I dazi di Trump spaventano l’agroalimentare e il mondo del vino italiano, che hanno negli Usa un mercato fondamentale, con 7,8 miliardi di euro di esportazioni complessive nel 2024, di cui 1,9 miliardi solo di vino, con gli Stati Uniti che costituiscono il primo partner per le cantine tricolore.
Le reazioni da parte delle associazioni di categoria non sono mancante alla notizia delle nuove tariffe doganali. Federvini ha espresso “profondo rammarico e forte preoccupazione. Una scelta che rappresenta un grave passo indietro nei princìpi di libero scambio internazionale e che danneggerà pesantemente l’interscambio transatlantico, con effetti particolarmente dannosi sulla competitività delle imprese del settore agroalimentare. Il solo comparto di vini, spiriti e aceti italiani – spiegano – vale oltre 2 miliardi di euro di esportazioni verso gli Stati Uniti e coinvolge 40mila imprese e più di 450mila lavoratori lungo l’intera filiera.
“La misura avrà impatti rilevanti anche su consumatori e operatori oltreoceano: sono migliaia gli addetti delle società USA coinvolti nell’importazione e distribuzione di questi prodotti, e l’aumento dei prezzi non sarà limitato ai dazi imposti, ma si estenderà a tutta la catena commerciale”.
Per la presidente Micaela Pallini “la decisione di applicare dazi alle esportazioni europee negli Stati Uniti rappresenta un danno gravissimo per il nostro settore e un attacco diretto al libero mercato. Ci siamo già passati, e sappiamo bene quanto possa costare: in passato queste misure ci hanno portato a perdere fino al 50% delle esportazioni verso gli USA. Ora rischiamo di rivivere quel trauma economico, con ripercussioni pesantissime su tutta la filiera, dalla produzione alla distribuzione, fino al consumatore finale. Serve ora più che mai compattezza e determinazione da parte delle nostre istituzioni per contenere gli effetti devastanti di queste misure inutilmente protezionistiche e antistoriche”.
. Per il presidente dell’Unione Italiana Vini, Lamberto Frescobaldi, è necessario “fare un patto tra le nostre imprese e gli alleati commerciali d’oltreoceano che più di noi traggono profitto dai vini importati: serve condividere l’onere dell’extra-costo ed evitare di riversarlo sui consumatori”.
Secondo un’analisi dell’Osservatorio Uiv, l’unica soluzione è infatti da ricercare lungo la filiera, con il mercato che dovrebbe farsi carico di un taglio dei propri ricavi per un valore pari a 323 milioni di euro, su un totale di 1,94 miliardi, e mantenere così invariati sul consumatore finale. Secondo Uiv ben il 76% delle 480 milioni di bottiglie spedite lo scorso anno verso gli Stati Uniti si trova in “zona rossa”, con una esposizione sul totale delle spedizioni superiore al 20%. Le aree enologiche sono il Moscato d’Asti (60%), il Pinot grigio (48%), il Chianti Classico (46%), i rossi toscani Dop al 35%, i piemontesi al 31%, così come il Brunello di Montalcino, per chiudere con il Prosecco al 27% e il Lambrusco. In totale sono 364 milioni di bottiglie, per un valore di oltre 1.3 miliardi di euro, ovvero il 70% dell’export italiano verso gli Stati Uniti.
“Rispetto ai partner europei – ha detto il segretario generale dell’Uiv, Paolo Castelltti, – l’Italia presenta due principali fattori di rischio: da una parte la maggiore esposizione netta sul mercato statunitense, pari al 24% del valore totale dell’export contro il 20% della Francia e l’11% della Spagna. Dall’altra, una lista di prodotti più sensibili su questo mercato, sia in termini di esposizione, che di prezzo medio a scaffale. Solo il 2% delle bottiglie tricolori vendute in America vanta un price point da vino di lusso, mentre l’80% si concentra nelle fasce “popular”, che tradotto in prezzo/partenza significa in media poco più di 4 euro al litro”.
Una preoccupazione che arriva anche dal mondo della cooperazione. Raffaele Drei, presidente di Confcooperative Fedagripesca, “il fatturato delle cantine cooperative è di oltre 570 milioni di euro, il 30% di tutto l’export vitivinicolo nel mercato statunitense, mentre per un altro settore ad alto valore aggiunto con le sue produzioni Dop come i formaggi, le cooperative commercializzano negli Stati Uniti 122 milioni di euro, il 25% di tutte le vendite di formaggi negli Usa, che nel 2024 hanno toccato quota 484 milioni di euro”.
“I dazi del 20% sul vino Ue, e quindi anche italiano, potrebbero essere un duro colpo per il commercio con gli Usa, un mercato che vale 4,88 miliardi di euro e che rappresenta il 28% del valore totale delle esportazioni di vino Ue”, aggiunge Cristian Maretti, presidente Legacoop Agroalimentare.
“Un duro colpo non soltanto per il vino, ma anche per altri settori dell’agroalimentare – aggiunge Maretti – come il lattiero-caseario, con i formaggi a pasta dura con i dazi che passano dal 15 al 35%, che trovano negli Stati Uniti un mercato importante di riferimento. A risentirne saranno le filiere italiane, ma anche i consumatori americani, che dovranno fare i conti con l’aumento dei prezzi delle bottiglie nei supermercati e nei ristoranti”.
Per la Coldiretti “sarebbe di 1,6 miliardi di euro il costo che graverebbe sui consumatori americani con l’introduzione del dazio al 20% su tutti i prodotti agroalimentari made in Italy annunciato dal presidente Trump, con un calo delle vendite che danneggerà le imprese italiane, oltre ad incrementare il fenomeno dell’Italian Sounding. A questo, “va poi aggiunto il danno in termini di deprezzamento delle produzioni, da calcolare filiera per filiera, legato all’eccesso di offerta senza sbocchi in altri mercati. Senza dimenticare l’aumento dei costi di stoccaggio, tanto più sensibili se legati alla deperibilità del prodotto. L’altro fattore che preoccupa è il pericolo – continua Coldiretti – di perdere quota di mercato e posizionamento sugli scaffali conquistati, favorendo la concorrenza da parte di altri paesi colpiti in maniera meno pesante dai dazi”.

























