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Home - Rubriche - Poveri e ricchi - Welfare o tasse, la differenza tra destra e sinistra

Welfare o tasse, la differenza tra destra e sinistra

di Maurizio Ricci
11 Novembre 2025
in Poveri e ricchi
Situazione economica peggiorata per quasi il 59% delle famiglie

Uno dei meriti del governo Meloni e, in generale, dell’ascesa della destra nel mondo, è di aver messo a tacere, una volta per tutte, la diatriba su cosa è di sinistra e come distinguerla dalla destra. Al netto delle tante polemiche culturali, dal dopoguerra ad oggi il contrasto destra-sinistra, al fondo, è semplice: welfare contro tasse. La sinistra vuole aumentare la rete di protezione e solidarietà sociale: sanità, scuola, sussidi, pensioni. La destra limitare il peso del fisco sui portafogli individuali: ognuno spenda quel che può. Letto in questa ottica, anche il dibattito politico italiano diventa molto più trasparente, dalle rottamazioni fiscali a ripetizione della Lega agli appelli alla patrimoniale a sinistra. Tuttavia, non è, per forza, una somma algebrica. Se l’economia tira, aumentando le risorse, welfare e tagli alle tasse non si escludono a vicenda. Se l’economia batte la fiacca, invece sì. E bisogna scegliere.

Forse, già oggi. Il segnale che si gioca sul serio è venuto nei giorni scorsi da una fonte non sorprendente. L’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale dice chiaramente che il debito pubblico europeo è talmente cresciuto che bisogna tagliare il welfare. Considerato il garbo e la levità della diplomazia internazionale, il richiamo suona particolarmente crudo. “Un ripensamento del ruolo pubblico può rendere inevitabile, in alcuni paesi – indica il Fmi – misure di bilancio radicali che includono rivedere lo spettro dei servizi pubblici, potenzialmente impattando il contratto sociale esistente”. Ciao Europa, dunque, visto che il modello sociale europeo è rimasto l’ultimo, incontrovertibile, fiore all’occhiello della civiltà europea rispetto al resto del mondo.

Sugli “alcuni paesi” non è lecito avere dubbi. Il rapporto cita esplicitamente il rischio che tutta Europa – ormai “un paese per vecchi” – raggiunga, entro il 2040, livelli di debito “all’italiana” (ovvero sopra il 130 per cento del Pil). Ma l’Italia è solo un esempio. Il richiamo del Fmi è stato raccolto subito: il cancelliere tedesco Friedrich Merz – capo dei conservatori democristiani –  ha già detto che il welfare di oggi non può più essere finanziato.

“Non può più essere finanziato”, esattamente, da chi? Dire, al di là degli eufemismi, che non c’è trippa per gatti è un po’ saltare alle conclusioni. Il debito pubblico europeo è pari, in media, all’88 per cento del Pil. La media è solo apparentemente illusoria: vista la presenza, nella Ue, di meccanismi comunitari di sostegno e soccorso, nel caso di crisi finanziarie nazionali, il parametro che conta è quello complessivo. E, allora, è il caso di ricordare che il Giappone è oltre il 200 per cento e gli Stati Uniti al 110. Sarà anche una cattiva compagnia, ma, come Giappone e Usa, anche l’Europa ha una sua autonoma sovranità monetaria che le lascia ampi margini d’azione. Inoltre, il peso del debito pubblico sull’economia europea è andato non salendo, ma scemando negli ultimi anni. Piano a parlare di emergenza.

Inoltre, nel rapporto debito/Pil, il protagonista è il secondo, la misura dello sviluppo economico. Se l’economia tira, il peso del debito pubblico – come in tutte le frazioni –  si riduce. Il vero problema dell’Europa, prima del debito, sono i 15 anni di ristagno che ci stanno alle spalle, dopo la grande crisi del 2010. Mentre gli Usa trottano, l’Europa, anno dopo anno, continua ad ansimare. Rilanciarla e invertire il circolo con il debito, rendendolo virtuoso, vuol dire investire. Mario Draghi ha anche calcolato quanto: 800 miliardi di euro l’anno. E dove li trova l’Europa? L’Europa li ha. Basta che smetta di spedirli all’estero. Ci sono 9 mila miliardi di euro europei investiti in economie estere, invece che dentro la Ue. Ne partono, ogni anno, circa 600 miliardi. Non lontano dall’obiettivo Draghi.

Insomma, l’emergenza debito non va ingigantita e può essere comunque brillantemente aggirata. Ma, davvero, in caso contrario l’unica alternativa, come sembra suggerire il Fmi, è tagliare le pensioni o il numero di visite in ospedale? Il dibattito sulla patrimoniale va visto lungo quest’asse storico destra-sinistra. Chiedere almeno 20 mila euro – l’1 per cento di 2 milioni – a quel mezzo milione di italiani che controlla il 70 per cento della ricchezza nazionale non sembra un sacrificio impossibile. Sono quasi tutti in forma liquida: non si tratta di costringere la gente a vendere casa. E si possono studiare salvaguardie, tipo esentare del tutto quei primi due milioni. O fare come Mamdani e tassare il reddito, invece della ricchezza. Una addizionale, invece della patrimoniale, fa, forse, meno scandalo. Ma i soldi stanno lì.

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Giornalista

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