Tra ieri e oggi, nuova pagina nella storia sempre più drammatica dell’Ilva, attualmente Acciaierie d’Italia. Storia piena di implicazioni negative, ma della cui drammaticità gran parte dell’informazione italiana sembra non accorgersi. Ed è anche per questo che, stamattina, i Segretari generali dei sindacati dei metalmeccanici Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil, hanno convocato una conferenza stampa con cui aggiornare gli organi di informazione su quanto accaduto ieri sera a palazzo Chigi. E ciò nonostante che tutti e tre, proprio stamattina, fossero attesi in Confindustria per l’apertura di una nuova sessione della trattativa sul Contratto nazionale della loro categoria.
Ma andiamo con ordine. Come si ricorderà, nella serata di martedì 11 novembre si è svolto a Roma un incontro fra il Governo e i sindacati dei metalmeccanici sugli ultimi sviluppi della vicenda Ilva. Incontro da cui Ferdinando Uliano (Fim), Michele De Palma (Fiom) e Rocco Palombella (Uilm), erano usciti allarmati, più che insoddisfatti. Infatti, a loro giudizio, l’unica cosa chiara emersa dalle parole del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, era il proposito di far salire il numero dei lavoratori di Acciaierie d’Italia in Cassa integrazione fino a 6.000, su un totale di circa 10.000 addetti. E ciò mentre il Governo stesso non solo non era stato in grado di fornire notizie concrete su possibili acquirenti del Gruppo siderurgico, ma aveva anzi modificato il piano di decarbonizzazione del Gruppo stesso, annunciando fra l’altro una imminente fermata delle batterie di cokefazione.
I sindacati avevano quindi preso la decisione di tenere assemblee informative unitarie in tutti gli stabilimenti di Acciaierie d’Italia nelle giornate di venerdì 14 e lunedì 17 novembre. Ciò allo scopo di rendere noti ai lavoratori gli ultimi, preoccupanti, sviluppi delle vicende dell’Ilva, e di poter poi riprendere, dopo questo confronto, la propria iniziativa. Al che il Governo aveva avanzato una nuova convocazione dei sindacati stessi per il primo pomeriggio di martedì 18 novembre.
In attesa del nuovo incontro, Fim, Fiom e Uilm avevano allora deciso di sospendere le assemblee già indette, lasciando al Governo la possibilità di ripensare alle proprie decisioni. Ma quando ieri, tornati a Palazzo Chigi, i sindacati hanno chiesto al Governo stesso di ritirare il suo improbabile nuovo piano, il Governo ha replicato che non aveva nessuna intenzione di ritirare alcunché. L’unica modifica annunciata rispetto a quanto detto l’11 novembre, era che per una parte dei lavoratori da mettere in Cassa integrazione, sarebbero stati invece avviati dei corsi di formazione relativi alle nuove tecnologie green.
Di fronte il rifiuto governativo di ritirare il proprio piano, ieri sera i sindacati hanno dunque indetto per oggi, 19 novembre, uno sciopero di 24 ore in tutto il gruppo di Acciaierie d’Italia. Sciopero che, fra l’altro, ha portato al blocco dello stabilimento di Cornigliano, a Genova. Qui sono state allestite delle tende in cui i lavoratori in sciopero passeranno la notte.
Ora il punto è che il piano di decarbonizzazione elaborato dai Commissari straordinari prevedeva alcuni passaggi ineludibili: costruzione di 4 nuovi forni elettrici (3 a Taranto e 1 a Genova), costruzione di 4 impianti di produzione di DRI, ovvero del cosiddetto preridotto necessario ad alimentare i forni elettrici, strutture energetiche necessarie agli impianti di produzione del DRI. E mentre tutto ciò sarebbe entrato in funzione, si sarebbe proceduto – via, via – allo spegnimento degli attuali altoforni. Tutto ciò sarebbe dovuto andare a regime nello spazio di 8 anni. Invece, il cosiddetto nuovo piano annunciato dal Governo l’11 novembre avrebbe davanti a sé uno spazio temporale dimezzato, pari a 4 anni. Senza che, peraltro, la cosa sia stata argomentata in modo comprensibile.
Ebbene, oggi nella conferenza stampa tenuta nella storica sede di corso Trieste, Palombella, De Palma e Uliano hanno spiegato che dalle poche paginette del cosiddetto nuovo piano governativo non si ricava nessuna certezza sui passaggi necessari a implementarlo. Restano solo poche certezze.
In primo luogo, l’assenza di informazioni concrete su possibili acquirenti di AdI. In secondo luogo, lo stop delle cokerie a Taranto a partire dal 1° gennaio 2026. In terzo luogo, l’annuncio del varo di corsi di formazione che, al momento, appaiono del tutto slegati dalla scelta di precise scelte tecnologiche discendenti dall’avvio di concreti piani di produzione green. Su tutto, pende poi il fatto che la Cassa integrazione attualmente in corso per migliaia di lavoratori di AdI scade alla fine di febbraio.
Ma non è tutto. Perché dalla lettura delle slides relative al nuovo piano governativo che sono state consegnate ai sindacati l’11 novembre, si ricava che dall’inizio del marzo 2026 altri impianti saranno fermati. Insomma, sempre meno reparti in funzione, sempre più lavoratori fuori dagli stabilimenti o perché in Cassa integrazione, o perché destinati a seguire corsi di formazione dei cui contenuti ancora nulla è noto.
Ecco le ragioni, o almeno alcune delle ragioni, che oggi, in apertura di conferenza stampa, hanno portato il Segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, ad affermare che, ad Acciaierie d’Italia, “il primo marzo si chiude tutto”. “Ieri sera – ha proseguito Palombella – abbiamo avuto la certezza, e il chiarimento anche verbale, che ormai la situazione è arrivata al capolinea.”
Intanto stamattina, alla Camera, i recentissimi sviluppi della crisi dell’Ilva sono stati evocati, in apertura di seduta, dagli interventi di alcuni Deputati. I parlamentari hanno avanzato la richiesta che il titolare del Mimit, Urso, riferisca al più presto, in Aula, su tali sviluppi.
@Fernando Liuzzi
























