivamente esordire le ApL e i cd. intermediari speciali, i quali nel complesso hanno rimpiazzato, almeno dal punto di vista giuridico, i soggetti ammessi secondo la precedente disciplina.
A tale modulazione non corrisponde però più l’iscrizione in quattro diversi albi – come avveniva in precedenza – ma in un unico registro, il quale tuttavia risulta suddiviso in 5 sezioni: confermate quelle relative a “agenzie di intermediazione”, “agenzie di ricerca e selezione del personale”, “agenzie di supporto alla ricollocazione professionale”, è invece sdoppiata quella relativa alla “somministrazione di lavoro”. Difatti, un’apposita sezione è dedicata alle agenzie generaliste, abilitate cioè all’esercizio della stessa somministrazione e della intermediazione in tutte le forme – insomma i veri operatori polifunzionali – distinte da quelle specializzate nella sola fornitura di manodopera a tempo indeterminato (cd. staff leasing), in relazione a specifiche attività individuate dalla legge.
Pertanto sebbene risulti confermata la suddivisone tipologica delle attività già conosciuta[3], le modifiche introdotte appaiono indirizzate ad accogliere le vere novità in materia, vale a dire, l’introduzione nel nostro ordinamento, da una parte, dello staff leasing e, dall’altra, della polifunzionalità, frutto della eliminazione, come preannunciato fin dal cd. Libro Bianco sul Mercato del lavoro, dell’altra barriera artificiale prevista dal regime previgente, vale a dire il requisito dell’esclusività dell’oggetto sociale.
Come in altri ordinamenti europei, risultano pertanto autorizzati operatori multitasking, le cui attività spaziano a tutto raggio dall’incrocio tra domanda ed offerta di lavoro, comprensiva delle attività propedeutiche a detto incontro, senza cioè che l’agenzia divenga parte del rapporto di lavoro, a quelle in cui, al contrario, la stessa è parte del contratto di lavoro, in una relazione triangolare, che vede la partecipazione, oltre al lavoratore, anche della azienda utilizzatrice, legata al somministratore da un apposito contratto commerciale (il già ricordato “Contratto di somministrazione di lavoro”).
Peraltro dalla prassi amministrativa[4] sembra ricavabile che, seppur nei limiti della prevalenza dell’oggetto sociale ove richiesta, le ApL siano legittimate, non solo ad operare cumulando le diverse attività autorizzate appena ricordate, ma anche allo svolgimento di “attività non autorizzate”. Tuttavia, non è chiaro se lo svolgimento di attività di “altra natura” possa intendersi riferito alla possibilità di erogare servizi anche non riferibili alla gestione del mercato del lavoro.
Tuttavia l’abolizione del divieto di cumulo delle attività, in sostanza, ha trovato nella nuova disciplina un parziale temperamento. Innanzi tutto, difatti, appare salvaguardato il principio di trasparenza dell’attività economica che, in sostanza, era anche l’autentico obiettivo della normativa precedente, in quanto è stabilito che: “Nel caso di soggetti polifunzionali, non caratterizzati da un oggetto sociale esclusivo” deve essere garantita la “presenza di distinte divisioni operative, gestite con strumenti di contabilità analitica, tali da consentire di conoscere tutti i dati economico-gestionali specifici”. In secondo luogo, ma solo alle agenzie di somministrazione generaliste ed a quelle di intermediazione, è richiesto di indicare l’attività per la quale si è richiesta l’autorizzazione quale “oggetto sociale prevalente, anche se non esclusivo”.
In ogni caso, tale temperata polifunzionalità si realizza mediante il meccanismo dell’iscrizione automatica alle diverse sezioni dell’albo. E così l’accesso – e quindi il rispetto dei relativi requisiti – alla sezione relativa alle agenzie generaliste, comporta l’iscrizione ex lege a quelle dedicate a intermediazione, ricerca e selezione e ricollocazione professionale, e quindi la possibilità di esercitare legittimamente l’intera la gamma delle funzioni di gestione del mercato del lavoro. Allo stesso modo, il titolo abilitativo di “intermediatore”, legittima l’esercizio anche delle ultime due attività elencate. Mentre questa ipotesi di iscrizione automatica, di fatto, non rappresenta una novità – l’attività di “mediazione tra domanda ed offerta di lavoro” già includeva la ricerca e selezione e l’outplacement – la vera innovazione è la possibilità per i “somministratori” di esercitare l’intermediazione in tutte le sue forme .
Una funzione di “controllo” sull’acceso degli operatori è attribuito dalla Legge anche alle Regioni. A favore di queste è ritagliato un doppio ruolo: difatti, oltre ad essere le uniche istituzione di “accreditamento” degli operatori[5], possono anche rilasciare il titolo abilitativo per l’esercizio di talune attività (intermediazione, ricerca e selezione di personale ed outplacement), ma “con esclusivo riferimento al proprio territorio” e pur sempre nel rispetto dei requisiti fissati a livello nazionale. Peraltro, la scelta per un’autorizzazione solo regionale è alquanto limitativa del raggio di azione dell’agenzia. Infatti, la Legge precisa che “I soggetti autorizzati da un singola regione (…) non possono operare a favore di imprese con sede legale in altre regioni.”[6]
Si può ipotizzare che usufruiranno dell’alternativa “regionale” le sole agenzie di intermediazione. Difatti, ricorrendo solo in capo a queste – insieme a quelle somministrazione generaliste – un obbligo di diffusione minima sul territorio, solo esse, ove non riescano ad assicurare il rispetto di tale requisito, avranno interesse a presentare apposita istanza all’ente territoriale di interesse. Gli operatori di ricerca e selezione di personale e di outplacement – non sottoposte al ricordato requisito dimensionale – preferiranno comunque di dotarsi dell’autorizzazione statale, la quale le abilita ad operare sull’intero territorio nazionale, svuotando, di fatto, di contenuto la norma, perlomeno per queste ultime due tipologie di agenzie.
D’altro canto, rimane esclusa la possibilità che gli enti locali possano rilasciare l’autorizzazione per lo svolgimento della attività somministrazione, sia essa a tempo determinato ovvero indeterminato. Il Legislatore ha ritenuto cioè che gli interessi sottesi a tutela della posizione dei lavoratori e, d’altro canto, l’improprietà di differenziazioni territoriali nel regime di ingresso nel mercato del lavoro degli operatori economici, suggeriscano l’assegnazione in via esclusiva allo Stato del sistema di vigilanza pubblica in materia.
Con il Decreto del Ministero del lavoro 23 dicembre 2003, si è provveduto poi non solo ad istituire l’Albo dei nuovi operatori, ma anche a definire le procedure di iscrizione e di concessione dell’autorizzazione pubblica, nonché a disciplinare le modalità di raccordo con la normativa previgente.
Sono così regolate le modalità e termini per la presentazione della richiesta da parte delle agenzie e per la concessione della autorizzazione ad opera del Direttore della Direzione generale per l’impiego, l’orientamento e la formazione, secondo il canone del silenzio-assenso[7].
È ivi previsto che le vecchie agenzie di lavoro interinale e di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro già autorizzate a tempo indeterminato[8], non siano tenute a superare nuovamente un periodo di abilitazione biennale, invece richiesto a quelle di nuova costituzione[9]. Le prime, difatti, erano obbligate a richiedere, entro il settembre 2004, direttamente l’autorizzazione definitiva per lo svolgimento, rispettivamente, delle attività di somministrazione di lavoro ovvero di intermediazione, pena la “revoca di diritto” del titolo abilitativo di cui precedentemente beneficiavano. Così delle 73 imprese in attività prima della riforma, solo 3-4 non hanno richiesto la nuova autorizzazione, mentre al momento della rilevazione solo 11 erano i nuovi soggetti che hanno richiesto l’iscrizione all’albo.
Al fine del rilascio della autorizzazione a tempo indeterminato, l’autorità concedente procede, oltre alla verifica della prevalenza dell’oggetto sociale, al controllo della “continuità” della attività per la quale è stata ottenuto il titolo abilitativo provvisorio.
Come ricordato, per le sole agenzie “generaliste” e per quelle di intermediazione è infatti richiesto l’indicazione della attività per la quale si è richiesta l’autorizzazione quale oggetto sociale “prevalente, anche se non esclusivo”. È cioè richiesto – come ha precisato la prassi[10] – che la somministrazione, ovvero l’intermediazione, costituiscano l’attività “predominate” della agenzia. Tale predominanza si rileva pertanto un requisito squisitamente quantitativo che andrà valutato da parte dell’autorità concedente a consuntivo. Questa ultima, al termine del periodo transitorio ed ad ogni biennio successivo, una volta concessa l’autorizzazione a tempo indeterminato, dovrà verificare che: “l’attività oggetto di autorizzazione riguardi almeno il 50,1 per cento delle attività dell’agenzia svolte nell’arco dei ventiquattro mesi”. Pertanto, in tali occasioni, le agenzie di somministrazioni generaliste e quelle di intermediazione dovranno dimostrare, a livello aggregato e non di filiale[11] e sulla base del fatturato relativo alle singole attività esercitate, che hanno orientato la propria attività economica prevalentemente verso quelle per le quali hanno ricevuto l’abilitazione pubblica.
Come accennato, l’autorità concedente, ma questa volta solo alla scadenza del primo biennio di rodaggio e con riguardo a tutte le tipologie di agenzie, verificherà anche la serietà dell’impegno assunto dalle stesse, depurando il mercato dagli operatori che non abbiano garantito un esercizio continuativo della attività principale. Costituisce difatti causa di legittimo rifiuto[12] della abilitazione a titolo definitivo il mancato svolgimento, ovvero quello “con carattere saltuario o intermittente”[13], della attività, o delle attività, per le quali le ApL sono state direttamente autorizzate.
Con un ulteriore atto del Ministero del lavoro, il decreto 5 maggio 2004 già citato, sono stati infine fissati i requisiti delle ApL, relativamente a “disponibilità di uffici in locali idonei allo specifico uso e di adeguate competenze professionali”; per precisare i contenuti si è interventi poi con la circolare n. 30/04.
Il decreto, innanzi tutto, si occupa del personale interno delle ApL sia con riferimento alla sua consistenza numerica, sia con riguardo alle “competenze” di cui lo stesso personale deve disporre.
Relativamente al primo profilo, si differenzia tra le agenzie di somministrazione ed intermediazione, da un lato, e quelle di ricerca e selezione di personale ed outplacement, dall’altro. In linea con la precedente normativa è infatti imposto un organico più consistente alle prime. Mentre per queste ultime è richiesta la presenza di almeno 4 unità di “personale qualificato” nella sede principale e – fermo restando il requisito della diffusione territoriale in almeno 4 regioni – di 2 per ciascuna filiale in ciascuna regione, per le seconde tale articolazione è ridotta della metà (2 unità nella sede principale ed una per ogni, eventuale, unità organizzativa periferica).
Relativamente alle competenze professionali richieste in capo a tali addetti sono richieste esperienze professionali acquisiste sul campo “di durata non inferiore a due anni”, ovvero, alternativamente, l’iscrizione all’albo dei consulenti del lavoro per un periodo, almeno, di pari estensione. Da una prima lettura del decreto era possibile presumere che si richiedesse che detti requisiti professionali riguardassero l’intera pianta organica minima delle agenzie sopra ricordata[14]. Peraltro, la Circ. n. 30/2004 ha precisato che è sufficiente che gli stessi requisiti siano posseduti da due dipendenti per regione e non per filiale[15], fermo restando che presso la sede principale sia dotata di almeno 4 unità di personale qualificato.
Sempre in tale ambito sono definite le caratteristiche strutturali delle ApL, essendo richiesto alle stesse il “possesso di locali ed attrezzature d’ufficio, informatiche e collegamenti telematici idonei allo svolgimento dell’attività” per le quali hanno ottenuto il titolo abilitativo. In particolare, con riguardo i locali è prevista la loro destinazione esclusiva alla attività autorizzata, nonché la conformità alla normativa in materia di sicurezza ed igiene nei luoghi di lavoro.
3. Passando alla rassegna dei principali risultati della ricerca ISFOL, va innanzi tutto segnalato che, allo stato attuale, il mercato appare dominato, in termini di quota di mercato e servizi alla domanda/offerta di lavoro, dalle Agenzie generaliste di somministrazione di lavoro e da quelle di “ricerca e selezione”.
Rispetto a tali tipologie, l’indagine ha, peraltro, evidenziato una certa dicotomia, con riguardo, in primo luogo, al profilo dimensionale e a quello relativo alle risorse umane: le Agenzie generaliste risultano di regola connotate da dimensioni riconducibili alle imprese medio-grandi e, conseguentemente, denotano una più elevata densità occupazionale (al cui interno assume una quota preponderante il lavoro dipendente, se pur con bassa incidenza femminile) rispetto alle seconde. Il 90% circa delle Agenzie di ricerca e selezione presenta un numero di dipendenti compreso tra 1 e 4 unità, mentre per quasi il 70% delle “generaliste” si riscontra un numero minimo di risorse umane (per unità organizzativa) pari a 5.
Per quanto concerne la ripartizione per fatturato, il 55% di queste ultime agenzie presenta un fatturato superiore agli 11 mln €, mentre fra le Agenzie di ricerca e selezione tale percentuale scende al 4,6%.
Sotto il profilo della forma giuridica (ante e post riforma), si osserva che l’8,5% dell’insieme delle Agenzie si configura come SpA; tale quota è interamente da riferirsi alle generaliste, laddove quelle di ricerca e selezione sono in netta prevalenza (71,2%) S.r.l.
Analizzando la distribuzione geografica delle sedi principali delle Agenzie e l’articolazione delle relative unità organizzative sul territorio, emergono alcuni fattori che differenziano la ripartizione omogenea degli snodi operativi pubblici da quella dei privati, le cui scelte operate sono tipicamente influenzate da aspetti di “marketing localizzativo” tali da indirizzare gli investimenti relativi all’apertura di filiali in corrispondenza di migliori infrastrutture e dotazioni logistiche, maggiore fruibilità dei servizi ed efficienza degli stessi, tessuto produttivo più dinamico e, in via generale, contesto socio-economico maggiormente favorevole. Ne consegue una più marcata presenza di operatori privati nelle aree del Centro-Nord, per lo più quelle interessate da distretti industriali, e nei capoluoghi di provincia, con l’eccezione delle Agenzie di somministrazione, le cui unità organizzative risultano presenti in maniera capillare anche nella parte meridionale del Paese. Nello specifico, secondo i dati del monitoraggio Isfol sulle Apl condotto a febbraio 2005, su un insieme di 176 soggetti osservati (pari a circa il 40% dell’universo degli operatori autorizzati), risulta che, a livello di sedi principali, il 59,2% si localizza nel nord ovest, il 27,7% nel nord est, l’11% nel Centro e il 2,1% nel Sud e Isole.
Sotto il profilo dell’espletamento delle funzioni, alla luce del superamento del vincolo relativo al cd.oggetto sociale esclusivo, si osserva come, su un insieme di 20 agenzie generaliste rispondenti, 12 dichiarano di svolgere anche attività di “ricerca e selezione”, 8 di staff leasing, 7 di intermediazione e 8 di outplacement; a fronte di 8 agenzie che svolgono la sola attività di somministrazione, 3 dichiarano di espletare tutte le nuove funzioni consentite dalla legge di riforma, mentre per le restanti si osserva una “polifunzionalità parziale”, con prevalenza – se pur lieve – dell’attività di ricerca e selezione del personale.
I tratti distintivi delle singole tipologie di agenzie sopra evidenziati rilevano anche con riferimento alle iniziative legate all’attività di formazione. In questo caso, le differenze appaiono strettamente correlate al segmento di mercato di interesse: per le agenzie di ricerca e selezione i corsi di formazione, erogati sia direttamente sia attraverso un sostegno finanziario esterno, sono prioritariamente orientati a soddisfare le richieste di domanda di lavoro qualificato e specializzato (figure professionali specifiche) da parte delle imprese.
In tema di connessioni telematiche con altri soggetti, si evidenzia un certo divario tra le Agenzie ubicate nel Nord e nel Centro del paese, da un lato, e quelle localizzate nel Mezzogiorno dall’altro. Di queste ultime solo il 3,6% ha attivato relazioni informatizzate con i Servizi pubblici per l’impiego e meno del 7% con Inps e Inail.
La quasi totalità (circa l’87%) delle agenzie intervistate dichiara che il canale di promozione dei propri servizi e di diffusione delle informazioni maggiormente utilizzato è rappresentato dal contatto diretto con le aziende, seguito da: inserzioni su stampa, internet/banner, affissioni pubblicitarie, radio e TV.
Sotto il profilo della cooperazione con il sistema pubblico di servizi per l’impiego, si riscontra, sulla popolazione raggiunta dall’indagine, una quota di appena il 4% di agenzie che dichiarano di essersi attivate in questa direzione. D’altro canto, delle 12 agenzie generaliste rispondenti, solo una risultava coinvolta nelle sperimentazioni delle misure di raccordo “pubblico-privato” di cui all’art. 13, 6° comma[16].
In generale, i dati sopra ricordati concorrono a delineare un quadro piuttosto omogeneo a livello nazionale, che vede ad oggi una ancora non sufficientemente sviluppata interazione tra pubblico e privato nella messa a regime di una rete mista di servizi al lavoro, come auspicato dal Legislatore della riforma. Le informazioni ad oggi disponibili sottolineano l’esigenza di aumentare la capacità di (inter)connessione informativa, tuttora debole, tra i due sistemi, in funzione di una gestione condivisa dei servizi per il lavoro intesi in senso lato.
D’altronde, la necessità di rendere operativa la connessione telematica ed informativa degli Spi e delle ApL con altri soggetti (Enti previdenziali e assistenziali, rete Eures), contestualmente al completamento del processo di implementazione dei (costituendi) nodi regionali che abilitano la Borsa continua nazionale del lavoro (Bcnl) ha, in ultima analisi, l’obiettivo di ridurre o quantomeno contenere i “fallimenti del mercato” conseguenti alle asimmetrie informative, attraverso una più efficiente catalogazione e divulgazione a livello nazionale delle informazioni su vacancies e candidati.
A partire dal un quadro delle caratteristiche descrittive così delineato, è possibile cogliere alcune tendenze in atto, cercando di evidenziare quali siano quelle maggiormente passibili di uno sviluppo e quali tendano invece ad esaurire la loro forza propulsiva.
In primo luogo, coerentemente con quanto è osservabile in quelle realtà nazionali che, in ambito europeo, sono state interessate dal processo di progressiva apertura del mercato del lavoro a soggetti di natura privata, anche nel nostro Paese sembra confermarsi la tendenza che vede il rapporto tra pubblico e privato delinearsi in termini, più che concorrenziali, di complementarietà delle rispettive funzioni-azioni. Se il sistema degli Spi svolge un ruolo istituzionalmente e socialmente orientato a servire l’offerta di lavoro (per lo più con riferimento ai target d’utenza svantaggiati) e a favorire l’occupabilità degli individui, si osserva come le Agenzie private tendono a specializzarsi sul fronte di mercato della “domanda” (servizi alle imprese) e sulle opportunità di lavoro “flessibile”, su richieste di qualifiche professionali più elevate o ad alto contenuto specialistico e sulla funzione di intermediazione intesa in senso stretto.
Sembra, infine, emergere l’esigenza di una distribuzione più omogenea degli operatori privati sul territorio, in modo da colmare il gap territoriale che ne vede una maggiore diffusione nelle due macroaree Nord-Est e Centro del Paese rispetto al Mezzogiorno, con il rischio di acuire parte dei già esistenti problemi di segmentazione del mercato del lavoro.
[1] Sono stati, per il momento, esclusi dal campo di indagine i cd. intermediari speciali. La Legge, difatti, disciplina dei “regime particolari di autorizzazione”, finalizzati ad una modulazione delle barriere di accesso all’esercizio della “intermediazione” – solo questa e non della somministrazione – riconducibile alla natura dell’operatore. Beneficiano di tale regime una serie di soggetti pubblici e privati, diversi dei quali in realtà, seppur informalmente, già agivano nel mercato del lavoro (Università, Scuole, Camere di Commercio, consulenti del lavoro, parti sociali e loro enti bilaterali). L’indagine di cui di cui si dà conto nel testo è in corso di pubblicazione.
[2] Difatti, all’entrata in vigore di tale atto era collegata anche quella del precedente decreto ministeriale del dicembre 2003, commentato successivamente nel testo.
[3] D’altro canto, il d.lgs. 276/2003 provvede a ridefinire il contenuto delle attività di intermediazione, ricerca e selezione ed outplacement, peraltro senza che possano riscontrarsi innovazioni rilevanti. Va tuttavia sottolineato che mentre la ricerca e selezione pare meglio articolata, venendo ad essere espressamente individuate tutte le fasi in cui la stessa si svolge, fa capolino nella definizione di intermediazione la formazione professionale, essendo prevista la “progettazione ed erogazione di attività formative finalizzate all’inserimento lavorativo”.
[4] La Circolare del Ministero del lavoro n. 25/04 – ha avuto modo di precisare in materia che: “l’eliminazione dell’oggetto sociale esclusivo, consente alle agenzie di affiancare alle attività autorizzate altre tipologie di attività, anche non soggette ad autorizzazione (es. esecuzioni di lavori in appalto di servizi parallelamente alla somministrazione di lavoro)”. Allo stesso modo si aggiunge che per soggetti polifunzionali vanno intesi quei “soggetti che svolgono diverse attività oggetto di autorizzazione oppure una o più attività oggetto di autorizzazione e attività di altra natura, non oggetto di autorizzazione”.
[5] Secondo la definizione contenuta nel d.lgs. 276/2003 per “accreditamento” ora si intende: “Provvedimento mediante il quale le Regioni riconoscono a un operatore, pubblico o privato, l’idoneità a erogare i servizi al lavoro negli ambiti regionali di riferimento, anche mediante l’utilizzo di risorse pubbliche, nonché la partecipazione attiva alla rete dei servizi per il mercato del lavoro con particolare riferimento ai servizi di incontro fra domanda e offerta”. Pertanto, a tali enti è così riconosciuta la potestà a rilasciare una “abilitazione” – atto “il cui rilascio è subordinato accertamento dell’idoneità tecnica di soggetti a svolgere una certa attività” – rientrando nelle “esclusive competenze regionali (…) la adozione, la promozione e lo sviluppo di modelli di servizi territoriali per l’impiego” , coerentemente con quanto già disposto dal già citato D.lgs. 297/2002, il quale ha loro attribuito il compito di definire “gli obiettivi e gli indirizzi operativi delle azioni che i servizi competenti – tra i quali rientrano appunto, oltre ai Centri per l’impiego, anche i soggetti “autorizzati o accreditati” – (…) effettuano al fine di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e contrastare la disoccupazione di lunga durata”.
[6] Ne deriva che l’agenzia “regionale” – con tutta probabilità una abilitata alla “intermediazione” (vedi infra) – sarà non potrà erogare i suoi servizi ad imprese che, pur avendo la sede legale altrove, svolgano la loro attività mediante unità produttive localizzate nella Regione che ha rilasciato l’autorizzazione.
[7] Il decreto dispone termini finali alla attività pubblica di verifica e controllo, diversificati a seconda della natura dell’atto autorizzativo. Più brevi, ove si tratti della concessione dell’autorizzazione a titolo solo provvisorio (entro 60 gg.) e più estesi per quella a tempo indeterminato (90 gg.). Decorsi detti termini, e salvo esito negativo del procedimento, la domanda “si intende accettata”.
[8] Tale possibilità non è invece prevista per i soggetti riconosciuti dalla riforma del 2000, vale a dire le agenzie di ricerca e selezione e quelle di outplacement. Queste ultime dovranno, difatti, necessariamente transitare per il biennio di regime provvisorio, anche se è loro riconosciuta la facoltà di richiedere l’iscrizione alla sezione III dell’albo e quindi di ottenere l’autorizzazione ad esercitare l’intermediazione nel suo complesso, tramite l’integrazione dei requisiti di capitale, di diffusione sul territorio e tecnici richiesti agli intermediari.
[9] Per le nuove ApL, in stretta affinità con quanto previsto in precedenza per le agenzie di fornitura di lavoro temporaneo, è previsto invece che il Ministero del lavoro rilasci un titolo abilitativo provvisorio di durata biennale, destinato, ma solo “subordinatamente alla verifica del corretto andamento della attività svolta”, a divenire a tempo indeterminato.
[10] Circ. Ministero del lavoro 25/2004, già citata.
[11] Rimarrà pertanto possibile una specializzazione delle singole filiali a seconda della tipologia della attività esercitata, purché rimanga salvaguardata, nelle risultanze contabili, la prevalenza della attività per la quale si è ricevuta l’autorizzazione.
[12] Come accennato, il decreto disciplina anche le cause di sospensione e revoca della autorizzazione. Il direttore generale della Direzione per l’impiego provvede alla sospensione in caso di irregolarità derivanti dal mancato adempimento degli obblighi di cui al d.lgs. 276/2003 ed alla normativa sul collocamento. Allo stesso fine, l’amministrazione vigila sulla regolare contribuzione ai fondi per la formazione e l’integrazione del reddito, sul versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali e sul rispetto del CCNL delle imprese di somministrazione di lavoro applicabile. Infine, ove l’autorità riscontri delle irregolarità è previsto l’applicazione dell’istituto del ravvedimento operoso. Verrà cioè assegnato un termine per sanare le irregolarità o fornire chiarimenti, scaduto il quale, senza il necessario adeguamento alla legge, viene disposta la cancellazione dall’Albo e la revoca definitiva della abilitazione.
[13] In proposito la Circ. n. 25/04 già citato ha precisato a titolo esemplificativo che costituisce una attività “occasionale e non abituale” quella “realizzata dunque per mezzo di atti singoli o, se anche non continuativi, comunque non caratterizzati da costante ripetitività (come nel caso di attività di carattere stagionale) e sistematicità”.
[14] La circolare 25/04, a proposito delle agenzie di somministrazione e di intermediazione, difatti, affermava che: “Si precisa inoltre che due dipendenti qualificati dovranno comunque essere presenti in ciascuna unità organizzativa.”
[15] La stessa circolare 30/2004 citata ha, quindi precisato che per il restante personale delle filiali è sufficiente “personale che abbia un profilo professionale adeguato all’esercizio della specifica attività oggetto della autorizzazione”.
[16] Sia consentito rinviare sul tema a Marocco, Somministrazione e lavoratori svantaggiati: tra norma nazionale e regionale, in questa rivista, 4 Aprile 2005.
* Le seguenti considerazioni sono frutto esclusivo del pensiero degli autori e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza. Sia consentito ringraziare Dario Ercolani per le elaborazioni statistiche.