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Home - Rubriche - Poveri e ricchi - Quel che il governo non dice sull’economia italiana

Quel che il governo non dice sull’economia italiana

di Maurizio Ricci
8 Ottobre 2025
in Poveri e ricchi
L’evasione fiscale: un fenomeno ancora da interpretare

MONETE DENARO SPICCIOLI SOLDI PILE DI ACCUMULO RISPARMIO ACCUMULO MUCCHIO

Salvini prenda fiato e, per una volta, ringrazi l’Europa. Perché, senza Europa, il governo Meloni-Salvini-Tajani starebbe navigando su una recessione dell’economia italiana, con l’aggravante che la luce in fondo al tunnel si vedrebbe molto lontano, più di qualche anno. Non lo dico io, lo dice lo stesso governo Meloni-Salvini-Tajani. Anzi, per essere più esatti, (non) lo dice il ministro del Tesoro, Giorgetti, nel Documento programmatico di finanza pubblica, approvato dal Consiglio dei ministri e messo in rete in questi giorni. Lo dicono, cioè, i numeri elencati nel Dpfp, ma Giorgetti si guarda bene dal fare le somme. Per la serie: due più due, ma se fa quattro non lo so, vedremo. Non è la sola cosa che il Dpfp non dice e questo spiega, forse, perché una svolta che si vorrebbe trionfale sia stata accolta da molti meno applausi di quello che il governo si aspettava.

A guardare la copertina, infatti, questo Dpfp è quasi storico. Da molti anni, ormai, non c’era un settembre che non si chiudesse con l’annuncio di manovre lacrime e sangue. Per una volta, invece, la situazione dei conti è seria, ma non disperata. In buona misura, è il risultato di quel che avviene fuori dai confini e dal raggio d’azione dello stesso governo: la crisi tedesca prima, francese poi hanno tolto pressione alla nostra finanza pubblica e contenuto la massa degli interessi da pagare sul debito. Il deficit, dunque, grazie anche alla chiusura del lungo capitolo del Superbonus, non si gonfia, anzi va sotto alle attese, dando spazio per qualche iniziativa, soprattutto fiscale, che compatti un consenso verso il governo che appare già solido.

Almeno così presenta le cose il Dpfp di Giorgetti, anche se pochi, fuori dal perimetro della maggioranza, sembrano convinti. Sia Corte dei conti che Banca d’Italia, ad esempio, sono poco sicuri delle coperture che la manovra avrebbe in bilancio o, più esattamente, non hanno capito dove Giorgetti pensi davvero di trovare i soldi che gli servono. Il prevedibile balletto su come e dove distribuire i più e i meno della manovra, tuttavia, non è il capitolo più importante. La questione cruciale è: come uscire dal ristagno in cui è caduta l’economia italiana e in cui sembra destinata a rimanere a lungo? L’Italia ha dimenticato come crescere. Il caos del ciclone Trump, le incertezze internazionali non aiutano, ma non possono essere tutta la storia.

Se i numeri che Giorgetti fa finta di non vedere sono giusti, crescita zero sarebbe già un buon risultato. Il Dpfp prevede che, nel 2025, l’economia cresca dello 0,5 per cento, nel 2026 e nel 2027 dello 0,7, nel 2028 dello 0,8 per cento. Lo zero virgola non è un gran che, ma come ci arriviamo? Il Dpfp spiega che la spesa per il Pnrr, ovvero il grande piano di investimenti reso possibile dagli aiuti europei, darà una spinta pari ad un più uno per cento quest’anno. Se il Pnrr da più uno, ma il risultato è solo 0,5, vuol dire che, senza Pnrr, saremmo a meno 0,5 per cento, in piena recessione. Destinata a prolungarsi: nel 2026 il Pnrr fornirà uno stimolo pari all’1,5 per cento, ma il Pil crescerà solo dello 0,7 per cento. Ovvero, senza Pnrr la recessione si aggraverebbe, con un ulteriore meno 0,8 per cento. Ringraziamo Bruxelles.

Il Pnrr, nel 2026, si ferma, ma avrebbe dovuto dare, con la massiccia iniezione di investimenti, una scrollata ricostituente all’economia. Di questo slancio, però, non si vede traccia. Nel 2027 e nel 2028 la crescita, anche senza Pnrr, diventa finalmente positiva, ma comunque nell’orbita dell’eterno zero virgola: 0,7, 0,8 per cento. La Germania, grande malata d’Europa, vittima designata delle offensive tariffarie di Trump, almeno nelle previsioni, fa molto meglio, issandosi sopra l’1 per cento, senza traccia di Pnrr.

Forse è giunto lo sgradevole momento di chiedersi se il grande piano post-Covid non sia diventato una occasione perduta. Il dato forse più deprimente dell’intero Dpfp riguarda la produttività del sistema Italia: meno 0,2 per cento negli anni fra il 2024 e il 2026, 0 tondo dopo. Senza trampolino, non c’è slancio.

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Giornalista

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