PARTECIPAZIONE
Non è tempo di avvisi comuni
E’ difficile che le parti sociali riescano a formulare nelle prossime settimane un avviso comune sui temi della partecipazione. Il ministro Sacconi all’inizio di settembre aveva dato a sindacati e imprenditori due mesi di tempo per formulare questo avviso comune, ma aveva chiarito che in caso di fallimento dell’iniziativa comunque il Governo si sarebbe mosso per regolamentare la materia. Del resto anche il Parlamento è deciso a muoversi. Sono stati presentati ben quattro disegni di legge su questo tema, tra i quali uno di Maurizio Castro per il centrodestra, un altro di Tiziano Treu per il centrosinistra. E Pietro Ichino è stato incaricato di fondere questi due disegni di legge in un unico testo bipartisan che ha già visto la luce anche se solo come bozza, raccogliendo comunque ampi consensi.
Ma, nonostante questa volontà espressa dal Parlamento e dal governo, le parti sociali non riusciranno a raggiungere un accordo. Perché al loro interno esistono contrarietà molto forti, emerse con chiarezza nei giorni scorsi nel corso di un seminario organizzato da Ale, l’Agenzia lavoro economia. Giorgio Usai per la Confindustria e Agostino Megale per la Cgil hanno espresso nettamente la loro contrarietà, più il primo del secondo in realtà, nei confronti di questo avviso comune e più in generale di un intervento legislativo nel campo della partecipazione.
Giorgio Santini e Paolo Pirani, anche loro con accenti diversi, hanno mostrato volontà positiva nei confronti del traguardo dell’avviso comune. Santini, in particolare, ha lodato l’intervento del governo, che ha investito le parti sociali di questo impegno, ma non ha potuto non prendere atto delle “resistenze consistenti”, come le ha definite, espresse all’interno della commissione incaricata di affrontare il problema dell’avviso comune.
Eppure, ha detto, “ci sarebbe bisogno di più partecipazione, per risolvere i problemi delle relazioni industriali e perché il sistema contrattuale del 22 gennaio ha un senso in una cornice di partecipazione”, per cui sarebbe opportuno andare verso “frontiere partecipative più avanzate, con l’obiettivo di una maggiore produttività del sistema produttivo”.
Anche Pirani non ha dubbi sull’opportunità di andare avanti sulla strada della partecipazione. Perché, ha rilevato, il fordismo è finito, siamo nell’economia della conoscenza, il lavoro è parte integrante del processo produttivo. Bisogna però a suo avviso scegliere il modello da perseguire, che non tollera antagonismi, né può avere una connotazione corporativa, bensì nascere dal confronto dialettico per avere così valenza sul mercato.
Di differente avviso i rappresentanti di Confindustria e Cgil. Giorgio Usai, direttore per i problemi sindacali nell’organizzazione degli industriali, ha tenuto a esaminare i diversi possibili campi di applicazione. Sulla partecipazione gestionale ha affermato di avere “forti riserve”, perché il sistema di relazioni industriali, ha ricordato, “si è sviluppato proprio sul coinvolgimento dei lavoratori nella vita dell’azienda, per cui non sembra urgente andare oltre”. Si potrebbe chiedere di far entrare nei consigli di sorveglianza il sindacato, ma questo a suo avviso “bloccherebbe il funzionamento del sistema duale”.
Lo stesso ragionamento vale per la partecipazione azionaria, già prevista dalla legge. Si potrebbe chiedere che la decisione non venga dall’azienda ma sia frutto di un atto negoziale, ha osservato Usai, ma se il sistema attuale funziona, perché cambiarlo?
E le stesse argomentazioni valgono se si parla di distribuzione di utili, perché, è sempre Usai ad averlo sottolineato, questa pratica è sempre stata seguita, e proprio recentemente il sistema è stato migliorato. I premi di risultato, ha sottolineato, si fanno ovunque, coinvolgendo il sindacato, in un sistema trasparente. Insomma, una posizione di netta chiusura.
E del resto anche Megale ha espresso un forte scetticismo sulla possibilità di arrivare all’avviso comune. Perché, ha detto, non sembra che ci siano le risorse necessarie per l’opportuna incentivazione: le poche a disposizione vanno distribuite a tutti e non andare prioritariamente in questa direzione attraverso la contrattazione articolata. Inoltre, ha aggiunto, pesa il disaccordo sulla struttura contrattuale varata il 22 gennaio, che la Cgil contrasta. A suo avviso sarebbe utile invece un accordo sulla rappresentanza e la democrazia sindacale sulla base dell’accordo che le tre confederazioni avevano trovato l’anno passato. Di qui l’invito a riprendere quel discorso, senza però chiedere alla Cgil un’adesione all’accordo di gennaio che manderebbe qualsiasi tentativo all’aria. In più Megale ha fatto presente che la bozza Ichino non gli risulta abbia connotazioni bipartisan, e inoltre presenta dei problemi quando fa riferimento a possibili deroghe rispetto alle disposizioni del contratto nazionale, uno dei motivi per cui la Cgil non ha accettato la nuova struttura contrattuale.
Insomma, un fronte sociale diviso, che quindi allontana la possibilità di avere l’avviso comune. Il senatore Treu ha sottolineato come questa situazione non leghi comunque le mani a governo e Parlamento, intenzionati ad andare comunque avanti. La bozza Ichino, ha affermato, “non è definitiva, esistono ancora dei punti da chiarire, ma è presumibile, ha detto, che ci sia un largo consenso e che si possa procedere”. Si è detto preoccupato per le resistenze “diffuse e simmetriche” che ha rilevato. Sembrano, ha detto, “che nascano quasi a prescindere dal merito, delle vere riserve mentali, nonostante questa sia una legge di facilitazione, non impositiva”. A suo avviso c’è bisogno di cooperazione, dire che non serve è, a suo avviso, miope.
Massimo Mascini
27 novembre 2009
























