Franco Castrezzati ci ha lasciati alla veneranda età di 99 anni. Ma chi lo ha conosciuto non può stupirsi di una longevità sostenuta da una tempra morale di un grande sindacalista di altri tempi. Castrezzati, bresciano, appartenne alla Camelot di Pierre Carniti.
Segretario della Fim-Cisl di Brescia fu tra i protagonisti di quella stagione magica che vide la categoria dei metalmeccanici trainare, con la spinta propulsiva della FLM, tutto il movimento sindacale verso la prospettiva della riunificazione che però non riuscì a sfondare il tetto di cristallo della fondazione ad opera dei partiti dopo la caduta del fascismo e la rinascita della democrazia. Le ragioni che nell’immediato dopoguerra avevano diviso i partiti e di conseguenza i sindacati erano divenute elementi di un dna per sua natura immodificabile, se non correndo il rischio di danni più gravi determinati da un nuovo pluralismo che avrebbe spaccato e diversamente ricomposto le grandi confederazioni storiche.
Castrezzati era l’oratore ufficiale di una manifestazione contro il terrorismo fascista, quando, in Piazza della Loggia, si verificò, il 28 maggio 1974, uno degli episodi più cruenti della strategia dello stragismo eversivo di destra. Mentre Franco pronunciava le prime frasi del discorso inneggianti alla resistenza e alla guerra di liberazione, scoppiò un ordigno nascosto in un recipiente di metallo per la raccolta dei rifiuti,provocando la morte di otto persone e il ferimento di altre centodue. Un’altra persona morirà in seguito alle ferite molto tempo dopo, portando a 9 il numero totale dei decessi. Ricordo che il giorno dei funerali, Castrezzati iniziò il suo discorso commemorativo ripetendo quelle prime frasi, fermandosi al punto in cui il 28 maggio era scoppiata la bomba. In quell’attentato fu annientato il gruppo dirigente del Sindacato Scuola della Cgil. Giuseppe Casadio che ne era il segretario non era presente perché era ammalato. Ma per lui la morte dei suoi compagni più stretti fu un trauma tale che lo indusse persino la lasciare la cattedra e a rientrare a Ravenna che era la sua città.
Colà intraprese un’altra vita nella Cgil che lo portò nel tempo fino a far parte della segreteria confederale. Con Casadio, un altro che ci ha lasciato dopo una lunga e tremenda malattia, ho lavorato a lungo quando dirigevo la Cgil della Emilia Romagna. Dei metalmeccanici bresciani, della stessa Fiom di quella provincia ci sarebbe da scrivere una lunga storia. Per molti anni quella federazione fu sempre diretta da ‘’papi stranieri’’, tra cui vanno annoverati nomi che sono entrati nella storia della Confederazione come Pio Galli, Gastone Sclavi, Claudio Sabattini. Ma, parlando di Castrezzati (ex partigiano, cattolico e democristiano) mi sono ricordato di un episodio che rende testimonianza della grandezza dei dirigenti sindacali di quei tempi con i quali ho avuto l’onore e la fortuna di lavorare.
Alle OM – la fabbrica bresciana allora più importante e appartenente al gruppo Fiat – era iscritto alla Fim un gruppo significativo di lavoratori democristiani (della corrente di Carlo Donat Cattin), molto attivo non solo nel sindacato ma anche sulla scena politica cittadina. Quando, dopo l’autunno caldo, si passò alla fase eroica della elezione su scheda bianca dei delegati di gruppo omogeneo e dei consigli di fabbrica, alle OM prevalse la logica partitica e i democristiani della Fim furono penalizzati nel voto. Castrezzati e Carniti fecero presente a Trentin che questo era il modo di lavorare per il re di Prussia perchè il settarismo non favoriva l’unità e dava filo da tessere a quanti all’interno della Cisl ne osteggiavano il processo (paradossalmente diversi anni dopo quando ci fu la vicenda della scala mobile quel gruppo di lavoratori DC si schierò con i comunisti della Cgil). Bruno era molto sensibile a queste problematiche; non si prestava alla retorica dei ‘’migliori’’ perché – sosteneva – non potevano appartenere tutti ad una sola parte; inoltre credeva che i migliori fossero coloro sui quali si realizzava l’unità dei diversi. Accadde allora che i tre segretari generali della Flm (Trentin, Carniti e Benveduto) si recassero a Brescia per affrontare la questione in assemblea con i lavoratori della OM e li convincessero a determinare – grazie alle dimissioni di alcuni delegati della Cgil e della Uil – un equilibrio più corretto. Allora erano tempi fatti così.






























