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Home - Approfondimenti - Analisi - Riduzione d’orario: dalle aziende ai contratti, a patrimonio generale. Perché sarebbe una soluzione win win

Riduzione d’orario: dalle aziende ai contratti, a patrimonio generale. Perché sarebbe una soluzione win win

di Fausto Durante
12 Marzo 2024
in Analisi
L’orario di lavoro nel contratto a tempo pieno è cosa che appartiene al potere dell’azienda

Foto di Marko Milivojevic da Pixnio

Con la richiesta di Fiom, Fim e Uilm di portare l’orario di lavoro da 40 a 35 ore settimanali, richiesta contenuta nella piattaforma per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore metalmeccanico, si è avuta la definitiva conferma del fatto che il tema della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario è tornato a pieno titolo al centro delle strategie rivendicative del sindacato confederale italiano. Per la verità, dopo circa un quarantennio di oblio, di recente la discussione sulla riduzione dell’orario di lavoro ha conosciuto un prepotente ritorno di fiamma per un insieme di ragioni. In primo luogo, la pandemia da Covid-19, oltre alle misure legate all’emergenza sanitaria, ha reso necessario ricorrere a forme di lavoro a distanza, di lavoro agile e di smart working, che hanno messo in discussione i parametri tradizionali di misurazione della prestazione lavorativa e del suo valore, a partire dalla relazione ora/lavoro. In secondo luogo, la diffusione crescente e sempre più pervasiva nei processi industriali di robot e sistemi di automazione di enorme capacità in termini di risultati ed efficacia, aiutati dal supporto dell’intelligenza artificiale orientata al machine learning e da semiconduttori e microprocessori di nuova generazione, consente alle imprese di accrescere produzione e fatturato. Ma, e qui c’è un terzo elemento da tenere in adeguata considerazione, molto spesso tutto ciò avviene con una riduzione della forza lavoro e un apporto sempre meno necessario del lavoro umano ai processi produttivi. Ce n’è abbastanza, come è evidente, perché in questo contesto il tema della redistribuzione del lavoro e della riduzione dell’orario torni ad essere presente nella discussione pubblica e nei confronti tra sindacati e imprese, alla ricerca di soluzioni contrattuali in grado di cogliere le reciproche esigenze.

La richiesta dei sindacati dei metalmeccanici giunge dopo analoghe iniziative in altri settori alle prese con il rinnovo dei contratti collettivi nazionali. Di riduzione dell’orario di lavoro si è già parlato nelle piattaforme per il legno-arredo, per il credito, per l’industria alimentare, per le telecomunicazioni. In alcuni casi il tema è stato accantonato, per dare maggiore risalto agli aumenti salariali; in altri casi gli accordi hanno fatto registrare piccoli ma simbolicamente rilevanti passi in avanti; in altri ancora i negoziati sono in corso oppure partiranno a breve, come nel caso dei metalmeccanici. Si conferma, quindi, che anche nella contrattazione nazionale di settore l’orario di lavoro e la sua possibile riduzione hanno ritrovato collocazione e, in qualche caso, una nuova centralità. Fenomeno che, peraltro, si registra anche in altri paesi europei. Di recente, il sindacato tedesco IG Metall ha avanzato la richiesta di passare a 32 ore settimanali nelle imprese del settore metalmeccanico, orientamento che si sta facendo strada anche negli obiettivi dei sindacati industriali francesi. Ipotesi analoghe sono allo studio nella discussione dei sindacati belgi e spagnoli, che nei loro paesi hanno registrato sul tema iniziative direttamente promosse dai governi (nel caso del Belgio non contrattate, a differenza di quanto avvenuto in Spagna). In Gran Bretagna i risultati positivi di una sperimentazione della settimana di quattro giorni in circa settanta imprese di diversi settori, con oltre tremila lavoratori coinvolti, hanno contribuito ad alimentare il dibattito sulla riduzione dell’orario di lavoro, che nella fase più acuta della pandemia era stato aperto da politici, accademici e dirigenti sindacali.

A queste situazioni di carattere nazionale vanno aggiunti i sempre più frequenti accordi di tipo aziendale che intervengono sui regimi degli orari di lavoro e ne prevedono rimodulazione e riduzione. Per restare all’Italia, si è molto parlato dell’iniziativa assunta da Intesa San Paolo, poi sfociata in un accordo sindacale che ha portato a una riduzione dell’orario per alcune aree delle attività nella banca. Una notevole rilevanza mediatica hanno avuto anche gli accordi stipulati in Lamborghini e Luxottica, in cui – con modalità differenti – si prevedono consistenti riduzioni di orario insieme a nuovi regimi di turni, a investimenti su sicurezza e ergonomia, a strumenti di conciliazione migliore tra vita e lavoro. Una sperimentazione di orario ridotto è in atto in Leonardo, azienda leader nelle alte tecnologie, mentre il sindacato pensa di porre la questione anche a Poste Italiane. E l’elenco potrebbe continuare.

Insomma, per diverse ragioni e per una serie di spinte convergenti, sempre più spesso i sindacati includono la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario nelle loro rivendicazioni e, di conseguenza, cresce il numero degli accordi settoriali o aziendali in cui a quella richiesta viene data una risposta. Del resto, nelle migliori esperienze tra quelle sopra citate si trova conferma del fatto che la riduzione negoziata dell’orario generalmente porta soluzioni win-win, indispensabili per coinvolgere i lavoratori nel processo di transizione ecologica e digitale dell’economia e per farne attori attivi, non spettatori passivi. Così come si producono vantaggi condivisi tra le differenti parti in causa: la produttività e gli indici di performance delle imprese ne beneficiano, insieme al benessere dei lavoratori, agli effetti sull’occupazione, alla soddisfazione degli stakeholders. Per il valore simbolico e per l’effetto traino che da sempre contraddistinguono il contratto dei metalmeccanici, la presenza nella piattaforma per il rinnovo contrattuale della richiesta delle 35 ore fa ben sperare. C’è da augurarsi anche da parte delle imprese e di Federmeccanica un atteggiamento di apertura alla sperimentazione di soluzioni che hanno già trovato riscontro positivo in tante situazioni aziendali. Del resto, nel passato è avvenuto spesso che il contratto collettivo di una categoria recepisse orientamenti e tendenze ben presenti nella contrattazione aziendale, facendone patrimonio generale. Sarebbe un segnale positivo per tutto il paese e per la modernizzazione della società e dell’idea di lavoro, in sintonia con il tempo nuovo che stiamo vivendo.

Fausto Durante, Segretario generale Cgil Sardegna e consigliere Cnel

Fausto Durante

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