Il 1° aprile è terminata la fase emergenziale e semplificata per l’accesso allo smart working per alcune categorie di lavoratori, fragili e con figli minori di 14 anni, e si è tornati alla legge 81 del 2017 che prevede la sottoscrizione di accordi individuali tra lavoratore e azienda per poter beneficiare del lavoro agile.
Nel settore bancario le prime sperimentazioni dello smart working risalgono al 2014, spiega Silvia Boniardi, responsabile del Dipartimento Contrattuale della Uilca, ben prima della legge del 2017, con alcune esperienze rilevanti come quella del Gruppo Intesa Sanpaolo. Le sperimentazioni e gli accordi aziendali sono stati le basi per il successivo inserimento, all’interno del contratto nazionale di categoria del 19 dicembre 2019, di un’ampia e articolata regolamentazione del lavoro agile per il settore del credito.
Con lo scoppio della pandemia lo smart working si è diffuso in tutte le aziende del credito per garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro sia per i lavoratori che per la clientela. Questa situazione ha dato origine a due grandi differenze. “La prima – afferma Boniardi – tra aziende che già avevano sperimentato il lavoro agile, inserendolo nella propria organizzazione del lavoro e normandolo con accordi aziendali, seppure in alcuni casi sperimentali, e quante non l’avevano mai applicato. Le prime, avendo già maturato un’esperienza significativa, si sono trovate in una situazione di vantaggio rispetto alle altre e hanno quindi dovuto ampliare qualcosa di già esistente. Le seconde, invece, sono dovute partire da zero affrontando notevoli difficoltà, soprattutto nel primissimo periodo. Basti pensare, ad esempio, al tema della sicurezza informatica su dati sensibili, come quelli trattati nelle aziende del credito”.
“La seconda – prosegue Boniardi – ha riguardato le aziende senza contatto col pubblico, che hanno potuto utilizzare lo smart working in modo pressoché totale, e quelle con filiali e servizi aperti al pubblico. In queste ultime si è creata un’ulteriore differenziazione tra il personale che poteva usufruirne, e quanti invece dovevano garantire il servizio pubblico. La distinzione ha creato enormi tensioni, in un momento storico in cui l’attenzione e la paura per la propria salute erano a livelli molto alti. Tutt’oggi permangono aree di attrito tra quanti possono utilizzare la modalità del lavoro agile e quanti non possono: gli spazi di conciliazione tra i tempi vita e quelli di lavoro sono ben diversi tra chi può inserire sino a una decina di giorni di lavoro agile al mese e chi non può”.
Per ovviare a questa differenziazione gruppi come “Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Bper, Crédit Agricole Italia, Banca Sella, solo per citarne tra i più significativi, hanno introdotto, attraverso accordi aziendali, la possibilità del lavoro agile per tutto il personale. Sono stati così coinvolti gli addetti delle filiali, offrendo loro, come base minima di partenza, la possibilità di alcune giornate di formazione in modalità da remoto.
Per quanto riguarda la regolamentazione dello smart working prevista dal contratto collettivo i due requisiti fondamentali sono quello della volontarietà individuale e dell’alternanza con la presenza fisica. “Il lavoro in presenza – precisa la responsabile del Dipartimento Contrattuale della Uilca – conserva una valenza sociale, data dalla collaborazione e lo scambio tra le persone. Anche la volontarietà sembra essere molto gradita, secondo i dati di Intesa Sanpaolo, primo gruppo del paese, dove su 93mila 759 dipendenti 74mila 600 hanno aderito al lavoro agile. Così come in Banco Bpm, dove nel 2023 il 30% delle giornate lavorative è stato svolto in smart. Per il 2024 la banca prevede un aumento al 40%. Nel credito, comunque, pur in presenza di un accordo collettivo, il più delle volte inserito come elemento di valore nel contratto di secondo livello, viene richiesta anche l’adesione individuale dei dipendenti, che è ovviamente fondamentale nelle aziende dove non vi è un accordo aziendale sul tema”.
La diffusione dello smart working ha comportato una riduzione significativa dei costi dovuta al ridimensionamento delle sedi. “Deutsche Bank, Bnl e Unicredit prevedono – secondo Boniardi – una riduzione del 40% degli spazi utilizzati. Unicredit ha ceduto in affitto una delle sue nuove torri della sede centrale di Milano, a causa del 60% medio in meno di presenze fisiche. Il sindacato sta chiedendo che il taglio dei costi di cui beneficiano le aziende sia usato per ristori economici per i dipendenti che hanno sì benefici in termini di minor costo nei trasporti ma aggravi delle proprie spese energetiche. Ma le rivendicazioni economiche non toccano solo gli smart worker: i minori costi e la maggiore produttività derivante da questa rivoluzione organizzativa devono essere redistribuiti su tutto il personale”.
Venendo agli effetti derivanti dall’estensione dello smart working, per Boniardi “dalle analisi sulle esperienze più mature di smart working emerge che le aziende che hanno accompagnato questa evoluzione con profonde modifiche organizzative in termini di policy, innovazione tecnologica, riorganizzazione degli spazi e comportamenti e stili di leadership, quindi con un importante impegno formativo, sono più attrattive nei confronti dei talenti e dei giovani, con benefici sul clima aziendale e sul benessere del personale. Se questo processo di cambiamento ha permeato in profondità la cultura dei responsabili, modificandone la skill da controllore a coordinatore, con uno stile di management basato sulle relazioni, non ci dovrebbero essere riflessi negativi sulla carriera. Anzi, lavorando per obiettivi dovrebbe essere favorito il merito e quindi l’inclusività. Al fine di evitare però che possa realizzarsi una differenza di opportunità di carriera tra chi può o meno utilizzare il lavoro agile, il sindacato – conclude Boniardi – punta ad accordi più stringenti sui percorsi professionali, diminuendo così i timori su implicazioni negative per la progressione di carriera, che in questo momento di transizione possono ancora esistere”.
Se la storia dello smart working nel settore bancario inizia nel 2014, quella delle assicurazioni prende piede solo due anni dopo. In quell’anno “viene sottoscritto il primo accordo nel Gruppo Generali – spiega Emanuele Bartolucci, segretario nazionale Uilca – mentre nel febbraio 2021 viene firmato il protocollo nazionale con Ania. Nel periodo della pandemia la legge 81 viene derogata per motivi sanitari e consentire a lavoratori e imprese di accedere in modo più veloce a tale modalità di lavoro”.
“Nel settore assicurativo lo smart working – continua Bartolucci – è molto diffuso, seppur con modalità e proporzionalità diverse, in base alle scelte fatte a livello di gruppo/azienda. L’accordo nazionale sullo smart working inserito nell’ultimo contratto collettivo Ania ne valorizza e, al tempo stesso, ne limita l’utilizzo, rendendolo una forma di lavoro che integra la modalità di lavoro tradizionale ma non la supera. Gli accordi sottoscritti nelle aziende vanno dal 60% del lavoro in remoto e 40% in presenza del gruppo Generali, passando per il 50 e 50 di Allianz per arrivare al 20-80 di Unipol. Le adesioni allo smart working, che è volontaria, sono molto alte quasi plebiscitarie: questo a dimostrare come, ad oggi, gli addetti valutano in modo estremamente positivo questa modalità di lavoro”.
Per il segretario nazionale Uilca “lo smart working è una grande risorsa e una grande opportunità per diversi aspetti: può essere un grande ausilio per la conciliazione tra tempi vita-lavoro, migliorando la qualità della vita delle persone, con effetti positivi anche sulla produttività, e può essere un alleato anche della sostenibilità economica. Ha però, tuttavia, grandi rischi intrinsechi. Il suo eccesivo utilizzo può isolare il lavoratore e renderlo più debole. Lo svuotamento delle sedi, inoltre, può portare al depauperamento del territorio. Infine la maggiore produttività può derivare da un maggior numero di ore lavorate anziché da una maggiore qualità del lavoro prodotto”.
In virtù di questa duplice faccia del lavoro agile, “il ritorno alla legge 81 – argomenta Bartolucci – che rende l’accesso al lavoro agile più ragionato, e che pone come necessario, anche se non obbligatorio, l’accordo sindacale è positivo. È compito degli accordi sindacali trovare le giuste proporzioni che possano massimizzare gli aspetti positivi e limitare al massimo quelli negati. Andrebbe poi fatta una valutazione, insieme con la politica – chiude Bartolucci – per un potenziamento della legge 81, in un’ottica di maggiore garanzia rispetto ai rischi sopra elencati rendendo obbligatorio l’accordo sindacale”.
Tommaso Nutarelli



























