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Home - Approfondimenti - Interviste - Ambrogioni, evitiamo le demonizzazioni

Ambrogioni, evitiamo le demonizzazioni

8 Maggio 2012
in Interviste

Roberto Adinolfi, amministratore delegato dell’Ansaldo, viene gambizzato mentre esce di casa la mattina presto, e subito il pensiero corre agli anni di piombo, un ricordo terribile che agghiaccia. Ed è immediata la tentazione di mettere assieme questo tragico fatto di cronaca con l’appesantimento del clima sociale che stiamo vivendo. Sempre più famiglie non ce la fanno più ad arrivare non alla fine del mese, a volte, troppo spesso, nemmeno alla metà, e del resto i salari stagnano, mentre i rinnovi dei contratti di lavoro si allontanano. Cala la speranza e c’è sempre qualche squilibrato che pensa di risolvere i suoi guai e quelli di una società che sta annaspando sparando a un manager. Lo sconcerto nella categoria di dirigenti è alto, la paura che si torni agli anni bui del terrorismo cresce. Giorgio Ambrogioni, presidente di Federmanager, il sindacato dei dirigenti di azienda industriale, vuole spezzare questo filo nero e fa voti perché cresca al contrario il senso della solidarietà.

Ambrogioni avete letto nel ferimento di Adinolfi l’ombra di un possibile ritorno a un triste passato di violenza?
Non voglio e non debbo fare allarmismo, ma noi avvertiamo segnali preoccupanti.

Che tipo di segnali?
C’è un ritorno di violenza nelle fabbriche. I manager ancora una volta vengono additati come responsabili delle difficoltà comuni, sono chiamati a pagare per responsabilità che non sono loro.

Quindi non è solo una sensazione, la situazione sta davvero peggiorando?
Sì e non aiuta certa stampa che ci indica come la categoria dei cattivi, che in quanto tale devono pagare.

Proprio voi che in passato avete pagato un prezzo alto.
Sì, il prezzo fu alto e non vorremmo proprio che si tornasse a percorrere quella strada. Il punto è che quando il pensiero torna agli anni del terrorismo tutti si ricordano dei giornalisti, degli imprenditori, dei magistrati uccisi, mai nessuno dei manager uccisi. E furono tanti. Fu il prezzo amaro di quella stagione dell’odio che non vorremmo tornasse mai.

Il clima sociale si sta deteriorando, questo è indubbio.
Sì, si sta appesantendo pericolosamente. E persone deboli possono essere indotte a comportamenti anomali. Ma proprio per questo dobbiamo reagire a un lento scivolamento verso il baratro della violenza. La situazione è grave, nessuno lo ignora, ma noi pensiamo che il paese possa riuscire a superare le difficoltà se tutti assieme facciamo uno sforzo congiunto.

Cosa occorre fare?
Innanzitutto, dobbiamo cambiare i linguaggi, i comportanti, le azioni, abbandonare ogni forma di populismo, senza addossare responsabilità a chi non c’entra nulla, e soprattutto cercando di collaborare per migliorare le cose. Noi possiamo farcela, il paese può farcela.

I manager sono pronti a uno sforzo congiunto per superare questa fase di difficoltà?
Prontissimi. Ma tutti devono ricordare che noi siamo solo dei lavoratori dipendenti. Siamo ben retribuiti, ma per il nostro merito, per il lavoro di responsabilità che svolgiamo. Siamo l’1% di coloro che pagano l’Irpef, ma versiamo il 20% del totale. Perché guadagniamo di più, certo, ma lo meritiamo per le responsabilità che abbiamo, per il lavoro che svolgiamo, per il contributo che diamo alla competitività delle imprese e alla crescita del paese.. Ma siamo pronti a fare quello che possiamo.

Lei è ottimista, pensa che possiamo farcela, che l’Italia possa uscire dalle difficoltà?
Ne ha tutte le potenzialità. Abbiamo giovani in gamba, imprenditori capaci, manager valenti. Certo, serve un progetto paese credibile, e che sia portato avanti da una classe politica credibile.

Monti doveva essere proprio questo, credibile.
Deve esserlo, deve dare segnali precisi in questa direzione, è questo quello che il paese attende. Non è facile, ma non si può fare altrimenti. I politici devono smetterla di parlare alla pancia della gente , devono parlare alla loro testa e al loro cuore. Bisogna smettere di dire cose urticanti, che fanno bene solo all’antipolitica.

I manager si sentono in prima linea?
Nell’azione di risanamento del paese sì. Noi siamo un pezzo della classe dirigente del paese e siamo pronti a svolgere la nostra parte assumendoci tutte le responsabilità che servono. Siamo abituati, lo facciamo sempre, tutti i giorni è questo il nostro lavoro.

Massimo Mascini

redazione

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