di Massimo Di Menna – Segretario Generale Uil Scuola
Gli stipendi fermi al 31 dicembre 2003. Questo è il risultato, ad oggi, del mancato rinnovo contrattuale. Dopo gli incontri tra Governo e organizzazioni sindacali del mese di giugno, incontri nei quali si era convenuto che a partire dal 6 settembre sarebbe ripreso il confronto per approfondire, sul piano tecnico, le ‘diverse ragioni’, il Governo non ha più convocato le parti.
Veniamo al merito: il Governo ha ipotizzato un incremento nel biennio 2004-2005 del 3,7%. La richiesta sindacale è un incremento dell’8%. Al di là della evidente differenza, vanno considerati due aspetti: Il primo riguarda l’esigenza di mantenere una vera politica dei redditi, che ha come obiettivo la tutela del potere di acquisto delle retribuzioni ed un effettivo controllo dell’inflazione. Su tale aspetto, al di là del principio dell’intesa del ’93 come base per i contratti, pesa la mancanza di una politica in grado di contenere prezzi e tariffe. E’ chiaro che, con i prezzi in aumento, le retribuzioni vengono erose e i lavoratori della scuola, con stipendi già bassi, si impoveriscono. Non è una frase fatta, ma davvero chi vive di stipendio non ce la fa ad arrivare alla fine del mese.
Il calcolo alla base delle nostre richieste è semplice e vorremmo farlo al tavolo negoziale: differenziale tra inflazione reale (dati Istat) e incremento retributivo nel biennio 2002 – 2003, inflazione programmata per il 2004 (su dati Istat, ormai è possibile riferirsi all’inflazione reale) e inflazione programmata per il 2005, su cui ovviamente si può discutere. E’ evidente che la differenza è riferibile all’inflazione programmata per il 2005. Probabilmente il blocco del confronto ha avuto ed ha altre ragioni, che attengono alla politica economica del Governo e a come si intende finanziare l’ipotizzata riduzione fiscale.
Qui veniamo al secondo aspetto. Senza rinnovo contrattuale e senza una riduzione fiscale riferibile al lavoro dipendente, con aumenti esentasse o riduzione del fiscaldrag, l’impoverimento degli insegnanti e di tutto il personale della scuola contrasterebbe con i continui richiami ad investimenti nel sapere, nella conoscenza, nel sistema scuola. I livelli base delle conoscenze derivano da una scuola di qualità. In Italia il 93% degli studenti frequenta la scuola pubblica. Occorre che gli insegnanti e tutto il personale della scuola sentano un effettivo riconoscimento professionale. Lavoratori meglio retribuiti determinano maggiore qualità.
Purtroppo l’assenza di un confronto, aggiunta alle tante preoccupazioni ed incertezze che vivono i lavoratori della scuola per un processo di riforma che apre scenari non convincenti e che soprattutto non vede un vero coinvolgimento, ha determinato un clima di forte tensione nelle scuole. Con la mobilitazione e con lo sciopero del 15 novembre vogliamo rappresentare il bisogno di certezze e soprattutto indurre il Governo a rivedere i propri conti ed indirizzare le risorse necessarie a garantire il rinnovo contrattuale. Siamo già un anno in ritardo.
La nostra azione, lo stesso sciopero che richiede sacrifici ai lavoratori (una giornata di trattenuta nello stipendio non è poca cosa) è finalizzata a risultati concreti. Avremmo preferito un’intesa nei mesi passati ma l’assenza di negoziato non l’ha resa possibile. Ora con la forza del consenso, che in democrazia, anche quella politica, conta, riusciremo a far riaprire il confronto per la conclusione del contratto.