Quasi il 90% delle piccole e medie imprese manifatturiere non ha intenzione di lasciare a casa i propri dipendenti al termine del blocco dei licenziamenti. Oltre il 30% delle aziende è, invece, pronto ad assumere ma fatica a trovare figure specializzate, dai falegnami ai saldatori. Questi i risultati di una recente indagine realizzata dalla confederazione. In particolare, dall’indagine risulta che l’89% degli imprenditori non è interessato al superamento del blocco dei licenziamenti perché non lasceranno a casa i propri dipendenti. C’è poi il 32% delle imprese che ha in previsione nuove assunzioni. La manifattura quindi non licenzia, al contrario assume.
E per quell’11% che sarà costretto a licenziare (si parla per lo più di 1 o 2 addetti) esiste una forbice tra nord e sud, fa presente il Centro Studi Confimi: solo il 9% delle pmi del centro-nord ridurranno il personale contro un 18% del Mezzogiorno. È quanto emerge dal Centro Studi di Confimi Industria che ha intervistato nelle scorse settimane la base associativa, piccole e medie imprese del manifatturiero privato italiano. Nessun importante scostamento neppure sul fronte dell’occupazione femminile che nel suo complesso – seppur di alcune unità – sembra esser cresciuto (+1%) nel 2020 ed è destinato a farlo anche nel 2021.
Sempre l aricerca sottolinea come la pandemia abbia acuito le difficoltà certo ma la macchina produttiva sembra esser ripartita: gli imprenditori del manifatturiero italiano, dopo la flessione dell’anno scorso che nel complesso ha portato a una perdita del fatturato intorno all’8% rispetto al 2019, prevedono di chiudere il 2021 con fatturati precovid. Inoltre, sono in difficoltà sul lato occupazionale il 14,3% delle pmi alimentari che lavorano con il settore Horeca, il 9% delle aziende della meccanica che soffrono i costi alle stelle delle materie prime e la difficoltà nel reperire componentistica e che potrebbero per questo dover rallentare o persino fermarsi, l’8,2% delle aziende dei servizi e di quelle del turismo vittime da oltre un anno della situazione pandemica.
Per il presidente di Confimi Industria, Paolo Agnelli, in un’intervista ad Askanews a firma di Maria Luigia Pilloni, chi non aveva una finanza ben strutturata “ha registrato forti indebitamenti o ha chiuso in virtù del fatto che stava in piedi solo sul giro d’affari e non sulla sua posizione finanziaria netta. Prima del Covid, in Italia, chiudevano 250 aziende al giorno. Questo numero con il Covid, sicuramente, è andato ad aumentare. Nei dieci anni precedenti al Covid hanno chiuso in Italia 850mila imprese, per cui noi eravamo già ammalati. Ma ci sono anche delle questioni diciamo ‘positive’. Il mercato si è raffinato: utilizzando il linguaggio botanico si potrebbe dire che sono state fatte delle potature abbondanti e questo ha fatto bene alla pianta perchè certe aziende che erano in difficoltà creavano qualche problemi alle aziende che andavano bene. Abbiamo visto poi una rigidità bancaria sempre più accanita, mentre avrebbero dovuto essere più morbidi. E abbiamo visto, poi, che nei momenti di difficoltà ognuno si è dato da fare per inventarsi qualcosa di nuovo e questo porterà in futuro delle modifiche positive al fatturato o all’organizzazione. Infine la pandemia ha messo in evidenza come i nostri servizi commerciali siano piuttosto vecchiotti”.
Per Paolo Agnelli, in merito alleprospettive per il mercato del lavoro, spiega: “Per la nostra indagine abbiamo preso come campione mille pmi del manifatturiero del nord, centro e mezzogiorno Si tratta di aziende che vanno da 10 a 249 dipendenti. L’89% delle aziende non ha nessuna intenzione di licenziare al termine del blocco dei licenziamenti. C’è poi un 32% delle imprese che ha in previsione nuove assunzioni. La manifattura quindi non licenzia, al contrario assume anche se fa fatica a trovare il personale richiesto. Mancano figure come il fabbro, il falegname o il saldatore. Alle pmi non servono laureati ma operai specializzati”.
E.G.