Brutti segnali dal fronte dell’inflazione. Ma non sono i soliti. I prezzi non salgono troppo, ma troppo poco. Siamo sul versante opposto dell’inflazione, cioè sull’orlo della deflazione: è il segnale forse più vistoso della profondità della crisi. E delle difficoltà che l’Italia, ma anche l’Europa hanno di fronte: uscire dalle spire della deflazione è, tecnicamente, più difficile che domare l’inflazione. Ad aprile, i prezzi, nell’area euro sono cresciuti solo dell’1,2 per cento, rispetto ad un anno fa, ancor meno dell’1,7 per cento registrato a marzo, che già era lontano dal limite del 2 per cento che, in teoria, è il parametro su cui la Banca centrale europea dovrebbe fissare la barra della sua politica monetaria. I dati sono, in parte, falsati dal vistoso calo dei prezzi dell’energia (dal carbone al petrolio). Ma è da gennaio che i prezzi rallentano sempre di più ogni mese, rispetto ad un anno prima. La macchina si sta, insomma, fermando in queste settimane. Anche togliendo dal conto l’energia, se si guarda l’indice mese per mese,si vede che, fra marzo e aprile, l’aumento è stato, praticamente , zero.
Vale anche per l’Italia, nonostante che il nostro paese, per inefficienze strutturali, abbia incorporato un tasso d’inflazione, normalmente, più alto degli altri. Ad aprile i prezzi italiani sono cresciuti solo dell’1,3 per cento, rispetto all’aprile 2012, dopo l’1,8 per cento di marzo. E, anche per noi, la crescita dei prezzi, mese su mese, fra marzo e aprile è stata quasi impercettibile. E’ ancora presto, probabilmente, per parlare di deflazione vera e propria. Ma è bene sapere fin d’ora che, mentre per combattere l’inflazione basta, normalmente, alzare i tassi di interesse, il contrario, per combattere la deflazione, non funziona, perchè i tassi ufficiali sono già, come oggi, vicini a zero. E la deflazione spinge a rinviare i consumi, scoraggia gli investimenti, rende più pesante l’onere di tutti i debiti a cominciare da quello statale.
Non è il solo segnale negativo dei dati di aprile. L’altro è che in Germania, dove pure l’economia ancora mostra segni di vitalità, i prezzi sono aumentati ancora meno: 1,1 per cento, rispetto ad un anno fa, contro l’1,3 italiano e l’1,2 per cento dell’area euro. Detto in due parole, vuol dire che l’industria tedesca sta ulteriormente guadagnando competitività, invece di perderla, come occorrerebbe per alleviare gli effetti della crisi dell’euro. Se, infatti, la spaccatura che si è aperta fra Nord e Sud Europa è, anzitutto, il risultato della minore competitività delle aziende meridionali, rispetto a quelle tedesche, chiudere il divario risulterebbe meno penoso se, mentre si riducono prezzi e salari nel Sud, aumentassero, invece, velocemente, quelli nel Nord. Altrimenti, tutto l’onere dell’aggiustamento ricade su prezzi e salari del Sud, che devono scendere assai di più, per risultare competitivi rispetto a quelli tedeschi.
Sta avvenendo il contrario. E, anzi, il dato complessivo non dà interamente la misura di questo ulteriore guadagno di competitività tedesco. Nel caso della Germania, infatti, i prezzi dell’energia giocano un ruolo opposto (in virtù delle difficoltà della riconversione dal nucleare): sono, infatti, cresciuti. Questo significa che gli altri prezzi, più direttamente rilevanti dell’energia per la competitività, sono cresciuti ancora meno dell’1,1 per cento. Più esattamente, al netto di petrolio e carbone, i prezzi in Germania, fra marzo e aprile, mese su mese, sono scesi. Se i dati dei prossimi mesi confermeranno, per Eurolandia, Italia e Germania, le tendenze di aprile, ci aspettano un’estate e un autunno durissimi.
di Maurizio Ricci