Dunque anche Cernobbio, e proprio nel suo quarantesimo compleanno, si è beccato il “no grazie” di Matteo Renzi. Come già tutti gli altri irrinunciabili riti di stagione – dal meeting di Rimini alle assemblee di Confindustria e dell’Abi, fino al congresso della Cgil – anche l’appuntamento d’autunno organizzato dallo studio Ambrosetti non vedrà il premier tra i suoi illustri partecipanti. Un modo evidente, secondo la lettura che va per la maggiore, di segnare le distanze tra Palazzo Chigi e il mondo dei salotti buoni dell’economia: che siano banchieri, sindacalisti, imprenditori, ecc.
Ha fatto bene, Renzi, a disertare l’appuntamento, o ha fatto male? Mediaticamente, ha senz’altro fatto bene: ogni volta che prende le distanze da un qualsiasi sospetto di “casta”, il premier segna un punto a suo favore nell’unico pubblico che gli interessa davvero, quello del popolo italiano votante, lo stesso che gli ha tributato il famoso 40,8% alle europee. Anche dal punto di vista dell’utilità concreta di trascorrere un fine settimana sul lago, a parte l’indubbia gradevolezza del luogo, difficile dare torto a Renzi; checché se ne dica, Cernobbio è più che altro una passerella mondana, composta sostanzialmente da due tipi di soggetti: quelli che pagano per essere presenti (circa 10 mila euro a testa, si dice, tutto sommato un prezzo ragionevole, considerato che c’è gente che paga 30 mila euro per partecipare ai seminari Aspen) e quelli che invece sono pagati (conferenzieri internazionali, soprattutto, tutti dotati di un proprio listino prezzi per partecipare ai vari meeting mondiali).
Ma la domanda vera che forse occorrerebbe porsi è un’altra, e cioè: davvero Renzi è così sideralmente lontano dai poteri forti? A ben guardare, parrebbe una distanza più che altro apparente. Nella scelta di alcuni ministri, in primo luogo: Federica Guidi, per esempio, come esponente di spicco di Confindustria, certo non è una che coi salotti buoni non abbia rapporti, e sceglierla come titolare dello Sviluppo non è un atto che segnali distacco. Ma anche in altre nomine: all’Ilva, nei mesi scorsi, il troppo indipendente e forse incontrollabile Enrico Bondi è stato sostituito, nel ruolo di commissario, dal commercialista dei vip Piero Gnudi, uomo che con i salotti del potere ha una notevole consuetudine, essendo tutti clienti affezionati del suo studio di tributarista. Inoltre, basta considerare l’operato del governo per intravvedere certi piccoli dettagli che la dicono lunga.
La legge sul rientro dei capitali, per esempio, provvedimento che non piace alla maggior parte degli imprenditori italiani, tutti dotati di caseseforti estere in paradisi fiscali, langue da nove mesi nei cassetti di Montecitorio, senza riuscire ad approdare in aula, costantemente rinviata. E’ stata invece rapidamente approvata, all’interno del decreto competitività, un’altra leggina che va in soccorso proprio ai salotti della finanza, gli stessi contro cui Renzi ha recentemente scagliato l’accusa di “presunti capitalisti che fingono di investire e invece pensano solo ai propri interessi”. Sante parole: ma allora, come mai lo stesso Renzi approva una legge che consente, in sostanza, di mantenere invariato, e anzi rafforzare, il controllo su una società anche senza metterci un centesimo? Con la nuova legge, infatti, basterà attendere due anni, e scatterà automaticamente il raddoppio del potere di voto del pacchetto azionario: aggratis, come si dice a Roma.
Insomma, un bel favore a quei “capitalisti senza capitali”, per dirla con le parole del grande economista Napoleone Colajanni, che da decenni bloccano il sistema Italia a colpi di patti di sindacato e partecipazioni incrociate, condannando a morte molte bellissime aziende: fallite, semifallite, o semplicemente vendute, per assenza di investimenti da parte degli azionisti. Come è possibile che il Renzi nemico dei poteri forti abbia approvato una legge simile? Una delle spiegazioni è nella sostanziale “incompetenza” del premier in materie economiche e finanziarie. Non è una accusa: non si può essere esperti di tutto, ed è normale, infatti, che in queste delicate questioni i presidenti del consiglio si affidino a chi è, diciamo, del mestiere. Salvo forse Romano Prodi e Giuliano Amato, che di economia possono dare lezioni a molti se non a tutti, gli inquilini di Palazzo Chigi hanno sempre avuto un bacino di economisti e tecnici cui fare riferimento per avere suggerimenti e consigli. Anche Renzi, infatti, ha i suoi consiglieri, ai quali delega molte di quelle tecnicalità che forse lo annoiano. E qui però sta il problema: alcuni non sono all’altezza del ruolo, altri lo sono ma giocano la partita in un campo ben preciso. La legge sopra citata, per dire, è stata realizzata con la consulenza del notaio Pier Gaetano Marchetti, già presidente del patto di sindacato di Rcs, e di Andrea Zoppini, consulente di Mediobanca: non esattamente due soggetti distanti dai poteri forti.
La stessa Mediobanca, tra l’altro, responsabile dell’ennesimo pasticcio Telecom, uscita a pezzi dalla vicenda Gtv-Vivendi e in procinto, si dice, di finire nell’orbita di Mediaset, celebrando così il quarto giro di valzer di azionisti in un paio di decenni: tutti ugualmente “senza capitali” e tutti, indistintamente, attivi nel saccheggiare quello che era il gioiello italiano, ai primi posti tra i gruppi di Tlc internazionali. L’Italia, inoltre, e vale la pena di ricordarlo, è il solo paese che sia riuscito a creare dal nulla un gran numero di importanti società di comunicazione e a perderle tutte: Wind, nata dall’Enel, oggi russa, Omnitel, nata da Olivetti e ceduta all’inglese Vodafone, Fastweb, creata a Milano e finita agli svizzeri, Tre, nata in Sardegna e oggi cinese. E Telecom, soprattutto: privatizzata malamente negli anni 90, comprata a debito dai capitani coraggiosi che piacevano a Massimo D’Alema, passata per la gestione Rossignolo, poi Colaninno, poi Bernabè, poi Tronchetti, poi ancora Bernabè, fino ad arrivare alla scialba gestione attuale, che finirà per cederla al primo che se la piglia. Ecco, quando si parla di poteri forti, forse anche di cose come queste Matteo Renzi dovrebbe occuparsi: studiare il passato per capire il presente, e costruirsi gli strumenti per evitare, in futuro, di commettere gli stessi errori. Dopodiché a Cernobbio può anche non andare, certo.
Nunzia penelope


























