Caro Direttore,
I giornali e i giornalisti fanno il proprio mestiere riportando sostanzialmente il clima, non sereno, che si respira dentro la CGIL. Non mi lamenterei troppo di questo. Tra qualche mese cambierà il segretario del più grande corpo sociale del paese. Riguarda tutti e non solo i dirigenti della Cgil. Forse sono proprio i “social”, com’è un po’ nella loro natura, a darne una rappresentazione a tratti caricaturale. In fondo è giusto così: che il dibattito sia aperto ma leale e che la CGIL possa essere “contendibile”, ovviamente dentro il quadro delle regole che ci siamo dati. Una organizzazione che associa strati diversi di lavoro dipendente, talvolta lontani tra loro, e qualche milione di pensionati, non può lasciarsi sovrastare dalle improvvisazioni ma deve cercare tenacemente una sintesi politica. Quel luogo è l’Assemblea generale che verrà eletta dal prossimo congresso, unico ed esclusivo luogo deputato alla elezione del segretario generale. La trovo una cosa scontata e sensata.
Non mi sottrarrò ovviamente a questo tema, mi interessa adesso però sottolineare che abbiamo dovuto contenere e sconfiggere nel tempo, con Susanna Camusso innanzitutto, tutte quelle spinte che pretendevano di trasformare la Cgil in una “Agorà” che non avrebbe lasciato spazio alla ricerca della sintesi prima, e ad una competizione mediata dai criteri di rappresentanza della stessa Assemblea Generale poi. Per fortuna. Che la Cgil dovesse incamminarsi a passi veloci verso primarie nate quale tentativo maldestro di scimmiottare il “cupio dissolvi” della sinistra, era solo un farsesco tentativo di trasformare una organizzazione con 112 anni di storia nell’ulteriore strumento nazional-televisivo destinato a un ciclo di vita breve e di cui non si sentiva davvero bisogno. È ormai chiaro che oggi con i leader scompaiono contestualmente anche le organizzazioni. Con tutti quegli iscritti non te lo puoi permettere. Per questo ho trovato non solo inusuale, va da sé, ma forzato il modo in cui si è voluta “lanciare” la candidatura di Maurizio Landini.
Ma se devo proprio mettere in fila le preoccupazioni rispetto al dibattito in corso, riguardano lo svolgimento del Congresso, la tenuta dell’organizzazione e il rischio dell’indebolimento della Cgil di fronte alla fase politica.
Di sicuro non era mai successo che la proposta del nuovo segretario generale piombasse “dentro” il congresso senza i crismi di un vasto consenso. Mentre si discute e si approva, a maggioranza larga peraltro, il documento dal titolo “il lavoro è”. Il documento diventa obiettivamente poco credibile. Due candidati dello stesso documento in mezzo alla stagione congressuale, inutile dirlo, indeboliscono un impianto che è solido e largamente condiviso. È stato un errore politico perché è cambiata di fatto la natura del congresso e questo non credo sia giusto. Così come, dopo il Direttivo del 27 ottobre, temo la vicenda congressuale cambierà ancora. Non lo auspico certamente.
Tutto ciò mentre non solo siamo in presenza di un Governo che ha una linea di politica economica e sociale che non condividiamo, ma anche di una classe dirigente che ci allontana, contemporaneamente, dall’Europa e dalla democrazia come è disegnata nella Carta Costituzionale. Un’autentica rivoluzione (in questo sono stati di parola!) che fa del nazionalismo, dell’indebolimento della democrazia e del razzismo i suoi punti di forza. Ovunque la democrazia è in fase di trasformazione: in Italia rischia di cedere. In un paese normale, Mimmo Lucano è un esempio e i mafiosi vanno al confino. Questa è la metafora dell’Italia di oggi.
Mi domando, quindi, se fosse proprio necessario e in ragione di che cosa squadernare un tema che, almeno oggi, allo stato attuale del dibattito, è divisivo per l’organizzazione. La regola è dubbia, il contesto è quello appena descritto, il passo è sicuramente incauto.
Sarebbe però sbagliato rifugiarsi dietro le procedure o dietro il Governo. La verità è che esistono temi sindacali che riguardano l’identità della Cgil che avrebbero consigliato prudenza, pronunciamenti chiari e capacità di indirizzo utili a tentare di ridurre le distanze, chiunque fosse il candidato. Il tempo spesso è una variabile che può fare la differenza. Andava usato.
Mi limiterò ad elencare solo alcuni temi che credo abbiano peso e dignità.
A costo di una battaglia politica a tratti dura, abbiamo cercato in questi anni di non scivolare su un terreno sostanzialmente ibrido e culturalmente subalterno che potesse collocare la Cgil a cavallo tra la politica e la dimensione sociale. Tutto il contrario dell’autonomia.Tentazione affiorata a più riprese nella storia della Cgil, ma sempre rimasta per fortuna minoritaria. Il rapporto con la politica, per una organizzazione sociale che iscrive ogni anno 5 milioni di lavoratori, è sempre un problema. L’autonomia, come ce l’ha insegnata Bruno Trentin, è la capacità di possedere un programma solido inserito nelle grandi discriminanti del tempo: la democrazia innanzitutto, i diritti dei più, la lotta al corporativismo, il sindacato quale soggetto generale. Su un terreno sostanzialmente analogo, Giuseppe Di Vittorio, qualche decennio prima, vedeva nel sindacato unitario e autonomo lo strumento ideale per affermare i diritti dei lavoratori. È questa la nostra storia. Nulla a che vedere con una indistinta contaminazione politica e sociale. Quello è il ruolo dei partiti. La Cgil, senza una forte ispirazione unitaria, non è in grado di parlare innanzitutto al proprio popolo. Perché rischierebbe di allontanare le persone anziché avvicinarle e divenire alla fine uno strumento o ininfluente o corporativo. La cosiddetta “coalizione sociale” rappresentava, al contrario, una concezione prepolitica (post politica?) e quindi divisiva, in cui si perdeva sovranità e ci si allontanava pericolosamente dalla funzione essenziale per un sindacato, a cominciare dalla sua stessa “missione”.
Nulla è gratuito e questo scivolamento ha prodotto la sostanziale estraniazione della Fiom dal contesto contrattuale. Che quella linea fosse sbagliata lo abbiamo visto con lo squagliamento della “coalizione sociale” e con quel contratto, forse necessario pedaggio pagato per rientrare in gioco, cui nessun’altra categoria ha fatto riferimento nella stagione contrattuale. I meccanici, da modello storicamente forte sono diventati, stavolta con sigla unitaria, modello da evitare. E adesso che si fa? Mandiamo a dire a Federmeccanica che quella linea, appena qualche euro di aumento in due anni, era giusta, che tutti gli altri rinnovi erano sbagliati e dunque andranno corretti? Che l’orizzonte del sindacalismo moderno è un contratto senza aumenti salariali? Che la nuova frontiera contrattuale è il “benefit” elevato a rango di retribuzione?Tutto ciò, badiamo bene, alle porte di una nuova stagione contrattuale e senza che ci sia stata una, solo una, riconsiderazione della strategia contrattuale. Si può cambiare linea in silenzio, con il silenzio? Davvero il passato assolutamente prossimo non conta nelle scelte?
Analogo ragionamento riguarda il tema dell’accordo sul testo unico sulla rappresentanza. Con quell’accordo abbiamo dato certezza alla rappresentanza, funzione e soggettività in fabbrica dentro uno scontro politico dai toni elevati. È stato oggetto perfino di divisioni congressuali. Non credo che tutti questi siano stati incidenti di percorso. Dietro c’era uno scontro politico. Non ho mai creduto né alle amnistie né all’ergastolo, ma nemmeno ai condoni, tanto meno ai colpi di spugna. Al confronto civile dentro la Cgil, alla battaglia delle idee e alla necessità di tenerla unita sì, sempre. Su quali basi stiamo discutendo? Voglio dire che dietro l’autonomia, il contratto e la rappresentanza sindacale c’è proprio tutto il nostro orizzonte. Io penso che la Cgil sia essa stessa più forte dei suoi segretari e vive, per fortuna, di tanti punti di direzione e di un popolo straordinario. Però credo che l’elezione del segretario generale pretenda di chiarire punti politici vitali per tutti noi. Non può essere proposta né accettata alcuna rimozione. La composizione unitaria, che reputo necessaria e per la quale è necessario sempre battersi, viene un momento dopo. Prima i contenuti e poi il segretario. Altrimenti si torna al vecchio correntismo, alle vecchie pratiche, allo schema amico-nemico. Ma quello non fa parte della nostra storia recente e non ne ho nostalgia. Basta guardare la fine che hanno fatto tutti i partiti imperniati su quella modalità.
Tra l’altro, una domanda sommessa la vorrei porre: davvero si pensa che con questa modalità la Cgil sarà più unita? E quali saranno i prezzi? Detto questo, Maurizio Landini è “oggettivamente” un autorevole candidato alla segreteria generale, perché ha rappresentato un punto di vista radicalmente alternativo ed è un uomo di valore. Ma per la sua stessa natura non è un candidato di tutti. Non voglio usare strumentalmente temi che ci hanno diviso ma non c’è dubbio che rappresentano l’identità della Cgil, una linea politica che non può essere cancellata con semplici alchimie: lì c’è il nocciolo duro della nostra peculiarità e della nostra storia. Credo, quindi, ci sia stata una gestione che ha quanto meno accelerato la spaccatura della Cgil. E questo è l’errore politico più evidente.
In ultimo, ho partecipato all’ormai famoso “ascolto”, come tanti e non so nemmeno quanti e chi. Non è poco non sapere quale platea viene usata e quali siano state le domande. Di una spiegazione ex post non sento il bisogno. Non ho avuto l’impressione che mi si chiedesse di indicare un nome. Non so se sono stato l’unico a cui non è stato chiesto. Nel qual caso avrei detto Vincenzo Colla, ex segretario generale della Cgil emiliana e rappresentante di una cultura che forse, in una fase di disintermediazione sociale e di caduta di riferimenti culturali e politici, potrebbe aiutare la Cgil sul piano della iniziativa politica e contrattuale. Ex operaio, come Maurizio Landini, e con la soddisfazione di potere evocare questa categoria sociale di fronte all’idiozia imperante del “curriculum”. Con i “curriculum”, ormai si sa, i Toninelli sono sempre in agguato! Ma avrei aggiunto, anche, che il gruppo dirigente utile a fare tutto ciò è il prossimo, non questo. Le mie opinioni personali sarebbero diventate opzioni politiche solo in presenza dell’apertura formale delle procedure per l’elezione del segretario generale della Cgil e a fronte della impossibilità di una candidatura unitaria.
Le forme e dunque le regole servono a dare sostanza alla democrazia. Sono la democrazia. Una democrazia è tale se si rispettano i vincoli che ci siamo dati. Viviamo in un tempo in cui si preferisce “badare al sodo”. Ma a sostenerlo sono i nostri avversari, quelli che vogliono mettere sotto tutela la democrazia, quelli che abbiamo il dovere, di fronte al paese e alle giovani generazioni, di sconfiggere. Provare a costruire un percorso che parta dalle discriminanti politiche e rispetti le regole è condizione, sempre, per l’approdo unitario. Credo che questa sia, senza eccezione alcuna, l’ambizione di ciascuno di noi.