Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo. La Commissione inizia l’esame. Cesare CAMPA (FI), relatore, illustra il provvedimento in esame che è volto a modificare la normativa sull’immigrazione, contenuta prevalentemente nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 («Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»). Le modifiche incidono sostanzialmente sulle modalità di accoglienza e di integrazione dei lavoratori extracomunitari, in particolare sul versante delle opportunità di lavoro e dell’integrazione sociale, nonché sulla necessità di contrastare gli ingressi dei clandestini, attraverso regole che garantiscano l’ordine e la sicurezza di tutti i cittadini. Domenico BENEDETTI VALENTINI, presidente, rinvia il seguito dell’esame alla seduta di domani.
SEDE CONSULTIVA
C. 2454 Governo, approvato dal Senato, ed abbinate.
(Parere alla I Commissione).
(Esame e rinvio).
Si rammenta che l’esame presso la 1a Commissione (Affari costituzionali) del Senato, avviato il 21 novembre 2001, avente ad oggetto, oltre all’A.S. 795, quattro progetti di legge, tre di iniziativa parlamentare ed uno di iniziativa governativa, è proseguito in Commissione per 19 sedute, sino al 13 febbraio 2002, senza peraltro concludersi con l’approvazione di un mandato a riferire in Assemblea, ove l’inizio dell’esame del disegno di legge governativo era stato calendarizzato per la seduta del 19 febbraio 2002.
La discussione in Assemblea ha pertanto avuto inizio sul testo originario del Governo, ai sensi dell’articolo 44, comma 3, del regolamento del Senato. Essa si è sviluppata nel corso di nove sedute ed ha condotto all’approvazione – con modificazioni – del disegno di legge A.S. 795 nella seduta del 28 febbraio 2002.
Il disegno di legge è stato trasmesso alla Camera il giorno successivo ed assegnato alla I Commissione (Affari costituzionali) in sede referente.
Per quanto di competenza della XI Commissione, osserva che l’articolo 3 riformula il comma 4 dell’articolo 3 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
Quest’ultima disposizione demanda a uno o più decreti del Presidente del Consiglio la definizione, per ogni anno, delle quote massime di ingresso di extracomunitari nel territorio dello Stato per lavoro subordinato, anche a carattere stagionale, e per lavoro autonomo. Il decreto è emanato sentiti i ministri interessati e le competenti Commissioni parlamentari.
L’articolo 3 in esame opera le seguenti modificazioni: riguardo alla procedura di emanazione del decreto, sostituisce il parere dei ministri interessati con quello del Comitato per il coordinamento e il monitoraggio di cui all’articolo 2-bis – inserito dall’articolo 2 del presente disegno di legge – del decreto legislativo n. 286; viene inoltre previsto il parere, oltre che delle competenti Commissioni parlamentari, della Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali (di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281); dispone che il decreto sia emanato entro il 30 novembre dell’anno precedente a quello di riferimento (attualmente non è previsto alcun termine), ferma restando la possibilità di adottare ulteriori decreti in corso di anno, qualora se ne ravvisi la necessità; fa riferimento – ai fini della definizione delle quote – ai «criteri generali» del documento programmatico triennale, anziché ai «criteri» e alle «altre indicazioni» dello stesso; specifica che, in caso di mancata emanazione del decreto, l’atto sostitutivo è costituito da un decreto del Presidente del Consiglio, adottato in via transitoria. Tale provvedimento, come evidenziato nella relazione governativa, può ora definire – sia pure transitoriamente – anche quote di ingressi inferiori a quelle dell’anno precedente («nel limite», come recita il nuovo testo), mentre la norma vigente pone un vincolo di «conformità» con queste ultime.
L’articolo 4, introdotto nel corso dell’esame al Senato, apporta alcune modifiche alla disciplina vigente in materia di visto d’ingresso, tra cui, in primo luogo, l’abolizione dell’obbligo di motivare il diniego al rilascio del visto, tranne in casi espressamente indicati (richiesta di visto per lavoro, ricongiungimento familiare, cure mediche e studio). Per queste tipologie rimane necessario motivare il diniego, anche se dalla formulazione del testo non è esplicito che la motivazione venga comunicata per iscritto come previsto dalla normativa vigente.
L’articolo in esame abroga, inoltre, la disposizione che prevede l’obbligo di comunicare allo straniero cui è stato rifiutato il visto le modalità di impugnazione del provvedimento, come previsto dalla normativa vigente. Peraltro, tale obbligo permane ai sensi della legge n. 241 del 1990 citata che prevede che «in ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere» (articolo 3, comma 4). Non si comprende quindi la ratio di tale abrogazione, che potrebbe dar adito all’interpretazione secondo cui si è voluto implicitamente derogare al principio generale contenuto nella legge n. 241.
Passando a considerare l’articolo 5, c’è da dire che le lettere a)-d) del comma 1 del presente articolo, novellando i commi 1 e 3 – e inserendo 5 nuovi commi dopo quest’ultimo – dell’articolo 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, riformulano la disciplina del permesso di soggiorno degli extracomunitari per motivi di lavoro.
In primo luogo, con la lettera a), introdotta nel corso dell’esame del Senato, viene specificato che il permesso di soggiorno deve essere in corso di validità per consentire allo straniero extracomunitario di soggiornare in Italia.
Un ulteriore ordine di innovazioni (di cui alle lettere b) e d), capoverso 3-bis), è connesso, per quanto riguarda il lavoro dipendente, alle modifiche delle fattispecie e delle procedure relative al rilascio del relativo permesso.
Si consideri che – in base alle novelle di cui ai successivi articoli 6, 17 e 18 del disegno di legge in esame – l’ingresso nel territorio dello Stato per motivi di lavoro dipendente è consentito solo ai fini della stipulazione di un contratto di soggiorno per lavoro subordinato.
La lettera d), capoverso 3-bis, primo periodo, specifica che il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato solo a seguito della sottoscrizione di tale contratto, quindi successivamente all’ingresso del lavoratore nel territorio dello Stato.
La lettera b), di conseguenza, ai fini della definizione della durata del permesso, sopprime il rinvio ai termini previsti dal visto di ingresso.
Il capoverso 3-bis, secondo periodo, della lettera d) fa ora quindi rinvio (sempre riguardo al permesso per motivi di lavoro subordinato), ai termini stabiliti nel summenzionato contratto di soggiorno e dispone, in ogni caso, i seguenti limiti massimi di durata del permesso [quelli attuali, per i relativi visto di ingresso e permesso di soggiorno, sono soppressi dalla lettera c)]: 9 mesi complessivi per uno o più contratti di lavoro stagionale; il limite vigente è pari a 6 mesi ovvero a 9 mesi per i settori che richiedano tale estensione; 1 anno in caso di contratto di lavoro subordinato a termine (diverso da quello stagionale); la normativa attuale non distingue tale ipotesi da quella del rapporto a tempo indeterminato: in entrambe le fattispecie il limite è di 2 anni; 2 anni in caso di contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato (disposizione identica a quella vigente).
Ai sensi del capoverso 3-ter – introduttivo di una nuova fattispecie – della lettera d), all’extracomunitario che sia venuto nel territorio nazionale per almeno 2 anni di seguito per lavoro stagionale può essere rilasciato un unico permesso pluriennale per il medesimo titolo, a condizione che l’attività consista in «impieghi ripetitivi». La durata fissata nel permesso, per ogni anno, è eguale a quella di cui ha usufruito l’interessato nell’ultimo dei 2 anni precedenti. Il provvedimento può concernere fino a un massimo di 3 annualità.
Il relativo visto di ingresso è rilasciato ogni anno.
Dalla formulazione dell’articolo non si comprende se i permessi pluriennali costituiscano, per gli anni oggetto dei medesimi, una quota minima di ingresso per lavoro stagionale, la quale non possa essere ridotta dai successivi decreti di programmazione dei flussi. Sarebbe opportuno un chiarimento al riguardo.
Il capoverso 3-quater della lettera d) prevede che il permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo sia concesso sulla base della certificazione – da parte della rappresentanza diplomatica e consolare italiana (nello Stato di origine o di stabile residenza del soggetto) – della sussistenza dei prescritti requisiti. Questi ultimi sono disciplinati dall’articolo 26 del decreto legislativo n. 286 e non vengono modificati dall’attuale disegno di legge. Invece, la novella di cui al successivo articolo 17, comma 2, del medesimo disegno modifica la normativa sulla procedura, ai fini di inserirvi l’atto di certificazione suddetto. Nel diverso contesto dell’attuale disciplina, la rappresentanza si limita a rilasciare il visto di ingresso, sempre previa verifica dei requisiti suddetti.
Il capoverso 3-quater conferma infine che la durata del permesso in esame non può superare i 2 anni.
Il capoverso 3-quinquies della lettera d) pone, per le rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, alcuni obblighi di comunicazione al Ministero dell’interno e all’INPS. Oggetto della comunicazione sono il rilascio dei singoli visti di ingresso per lavoro dipendente o autonomo. Le informazioni sono inserite nell’archivio anagrafico dei lavoratori extracomunitari, istituito presso l’INPS, previsto dall’articolo 22, comma 7 (comma 8 ai sensi della novella operata dall’articolo 17 del disegno di legge in esame) del testo unico.
Inoltre, al Ministero dell’interno sono comunicati i rilasci dei visti di ingresso per ricongiungimento familiare.
Il capoverso 3-sexies della lettera d) conferma che la durata del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare non può superare i 2 anni (la norma è ora posta dal capoverso in esame per ragioni di coordinamento, in seguito, cioè, all’abrogazione operata dalla precedente lettera c).
La lettera e) riformula il comma 4 dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 286, relativo al rinnovo del permesso di soggiorno.
Le modifiche introdotte riguardano: i termini per la domanda di rinnovo. L’attuale disciplina prevede un termine unico – 30 giorni prima della scadenza del permesso -, mentre la lettera e) in esame ne individua tre – 90, 60 e 30 giorni – rispettivamente per il permesso per lavoro dipendente a tempo indeterminato, per quello per lavoro subordinato a termine e per tutte le altre fattispecie. Al riguardo si osserva che un termine più ampio degli attuali 30 giorni potrebbe rivelarsi eccessivo e, nella pratica, potrebbe dar origine a complicazioni procedurali. Difatti, il lavoratore extracomunitario che, nel momento di scadenza del termine sia disoccupato e che invece trovi una nuova occupazione solo successivamente, potrebbe vedersi ingiustamente rifiutato il rinnovo perché dalla documentazione presentata al momento della richiesta risulta ancora disoccupato. Tali situazioni potrebbero essere moltiplicate, rispetto alla normativa attuale, dal notevole arretramento temporale della scadenza del termine di richiesta. Le modifiche riguardano poi la durata del nuovo permesso, che, nella normativa vigente, non può superare il doppio di quella stabilita nell’atto originario. La lettera e) prevede invece che il limite sia pari a quest’ultima. Sono sempre salve le norme speciali – ivi comprese quelle poste dai regolamenti attuativi – relative a singole fattispecie di rinnovo.
Resta fermo il principio che il rinnovo è subordinato alla verifica delle condizioni stabilite per il rilascio del primo permesso (ovvero delle diverse condizioni previste da specifiche norme).
La lettera e) dispone che la domanda di rinnovo sia presentata presso la questura della provincia di residenza: il profilo non è del tutto chiaro nell’attuale disciplina, che fa riferimento alla provincia in cui il soggetto «si trova».
L’articolo 6 inserisce un articolo 5-bis nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Esso introduce la figura del contratto di soggiorno per lavoro subordinato fra un datore di lavoro (italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia) e un cittadino extracomunitario.
Nella relazione illustrativa dell’originario disegno di legge tale disposizione non solamente è inserita tra gli elementi qualificanti dell’iniziativa del Governo, ma viene definita di «particolare rilevanza» la previsione di «collegare direttamente il permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato alla nuova figura del contratto di soggiorno».
La sottoscrizione di tale contratto – ai sensi della novella di cui al precedente articolo 4, comma 1, lettera d) – costituisce una condizione per il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro dipendente.
Il contratto deve contenere (capoverso 1): la garanzia – da parte del datore – di un’adeguata sistemazione (per quanto riguarda l’alloggio) per il dipendente. Come specificato da un emendamento approvato dal Senato, le spese per l’alloggio sono a carico del lavoratore. Deve contenere poi l’impegno – da parte del medesimo datore – al pagamento delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza.
Il capoverso 2, introdotto nel corso dell’esame da parte del Senato, dispone che qualora il contratto non contenga le due clausole di cui sopra, non può costituire titolo valido per il rilascio del permesso di soggiorno.
Ai sensi del capoverso 3, il contratto di soggiorno è sottoscritto presso lo sportello unico per l’immigrazione della provincia nella quale risiede o ha sede legale il datore di lavoro o, come specificato da una modifica al testo operata dal Senato, nella provincia del luogo di lavoro.
La conclusione del contratto è subordinata allo svolgimento della procedura disciplinata dalla novella di cui al suddetto articolo 17, comma 1, capoversi 1-6, del disegno di legge che dispone l’istituzione dello sportello unico.
Riguardo alla stipulazione, il capoverso 3 fa, infine, rinvio alle modalità previste dalle norme regolamentari di attuazione (queste ultime, ai sensi dell’articolo 30, comma 1, del disegno di legge, devono essere emanate entro il termine – non perentorio – di 6 mesi dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale).
Non è, quindi, chiaro se il nuovo istituto contrattuale trovi immediata applicazione. In caso negativo, resterebbe inattuabile anche il summenzionato meccanismo di rilascio del permesso di soggiorno (per lavoro dipendente), stabilito dalla novella di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d), del disegno di legge, con conseguente applicazione della precedente disciplina.
Come visto, ai sensi dell’articolo 4 la stipula del contratto di soggiorno è indispensabile per chiedere il rilascio del permesso di soggiorno (articolo 5, comma 3-bis, del testo unico).
L’introduzione del contratto di soggiorno, operata dall’articolo in esame, ha apportato modifiche anche ad altre parti del testo unico.
In primo luogo, la conversione del permesso di soggiorno per motivi di studio e formazione in quello per motivi di lavoro viene subordinata alla stipulazione del contratto di soggiorno.
Inoltre, viene modificata la procedura di richiesta di mano d’opera da parte dei datori di lavoro, di cui all’articolo 22 del testo unico. Il datore di lavoro che intende assumere uno straniero (sia con rapporto di lavoro a tempo determinato sia indeterminato) deve corredare la domanda, oltre che con la documentazione relativa alla sistemazione alloggiativa, anche con una proposta di contratto di soggiorno con specificazione delle relative condizioni, compreso l’impegno al pagamento da parte dello stesso datore di lavoro delle spese di ritorno dello straniero nel paese di origine (articolo 22, comma 2). La domanda è presentata allo sportello unico per l’immigrazione che rilascia il nullaosta al lavoro (articolo 22, comma 5). Il contratto di soggiorno deve essere firmato dallo straniero entro 8 giorni dal suo ingresso in Italia, presso lo sportello unico che conserva il contratto e lo trasmette in copia all’autorità consolare e al centro per l’impiego competenti (articolo 22, comma 6).
Rimane ferma la disposizione vigente secondo cui la perdita del posto di lavoro non comporta la revoca del permesso di soggiorno (articolo 22, comma 11).
Anche ai fini dell’emersione di lavoro irregolare disposta dall’articolo 29 in favore dei collaboratori familiari e dei cosiddetti «badanti», i datori di lavoro devono allegare alla dichiarazione di emersione copia dell’impegno a stipulare un contratto di soggiorno.
L’articolo 8 introduce una sanzione amministrativa per i casi di violazione dell’obbligo di comunicazione all’autorità di pubblica sicurezza dell’ospitalità concessa allo straniero o della sua assunzione. La sanzione va da un minimo di 160 ad un massimo di 1.100 euro.
L’articolo 9, novellando l’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo n. 286 del 1998, eleva da cinque a sei anni il periodo di regolare soggiorno necessario per lo straniero ad ottenere la carta di soggiorno.
La relazione al disegno di legge motiva tale prolungamento affermando che quello di sei anni «appare un periodo di tempo più congruo per verificare il complessivo inserimento dello straniero».
L’articolo 16 modifica la disciplina relativa alla determinazione dei flussi d’ingresso dei lavoratori stranieri, attraverso l’introduzione di ulteriori specificazioni per la stesura del decreto annuale del Presidente del Consiglio che stabilisce le quote d’ingresso.
In particolare, sono previste da un lato restrizioni per i lavoratori che provengono da paesi che non collaborano con l’Italia nel contrasto all’immigrazione clandestina, e dall’altro quote riservate ai lavoratori extracomunitari di origine italiana.
Inoltre, viene disposto il vincolo della effettiva richiesta di lavoro da parte delle realtà locali.
Il comma 1 dell’articolo 17 riformula interamente l’articolo 22 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, relativo ai lavoratori dipendenti extracomunitari, innovandolo, essenzialmente, per quanto riguarda i seguenti aspetti: l’istituzione, in ogni provincia, presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo, di uno sportello unico per l’immigrazione, responsabile dell’intero procedimento relativo all’assunzione di lavoratori subordinati stranieri a tempo determinato ed indeterminato; la presentazione di idonea e dettagliata documentazione da parte del datore di lavoro, inclusa la proposta di contratto di soggiorno, di cui all’articolo 6; una previa indagine del centro per l’impiego territorialmente competente in ordine alla disponibilità, per il posto di lavoro offerto, di lavoratori italiani o comunitari; la disciplina e le modalità operative per la sottoscrizione da parte del lavoratore straniero del contratto di soggiorno.
In particolare, il capoverso 4, che introduce una procedura di verifica dell’assenza di domanda (per quell’impiego) da parte di soggetti italiani o comunitari, non prende espressamente in considerazione l’ipotesi di disponibilità da parte di cittadini extracomunitari già regolarmente soggiornanti in Italia.
In ogni caso, sembra, in base al successivo capoverso 5, che la rilevazione di domande da parte di soggetti italiani o comunitari costituisca solo unasegnalazione per il datore, ma non sia di impedimento all’assunzione del lavoratore extracomunitario.
Lo sportello unico provvede, in ogni caso, entro 40 giorni dalla presentazione della richiesta, sentito il questore, e rilascia il nulla osta al lavoro a condizione che siano rispettate le quote di programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro (al riguardo, si possono confrontare le schede relative agli articoli 3 e 16 del disegno di legge) nonché le prescrizioni del contratto collettivo applicabile alla fattispecie. A quest’ultimo proposito, non è chiaro se il riferimento sia solo al contratto nazionale o anche a quelli territoriali o aziendali (l’attuale comma 3 dell’articolo 22 del decreto legislativo n. 286 – così come l’articolo 30, comma 2, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 – limita il richiamo al contratto nazionale).
Il nulla osta ha validità per un periodo non superiore a 6 mesi dalla data del rilascio (termine identico a quello posto dall’attuale comma 5 dell’articolo 22 del decreto legislativo n. 286).
Il capoverso 11 – relativo alle conseguenze della perdita del posto, anche per dimissioni, da parte del lavoratore extracomunitario e all’esclusione della revoca del permesso di soggiorno (per il medesimo e per i familiari legalmente residenti) – corrisponde all’attuale comma 9 dell’articolo 22 del decreto legislativo n. 286.
L’unica modifica rispetto a quest’ultimo concerne il periodo minimo di durata di iscrizione nelle liste di collocamento, che viene ridotto da 1 anno a 6 mesi, fermo restando, come nella disciplina vigente, l’eventuale più elevato periodo di durata residua del permesso.
Il capoverso 13 – corrispondente all’attuale comma 11, primo periodo, dell’articolo 22 del decreto legislativo n. 286 – conferma il principio della conservazione, in caso di rimpatrio del lavoratore extracomunitario, dei diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati, a prescindere dalla vigenza di un accordo di reciprocità.
Viene invece soppressa la norma di cui al secondo periodo del comma 11, cioè la facoltà di richiedere – da parte degli extracomunitari che abbiano cessato l’attività lavorativa in Italia e lascino il territorio nazionale – la liquidazione dei contributi previdenziali obbligatori, che risultino versati in loro favore, maggiorati del 5 per cento annuo. Si ricorda che tale facoltà è subordinata all’assenza di una disciplina della materia da parte delle convenzioni internazionali (le quali prevedono in genere forme di ricongiunzione – anziché di liquidazione – in uno dei due paesi dei contributi maturati nei medesimi).
L’articolo 18 sostituisce integralmente l’articolo 23 del decreto legislativo n. 286 del 1998 («Testo Unico sull’immigrazione»), sopprimendo l’istituto del cosiddetto sponsor, ovvero del prestatore di garanzia a favore di uno straniero che intenda entrare in Italia per la ricerca di un lavoro. L’esigenza della soppressione è motivata, nella relazione illustrativa del disegno di legge, dai risultati negativi prodotti dall’istituto.
L’intento della nuova disposizione è di preparare, nei paesi di origine, lavoratori qualificati da poter eventualmente impiegare in aziende italiane presenti sia nel territorio nazionale sia in quello dello Stato dove viene svolta la formazione. A tal fine si stabilisce che la frequenza da parte di lavoratori stranieri di corsi di formazione professionale nei paesi di origine, sulla base di programmi approvati dalle pubbliche amministrazioni e da enti italiani, costituisca titolo preferenziale per il loro inserimento nel lavoro in Italia o nei settori produttivi italiani che operano nei paesi di origine. Osserva in proposito che la disposizione in esame non specifica l’oggetto dei programmi, limitandosi a stabilire che all’interno di essi possano essere previste svolte attività di istruzione e formazione professionale.
L’articolo 19, che sostituisce integralmente il vigente articolo 24 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, disciplina l’ingresso in Italia di stranieri per lo svolgimento di lavoro stagionale. La novità rispetto alla disciplina attualmente vigente riguarda la verifica dell’eventuale disponibilità di lavoratori italiani o comunitari a ricoprire l’impiego stagionale offerto.
L’articolo 22, novellando l’articolo 29 del testo unico, dispone alcune limitazioni alle fattispecie di ricongiungimento familiare.
Con il comma 1, lettera a) dell’articolo in esame, al numero 1, viene consentito il ricongiungimento dei figli, anche maggiorenni, purché a carico dello straniero che chiede il ricongiungimento e a condizione che non possano provvedere al proprio sostentamento a causa del loro stato di salute che comporti invalidità totale. Tale disposizione, introdotta nel corso dell’esame del Senato, attenua in parte la portata di un’altra modifica, apportata dal numero 3 della medesima lettera a), che elimina la possibilità di ricongiungimento per i parenti entro il terzo grado a carico, inabili al lavoro, attualmente consentita.
Con il numero 2, sempre del comma 1, lettera a), vengono ulteriormente limitate le categorie di familiari per i quali si può chiedere il ricongiungimento: si prevede, infatti, che per richiedere il ricongiungimento dei genitori a carico occorra che questi non abbiano altri figli nel paese di origine o di provenienza.
L’articolo 29 reca una misura di carattere straordinario diretta all’emersione dei lavoratori domestici extracomunitari sprovvisti di permesso di soggiorno.
Per poter usufruire della sanatoria di cui al presente articolo è necessario che si verifichino le seguenti circostanze (comma 1): l’attività lavorativa deve essere stata svolta nel periodo compreso tra il 1o ottobre 2001 e il 31 dicembre 2001. Tale attività deve continuare almeno sino al momento del rilascio del permesso di soggiorno, come si evince dal successivo comma 4. Il lavoratore deve avere origine extracomunitaria. Riterrebbe forse più opportuno parlare di cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea o di apolidi, in quanto l’origine extracomunitaria non esclude coloro che abbiano acquisito la cittadinanza italiana o di altro Stato comunitario. La prestazione di lavoro deve riguardare le seguenti attività: assistenza a componenti della famiglia del datore di lavoro affetti da patologie o handicap che ne limitano l’autosufficienza; lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare. Ciascuna famiglia può procedere alla regolarizzazione di un solo lavoratore che si occupi del lavoro domestico, mentre nessun limite è posto per i lavoratori che assistono soggetti affetti da patologie o handicap. La denuncia della sussistenza del rapporto di lavoro deve essere presentata, entro due mesi dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in esame, alla prefettura – ufficio territoriale del Governo competente per territorio. Inoltre, come si desume dal successivo comma 2, il datore di lavoro deve avere la cittadinanza italiana, o se straniero, deve essere regolarmente soggiornante in Italia.
Condizioni per il rilascio del permesso sono: la continuazione del rapporto di lavoro, della quale deve essere fornita prova; la regolarità della posizione contributiva dei lavoratori interessati.
Diversamente da quanto previsto dalla lettera d) dell’articolo 5 del presente disegno di legge (che, per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato, prevede il rilascio di permessi di soggiorno di durata non superiore a due anni), il permesso di soggiorno previsto nella fattispecie in esame ha durata di un anno e può essere rinnovato solo per periodi di uguale durata.
Ai sensi del comma 5, il datore di lavoro e il lavoratore sono obbligati, entro 10 giorni dalla comunicazione del rilascio del permesso di soggiorno, a stipulare il contratto di soggiorno di cui all’articolo 6 del presente disegno di legge, confermando le condizioni contenute nella dichiarazione di emersione. La mancata stipulazione comporta la decadenza del permesso di soggiorno.
In conseguenza delle presentazione della dichiarazione, i datori di lavoro non sono considerati punibili per le violazioni connesse alla disciplina in materia di soggiorno in Italia, di lavoro e di carattere finanziario nel periodo antecedente al 1o gennaio 2002, sempre che tali irregolarità siano relative alle persone indicate nella dichiarazione di emersione (comma 6).
Gli eventuali provvedimenti amministrativi adottati in relazione a tali violazioni si dovrebbero pertanto intendere privi di effetti: riterrebbe pertanto opportuno inserire nel testo in esame un chiarimento in tal senso.
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