È notte fonda per l’industria italiana. A lanciare l’allarme è la Cgil con l’iniziativa “Industria in crisi, governo assente” che si è tenuta nella sede di Corso d’Italia.
“Vogliamo dare voce al paese reale contro la propaganda del governo. Viene descritta un’Italia che non esiste. Manca una politica industriale per governare le trasformazioni. Assenti gli investimenti pubblici e privati e non c’è una strategia per il post Pnrr” ha detto il segretario generale della Cgil Maurizio Landini.
I numeri raccontano di un sistema industriale in affanno e di un pericolo deindustrializzazione sempre più concreto per il nostro paese. La produzione industriale è in calo da 30 mesi e l’indice si attesta al 91,6%, in diminuzione dell’8,4% rispetto al livello medio del 2021 fissato a 100. Il fatturato perso nel 2024 sul 2023, secondo le stime di Prometeia e Intesa Sanpaolo, si attesta a 42 miliardi. A risentirne anche l’occupazione, con il declino della percentuale di addetti nell’industria che è passata dal 21% del 1995 al 15% del 2024. Nei soli primi sei mesi del 2025 il ricorso agli ammortizzatori sociali ha avuto un’impennata del 61% in rapporto all’intero 2024.
Una crisi trasversale geograficamente e nei settori. Le procedure fallimentari sono salite del 17% nel 2024. Il 30% si concentra nel nord ovest e i comparti più toccati sono le costruzioni (+25,7%) e l’industria (+21,2%). Complessivamente si contano 96 tavoli di crisi aperti al Mimit che interessano più di 121mila lavoratori. Un dato che non tiene conto delle numerose vertenze che non superano i confini regionali.
Crisi aziendali che non possono ridursi solo a mere cifre, ma che toccano le aspettative e le paure dei lavoratori coinvolti. Vito Sileo, Rsu Fiom della Valbruna di Bolzano, racconta di un’acciaieria in sostanziale salute, che opera nel rispetto della sostenibilità ambientale e che si ritrova in difficoltà per colpa di un bando di gara, emesso dalla Provincia Autonoma di Bolzano, per l’assegnazione delle aree e degli immobili dove insiste lo stabilimento e che non garantisce la permanenza dell’acciaieria.
C’è poi il declino della Natuzzi, marchio simbolo della sapienza artigiana e del Made in Italy nel legno arredo. Fabio Bello, delegato della Fillea della sede di Bari, parla di delocalizzazioni, piani industriali privi di soluzioni per arrestare la decadenza del gruppo e dell’assenza di una cabina di regia al Mimit. E mentre l’industria del mobile deve fronteggiare i dazi americani senza nessuna contromisura, dalla Cina arrivano prodotti fatti senza il rispetto del lavoro e delle norme ambientali e spacciati per Made in Italy.
Giuseppe Antonelli, Rsu Filcams, lavora alla Trasnova, società dell’indotto di Stellantis. Per 300 lavoratori scadrà tra due mesi l’appalto, senza nessuna garanzia per una continuità produttiva e quindi occupazionale. E c’è chi è rimasto prigioniero di una commessa per il ministero della Salute come i dipendenti di Almaviva. Giancarlo Mancuso, Rsu della Slc, spiega come con lo scoppio del covid nel 2020 gli addetti sono stati spostati dalle commessi Wind al numero di pubblica utilità attivo durante la pandemia. Ma una volta superata la fase emergenziale quasi 500 lavoratori sono stati lasciati a piedi e dal 1° agosto ricevono la Naspi.
“I tavoli nazionali e regionali non stanno producendo soluzioni significative per le vertenze. Abbiamo chiesto al ministro Urso di attivare un osservatorio per fare luce sulle molte situazioni di crisi ferme al livello locale” ha detto il segretario confederale della Cgil, Pino Gesmundo. E Landini ha richiamato la necessità di attivare “un fondo nazionale per le politiche industriali, che vada oltre i classici ammortizzatori sociali e che non sia solo una forma di sostegno al reddito, ma che accompagni i percorsi di riconversione, investendo sulla formazione delle persone”.
Tommaso Nutarelli