Con tutti i guai e le grane che ci sono, Giorgia Meloni per pudore non sta dando troppa enfasi a un progetto che tiene da tempo in cima al cassetto. Alle prese con la guerra in Ucraina, le giravolte psicotiche di Donald Trump, la tregua traballante a Gaza e una legge di bilancio da ritoccare durante un percorso parlamentare che si annuncia a dir poco periglioso, la premier per ora ha messo in stand-by la riforma della legge elettorale. Ma la leader di Fratelli d’Italia, da qui alle elezioni in programma nella primavera del 2027, è determinata a procedere “senza se e senza ma” alla rivisitazione del Rosatellum. I punti salienti: l’attribuzione di un premio di maggioranza del 15% alla coalizione che raggiunge il 40 o il 45% dei voti, la cancellazione dei collegi maggioritari uninominali che assegnano il 37% dei seggi e dove il Campo largo unito potrebbe avere la meglio al Centro e al Sud del Paese (nel 2022 il Pd corse diviso dai 5Stelle e Carlo Calenda e Matteo Renzi rimasero soli al centro). E, per finire, l’obbligo per i partiti alleati di indicare il nome del candidato premier sulla scheda elettorale.
Proprio in quest’ultimo tassello si nascondono le insidie maggiori per l’underdog della Garbatella. Meloni però non sembra intenzionata ad arretrare perché il premierato, la “madre di tutte le riforme”, è in grave ritardo: Giorgia vuole approvarlo a ridosso del 2027 per poter celebrare il referendum confermativo all’inizio della prossima legislatura, in modo da evitare di fare la fine di Renzi del 2016. Così, indicare il candidato sulla scheda, permetterebbe alla leader di Fratelli d’Italia di incassare un… premierato di fatto. E questo sarebbe un “grande traguardo”, come ha ammesso candidamente.
Ma, si diceva, non mancano le insidie. Le principali, visto che il centrodestra con ogni probabilità procederà alla riforma della legge elettorale a colpi di maggioranza, arrivano dalla Lega e da Forza Italia. Matteo Salvini e Antonio Tajani, che come missione hanno quella di rastrellare voti per i rispettivi partiti, hanno già detto a Giorgia che non intendono “fare i portatori d’acqua di nessuno”. Perché è evidente che indicare il nome del candidato premier polarizzerebbe lo scontro e favorirebbe in modo netto il partito di Meloni, togliendo voti ai loro partiti. In più, il segretario leghista dovrebbe cancellare dal suo simbolo la dicitura “Salvini premier” e Tajani sarebbe costretto a depennare dallo stemma di Forza Italia il richiamo a “Berlusconi presidente”. Roba indigeribile. Da psicodramma.
Si narra che Meloni abbia risposto alle obiezioni dei due alleati in modo schietto. A Salvini avrebbe fatto un discorsetto che sarebbe suonato più o meno così: ‘Capisco le tue perplessità ma, considerato com’è messa la Lega, ti conviene accettare se vuoi continuare a fare il ministro’. E il Comandante avrebbe tentennato. Vistosamente. A Tajani, invece, Giorgia avrebbe offerto addirittura una poltrona di primissima classe: ‘Se fai il bravo e dici di sì, nel 2019 ti faccio eleggere al Quirinale’. E il niet del leader forzista si sarebbe incrinato, anche se i suoi fedelissimi sono corsi a dire al buon Tajani di non fidarsi: “Quella è furba, ti prende per il naso. Una volta confermata a palazzo Chigi, sul Colle vorrà andarci lei…”.
Di certo c’è che accanto a Salvini e Tajani, in una inedita e sorprendente “Triplice alleanza”, a schierarsi contro l’indicazione del premier sulla scheda elettorale è anche Elly Schlein. La segretaria del Pd, che vuole assolutamente essere la sfidante di Meloni alle elezioni e che Meloni non vede l’ora di sfidare, per come si sono messe le cose nel Campo largo vorrebbe andare al voto senza primarie di coalizione. E, dunque, senza alcun accordo sulla premiership. Della serie: marciamo compatti verso le urne, scriviamo un programma comune e chi salirà a palazzo Chigi verrà deciso dopo le elezioni. Meglio: diventerà presidente del Consiglio il leader del partito che avrà preso più voti. Un modo, neppure tanto garbato, per prenotare la poltrona di capo del governo.
Questo schema salterebbe, però, se passasse l’indicazione del premier sulla scheda elettorale. In questo caso, per forza di cose, il Campo largo sarebbe chiamato a celebrare le primarie. E per Elly sarebbero dolori. Primo, perché Giuseppe Conte sembra godere (così dicono i sondaggi) di una popolarità e di un appeal trasversale superiori a quelli di Schlein. “Il pericolo è reale”, ha confidato il riformista dem Lorenzo Guerini qualche giorno fa, “sono davvero alte le probabilità che il leader 5Stelle batta la nostra Elly”.
Alberto Gentili



























