Con il decreto varato dal governo sulle pensioni torna ai pensionati “meno del 12%” di quanto è stato complessivamente trattenuto a causa della mancata indicizzazione (poi bocciata dalla Consulta) e le “assai” parziali risorse sono state destinate in particolare alle fasce più basse: i pensionati con assegni da tre a quattro volte il minimo invece di perdere il 4,8% medio annuo perdono il 3,8%; quelli con importi da quattro a cinque volte il minimo invece di veder svanire il 4,9% subiscono una perdita del 4,4%; quelli da cinque a sei volte il minimo passano da un taglio del 4,9% ad uno del 4,7%; mentre per assegni oltre sei volte il minimo la perdita resta pari al 4,5% (non essendo prevista per questi ultimi nel decreto alcuna restituzione).
E’ quanto ha spiegato, davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, il presidente dell’Upb, Giuseppe Pisauro, in un’audizione sul decreto del governo Renzi arrivato dopo la bocciatura da parte della Corte costituzionale della mancata indicizzazione voluta dall’esecutivo Monti.
Dunque, alle pensioni da tre a quattro volte è stato restituito solo l’1% di quanto tolto; da quattro a cinque volte il minimo solo lo 0,5%; da cinque a sei solo lo 0,3% e oltre sei volte il minimo nulla.
Inoltre, per Pisauro la riforma Dini del ’95 ha messo la spesa per la previdenza italiana su un sentiero “diverso” e gli interventi che si sono succeduti hanno “lavorato all’interno di quel quadro”. Quello che si sarebbe potuto fare sarebbe stato accorciare i “tempi” per il passaggio dal sistema retributivo al contributivo.
“Sulla previdenza – ha affermato Pisauro – devo dire che se uno valuta già la riforma del 95, la dinamica della spesa italiana è in qualche modo su un sentiero diverso, gli interventi successivi hanno lavorato all’interno di quel quadro. Quello che si poteva anticipare era la riduzione del tempo del passaggio” dal vecchio al nuovo sistema e “c’è stato un riconoscimento internazionale che l’Italia ha la dinamica “tra le migliori”.