E’ ormai da più giorni che il governo, nelle persone di Giulio Tremonti prima e di Maurizio Sacconi poi, ha chiesto alle parti sociali un avviso comune sui temi della partecipazione per poter poi procedere legiferando su questa materia con il loro consenso. E’ in questo modo che si possono realizzare riforme condivise, deliberando sulla base di indicazioni provenienti dalle stesse parti alle quali quella legislazione poi si applicherà. Un sistema democratico che ha dato prova di ottimo funzionamento. Ma le parti sociali difficilmente produrranno questo avviso comune. Cisl, Uil, Ugl hanno già manifestato la loro volontà di procedere in questo modo, dichiarando la loro disponibilità. Ma Cgil e Confindustria non hanno fatto mistero della loro molto limitata intenzione di procedere per questa strada.
Il che stupisce, perché sia Guglielmo Epifani che Emma Marcegaglia in passato avevano mostrato spiccato interesse al tema della partecipazione. La presidente di Confindustria in giugno era andata al congresso della Cisl ad affermarlo e non era stata un’apertura occasionale, tanto più che la stessa Marcegaglia era stata molto attenta, sia pure con tutte le cautele del caso, a inserire questa apertura nel quadro di un’alleanza strategica con quella confederazione.
Ma anche il segretario generale della Cgil aveva espresso il suo credo partecipativo con altrettanta chiarezza in alcune interviste rilasciate poco prima delle ferie estive.
Adesso, invece, si respira tutt’altra aria. Epifani afferma che non è questo il momento giusto, considerando che le aziende non esprimono utili durante la crisi. A parte il fatto che una riforma strutturale come sarebbe questa non può essere valutata in un quadro temporale troppo ristretto, questo è un vecchio vizio del segretario, che ha negato per anni la riforma del sistema contrattuale sempre affermando che non era quello il momento giusto, che le priorità in quel momento erano altre, senza che mai questo momento giusto arrivasse.
La Marcegaglia invece respinge l’idea partecipativa sostenendo che non è tempo di cogestione. Senza badare troppo al fatto che una cosa è la partecipazione, nelle forme indicate dal disegno di legge messo a punto da Pietro Ichino unificando i disegni di legge presentati da Tiziano Treu e da Maurizio Castro, un’altra, tutta diversa, la cogestione. Ma soprattutto nell’atteggiamento assunto dalla presidente di Confindustria si ravvisa una contraddizione palese. Perché firmando il protocollo sulla contrattazione del gennaio scorso la Marcegaglia ha compiuto una scelta precisa a favore di un certo tipo di relazioni industriali e soprattutto un certo tipo di sindacato.
Non più quello conflittuale ereditato dagli anni settanta, ma al contrario un sindacato capace di rendersi conto delle esigenze molteplici esistenti nella società, attento ai bisogni delle aziende, pronto ad assumersi le proprie responsabilità. Ma questo è il sindacato partecipativo, al quale però non si può negare poi i vantaggi legati a questo status, appunto quelli di una partecipazione dei propri rappresentati agli utili delle imprese o più in generala a qualche forma di cointeressenza.
Ma allora, viene da chiedersi, perché questa ritrosia, perché non scegliere di procedere con vigore verso forme compiute di partecipazione? Anche perché il governo la sua scelta sembra averla già fatta, per cui o arriva l’avviso comune, che indichi quali strade percorrere o saranno l’esecutivo e poi il Parlamento a decidere in merito, magari in maniera diversa da quanto non farebbero le parti sociali. Insomma, questa per le parti sociali rappresenta un’occasione storica che non è il caso di perdere.
Massimo Mascini
4 settembre 2009
























