“Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì? Sono stati i Re a strascicarli, quei blocchi di pietra?”
Se lo chiedeva Bertolt Brecht, in una famosa poesia. Qui, più prosaicamente, ci chiediamo: ma il Ponte sullo Stretto di Messina, chi lo costruirà? Lasciando per un attimo da parte le polemiche sui costi, sprechi, adeguatezza dell’opera, eccetera, vale la pena di osservare che la quota di nuova occupazione richiesta dalla mega infrastruttura annunciata da Matteo Salvini è decisamente ingente, anche se le cifre variano a seconda degli anni e delle stagioni. Nel 2011, all’epoca del progetto Ponte lanciato dall’allora premier Silvio Berlusconi, si parlava di 40 mila nuovi posti di lavoro, poi saliti a 100 mila nel 2016, quando Matteo Renzi recuperò l’idea già cestinata da Monti nel 2012. Oggi, Salvini promette ben 120 mila nuovi occupati, vantando anche il fatto che riguarderanno il sud, l’area col più alto tasso di disoccupazione giovanile d’Italia, e promettendo che la formazione dei nuovi addetti sarà concentrata tra Sicilia e Calabria.
Ma resta la domanda: dove e come si riuscirà a trovare tutta questa mano d’opera, in un paese che non riesce più a soddisfare nemmeno le richieste delle aziende già esistenti, figuriamoci di quelle nuove che dovranno realizzare il ponte? Basta dare un’occhiata a qualche numero per capirlo. Un report di InfoBuild, il portale dell’edilizia, sostiene che da qui al 2028, senza considerare il Ponte, il settore avrà bisogno di almeno 210 mila nuovi addetti, sia per il necessario ricambio dei lavoratori in uscita, sia per le nuove competenze richieste. Eppure, già oggi il 51% delle ricerche non va a buon fine.
L’Ance, l’associazione dei costruttori, nel 2023 lamentava ‘’la grave carenza di manodopera’’, sottolineando che nel giro del decennio 2008-2018 il settore aveva dovuto fare a meno di 600 mila addetti. Nel frattempo, avvertiva, “il lavoro si è moltiplicato e non riusciamo a reperire il personale qualificato necessario”. Per non dire del Pnrr, che ha raddoppiato il lavoro, ma non è riuscito a moltiplicare la manodopera disponibile, sempre più introvabile. Stesso scenario in un report dell’Osservatorio Saie- Nomisma, del 4 agosto 2025, dove si spiega che è “il reperimento di operai altamente specializzati a costituire la maggiore criticità per le aziende, frutto della carenza di candidati adeguatamente formati e, secondariamente, dall’inadeguatezza delle competenze rispetto alle esigenze specifiche delle aziende e dalla scarsa disponibilità di spostamento territoriale dei profili ricercati, soprattutto nelle regioni settentrionali”. Una azienda su dieci, avverte il report, si è vista costretta a rinunciare alla partecipazione a specifici bandi proprio per l’impossibilità di disporre del personale necessario.
Un problema che non riguarda solo l’edilizia, ma tutti i settori. I dati Excelsior – Unioncamere dicono che sulle 497 mila assunzioni previste dalle aziende per gennaio 2025, sono rimasti vacanti 246 mila posti: il 49,4%. Non si trova personale ad alto livello di formazione ma nemmeno maestranze senza competenze. Mancano analisti e specialisti della progettazione (62%), mancano Ingegneri (58%), e mancano, soprattutto, operai specializzati, fonditori, saldatori, lattonieri, montatori di carpenteria metallica, eccetera, per ben il 74% delle richieste. A queste carenze ormai croniche si aggiungono altri fattori penalizzanti: l’occupazione in edilizia è sempre più anziana, mentre i giovani sono sempre meno, complice anche lo scarso appeal del lavoro edile, faticoso, pericoloso, costellato da gravissimi incidenti mortali. I giovani italiani, del resto, preferiscono emigrare: se ne sono andati in quasi 200 mila solo lo scorso anno. E la maggior parte, nonché’ quella più qualificata, scappa proprio dal sud. Inoltre, come sappiamo in Italia non c’è ricambio sul mercato del lavoro: i nuovi occupati, ci dice l’Istat, sono per lo più over50, e difficilmente la situazione potrà migliorare nell’arco di tempo da oggi al 2033, data di inaugurazione prevista per il Ponte. Anzi: secondo tutti i centri studi, potrà soltanto peggiorare.
Quello che invece oggi abbonda, nel settore edile nazionale, è la mano d’opera straniera: tra le attivazioni di contratti di lavoro per cittadini non italiani il 34% riguarda le costruzioni, che seguono dappresso l’agricoltura, dove gli stranieri sono il 40%. E mentre l’occupazione italiana in edilizia ha visto un calo del 2,2 per cento, quella “non Ue” è aumentata del 6,1%, secondo i dati raccolti dalla Feneal Uil. Nel solo 2023 le assunzioni programmate di personale straniero sono state 119 mila, con un aumento del 25% sul 2022 e addirittura del triplo rispetto al 2019.
Ma se questo è il quadro, la soluzione per il Ponte potrebbe arrivare proprio dagli stranieri: magari attraverso una super sanatoria per le migliaia di giovani immigrati che, pur approdati in Italia da tempo, non possono lavorare a causa di leggi insensatamente punitive che li privano del permesso di soggiorno. Se fossero messi in condizioni di fare, grazie a loro si potrebbero riempire i vuoti dell’occupazione e, nel contempo, ottenere altre conseguenze positive: stroncare, o almeno ridurre, la piaga del lavoro nero in edilizia, il più esposto a incidenti e abusi, e inoltre, attraverso la poderosa formazione annunciata da Salvini, favorire l’integrazione dei giovani immigrati in un tessuto sociale più civile. Purtroppo, si sa che il mantra preferito del ministro delle Infrastrutture e Trasporti è invece la cosiddetta “guerra all’immigrazione”, ma chissà: forse in nome dell’amato Ponte potrebbe prendere in considerazione di cambiare idea. A meno che non voglia strascicarsi da solo i blocchi di pietra, certo.
Nunzia Penelope