La Procura di Milano, con il pm Paolo Storari, ha chiesto l’amministrazione giudiziaria per l’azienda di moda Tod’s. L’accusa è di omesso controllo sulla catena di produzione, dove si sarebbero verificati episodi di “sfruttamento del lavoro” in alcuni opifici gestiti da cinesi le cui condizioni sono state definite “ottocentesche” e i ritmi produttivi da “para-schiavitù”. La richiesta della Procura è stata respinta sia dal tribunale di Milano che dalla Corte d’appello, per cui è stato presentato ricorso alla Corte di Cassazione che deciderà se affidare la competenza territoriale del caso all’ufficio requirente di Milano o di Ancona, capoluoghi delle regioni dove hanno sede i laboratori. L’udienza sarebbe stata fissata per il prossimo 19 novembre.
Il caso si aggiunge alla lista di altre aziende coinvolte in vicende analoghe. Sotto la lente degli inquirenti, infatti, sono finite anche le maison Alviero Martini spa, Armani Operations, Dior, Valentino e Loro Piana, alcune delle quali hanno già chiarito la loro posizione. Per quanto riguarda Tod’s, i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro hanno “fotografato un fenomeno dove due mondi, solo apparentemente distanti, quello del lusso da una parte e quello di laboratori cinesi dall’altra, entrano in connessione per un unico obiettivo: abbattimento dei costi e massimizzazione dei profitti attraverso elusione di norme penali giuslavoristiche”. Ai lavoratori, infatti, sarebbe corrisposta una paga oraria da 2,75 euro, costretti a svolgere le attività “prevalentemente di notte, nei giorni” di festa, in opifici i cui macchinari sarebbero stati privi di dispositivi di sicurezza per ottimizzare i tempi di produzione.
Tod’s, formalmente non indagata, si dice estranea ai fatti. In una nota, il gruppo Della Valle spiega che è stata rispettata “tutta la normativa vigente, compresa quella che regola il mondo del lavoro” e che “i propri ispettori eseguono controlli costanti nei confronti dei laboratori che seleziona e utilizza” fermo restando che “la qualità dei prodotti e la qualità della vita lavorativa dei nostri dipendenti sono elementi imprescindibili”.
Ma ad arringare più duramente la difesa è il patron Diego Della Valle. Grande fiducia nella magistratura, afferma intervenendo al 40esimo convegno dei Giovani di Confindustria a Capri, ma “dire che c’è del caporalato in mondi come i nostri è una grossa stupidaggine”. “Quello che ribadisco – ha aggiunto – è che non possiamo trattare con leggerezza temi che riguardano la dignità e la reputazione delle aziende, e non possiamo pensare che sia indolore qualsiasi cosa si dica, che si possa additare, nel mio caso a livello mondiale. Il mio invito è ragionare e riflettere: abbiamo bisogno di una normativa che pur controllando qualsiasi cosa, capisca come è questo mondo”.
“Venite a vedere le nostre aziende, organizziamo delle visite, guardate le aziende – ha proseguito Della Valle -. Le nostre aziende non sfruttano nessuno, il caporalato riguarda altri mondi non noi, è offensivo. Io conosco tanti magistrati, gente in gamba, anche loro devono fare in modo che non scappino sulle fasce laterali dei ragazzi che si credono padroni del mondo. Io ho grande fiducia nella magistratura, e se qualcuno a volte esagera lo fa in buona fede. Siamo italiani veri – ha concluso -, ma dobbiamo congiungere i controlli ferrei che sono indispensabili con la il rispetto della storia delle aziende”.
Il caso, tuttavia, ha destato l’attenzione dei sindacati. “Il lavoro della magistratura va sempre rispettato e gli accertamenti dell’Ispettorato del Lavoro presi con la massima serietà”, affermano Cgil e Filctem. “Se nella filiera Tod’s vi sono lavoratori a nero e caporalato nei subappalti, vuol dire che i modelli organizzativi e gestionali del committente non sono così precisi e puntuali come si riteneva, occorre quindi cambiarli e soprattutto rafforzarli. Oppure, come è possibile, ridurre il ricorso agli stessi subappalti e subforniture investendo di più su un modello di impresa con più lavoro diretto, qualità, buoni salari, sicurezza”.
Quello che sicuramente non si può fare, attaccano Cgil e Filctem, è “invocare un cambio delle norme conquistate dal mondo del lavoro che, in questi anni, hanno consentito di contrastare modelli di sfruttamento purtroppo fortemente presenti nel nostro modello produttivo”. Il rischio è di “scaricare solo sull’ultimo anello della produzione le scelte, i modelli produttivi o le omissioni dell’impresa madre che poi beneficia in termini di alti ricavi del lavoro di tutta la filiera”. Motivo per cui la Cgil scenderà in piazza, “per contrastare ogni tentativo da parte del Governo di ridurre le tutele dei lavoratori in appalto e subappalto, di ridurre le responsabilità del committente, di depotenziare ulteriormente i servizi ispettivi e di presidio del territorio”. La richiesta è chiara: meno appalti e meno subappalti, stop al subappalto a cascata, portare le tutele e le responsabilità previste per gli appalti pubblici negli appalti privati, generalizzare modelli di verifica della corretta quantità di manodopera e costo del lavoro contro ogni forma di dumping contrattuale, concorrenza sleale, lavoro irregolare e sfruttamento, per garantire la sicurezza di lavoratrici e lavoratori , per contrastare le infiltrazioni di criminalità e mafia nell’economia.
Ad attaccare scende anche la politica, con il vicepresidente di AVS alla Camera, Marco Grimaldi, che decostruisce il discorso di Della Valle. “Le aziende non si difendono assegnandosi medaglie da soli, ma garantendo trasparenza. Della Valle dovrebbe fare meno il bullo ed evitare di fare sarcasmo sul pm che, ben analizzando la situazione nella filiera che fa capo a Tod’s, ha disposto l’amministrazione giudiziaria per la sua azienda. Chi parla di dignità imprenditoriale dovrebbe prima guardare alla propria filiera: appalti, subappalti, cooperative spurie e contratti a giornata. Si preoccupi prima di tutto Della Valle di controllare ogni ditta fornitrice e garantire rispetto delle leggi e dei diritti dei lavoratori lungo tutta la filiera”. E conclude: “Il caporalato non è una ‘stupidaggine’, è il risultato di un sistema che scarica il costo del profitto sui più fragili. E nella moda, come nell’agroalimentare, non basta dire ‘non ne sappiamo nulla’: bisogna dimostrare di non averne beneficiato’”.
Per parte propria, il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, ha assicurato l’impegno del Governo per tutelare la reputazione della moda italiana nel mondo. Urso ha illustrato a Della Valle il provvedimento legislativo che, d’intesa con le associazioni del settore, si ripromette di garantire la piena legalità della filiera produttiva, prevedendo che i brand della moda che producono nel nostro Paese possano certificare in via preventiva, con un ente terzo, le aziende della loro filiera sul piano della piena legalità, sociale e ambientale. Questo consentirebbe, dice il Mimit, anche di contrastare in modo più efficace il fenomeno criminale del caporalato e di valorizzare coloro che producono nel pieno rispetto delle norme sul lavoro e sull’ambiente, rafforzando così le Pmi e gli artigiani, maestri del saper fare.
“Dobbiamo necessariamente dare una risposta, elevando da subito la sostenibilità della filiera e garantendo ai consumatori mondiali che il made in Italy è anche bellezza nella legalità”, afferma il ministro. Per questo motivo, in vista del tavolo della moda del 17 novembre, Urso ha convocato un tavolo per mercoledì 15 ottobre con i rappresentanti delle principali associazioni del comparto sulle azioni di contrasto del caporalato e tutela del Made in Italy,
Ma le critiche arrivano anche dal Pd, con Maria Cecilia Guerra, deputata e responsabile nazionale Lavoro del Pd e Arturo Scotto, capogruppo Pd in commissione Lavoro della Camera, che chiedono retoricamente: “Quale responsabilità deve essere mantenuta in capo all’azienda committente rispetto ad una filiera di appalti e subappalti entro cui si possono sviluppare problemi di caporalato e altre forme di illegalità?”. Al di là delle responsabilità nel caso specifico, per i due esponenti democratici è “singolare che chi dirige una grande azienda non capisca che quello che accade lungo la filiera degli appalti riguarda innanzitutto il sistema di controllo della committenza. E dunque la sua responsabilità sociale nell’impresa. Per queste ragioni continuiamo a opporci a qualsiasi colpo di spugna che possa arrivare dal governo”. La via non è quella, che sembra invocata dal ministro Urso, di aggirare il lavoro della magistratura deresponsabilizzando l’impresa, ma al contrario – concludono Guerra e Scotto – quella di rendere effettivi i modelli organizzativi e gestionali perché alla fine della catena non ci siano lavoratori schiavizzati, illegalità e rischi per la sicurezza”.
Elettra Raffaela Melucci