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Home - Approfondimenti - La nota - Audiovisivo, il triello del Tax Credit in scena ai David di Donatello: se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi

Audiovisivo, il triello del Tax Credit in scena ai David di Donatello: se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi

di Elettra Raffaela Melucci
15 Maggio 2025
in La nota
Audiovisivo, il triello del Tax Credit in scena ai David di Donatello: se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi

Pur offuscato dall’elezione del nuovo Pontefice, l’8 maggio il David di Donatello, uno dei premi più prestigiosi a livello nazionale per l’industria cinematografica, ha compiuto 70 anni. Una cerimonia che di solito si consuma nello spazio di una giornata e che viene dimenticata non appena si spengono le luci del Teatro 5 di Cinecittà. Ma quest’anno è andata diversamente. Non tanto (e non solo) per i riconoscimenti assegnati ai professionisti dell’audiovisivo, quanto per il fuoco di fila tra maestranze e ministero della Cultura che si è innescato già a partire dalla cerimonia mattutina al Quirinale. Oggetto della contesa è la pesante crisi che sta subendo l’industria cinematografica italiana, ferma ormai da due anni principalmente per le azioni di riforma inaugurate dall’ex ministro Gennaro Sangiuliano e perseguite dal successore Alessandro Giuli. Ma prima di arrivare al turning point dell’otto maggio, ripercorriamo le tappe di questo thriller politico.

Come già approfondito su Il diario del lavoro, tutto nasce dall’esigenza di razionalizzare le risorse con la riduzione del Fondo cinema del 5% (dai 746 milioni del 2023 ai 696 milioni del 2024) che hanno avuto tutti i dicasteri. La questione, però, si è innescata quando Sangiuliano ha affermato che in Italia si producono troppi film con sostegno pubblico, alcuni dei quali poco o mai distribuiti. Uno spreco di risorse, dunque, che necessita di una “rivoluzione” a partire dal sistema del Tax Credit – il sistema di agevolazione fiscale a copertura delle spese per lo sviluppo, la produzione, la distribuzione nazionale e internazionale di film, opere tv, opere web, videogiochi e per l’apertura o ristrutturazione di sale cinematografiche, per i costi di funzionamento delle sale cinematografiche e per le industrie tecniche.

In breve, la riforma prevede che per poter accedere al finanziamento del Tax Credit il requisito sia il possesso del 40% di capitali privati alla presentazione della domanda: a queste condizioni, per una PMI con capitale sociale da 40 mila euro è piuttosto difficile finanziare un’opera. Gli scaglioni di finanziamento sono tre: sopra i 3 milioni mezzo, sotto i 3 e mezzo, e sotto un milione e mezzo, quest’ultimo per le opere prime e seconde, i documentari e i cortometraggi. Altro criterio per l’accesso al finanziamento riguarda la distribuzione: i contratti devono essere sottoscritti con le prime venti società in termini di fatturato di distribuzione italiana, ma purtroppo la maggior parte di esse sono multinazionali straniere o partecipate.

A ciò ha fatto seguito un’ondata di blocchi per le produzioni indipendenti: 9.000 imprese, 95.000 posti di lavoro diretti e 114.000 nelle filiere connesse; forza lavoro giovane e una percentuale di donne impiegate maggiore rispetto alla media nazionale. Il fatturato generato è di 13 miliardi di euro, il 10% del totale europeo. L’Italia, quindi, si piazza al quarto posto nella classifica dei mercati di riferimento in Europa, il terzo per produttività del lavoro (dopo Germania e Francia). “Numeri che testimoniano la grande dimensione del settore, che sviluppa un moltiplicatore economico di 3.54 euro di cui beneficia l’intera economia nazionale, oltre a creare e promuovere l’immagine del Paese nel mondo”, fanno notare i rappresentanti delle principali associazioni di categoria che immediatamente si sono mobilitati. Il sistema non è perfetto, sono necessari interventi correttivi, ma attraverso il dialogo tra associazioni e governo.

La preoccupazione si concentra principalmente sui livelli occupazionali, come segnalano anche i sindacati. Lo scorso 5 settembre, durante le giornate della Mostra internazionale d’arte cinematografica a Venezia, si è tenuto l’incontro “Sindacato e Impresa: Fare Sistema per lo Sviluppo del Cine-Audiovisivo”, promosso da Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil insieme alle associazioni dei grandi produttori Anica, Apa, e quelle dei piccoli produttori Ape, Cna, Confartigianato. Nell’occasione è stato presentato un rapporto elaborato dalla Cgil sugli ultimi dati sull’andamento occupazionale nel settore, che rileva una flessione di circa il 40% dell’occupazione dal 2023 al 2024, mentre dal 2019 al 2023 c’era stato un aumento del 50%. Per questo motivo, i sindacati hanno invitato a più riprese il ministro Giuli e chi di competenza a convocare un incontro per fare il punto su come tutelare le lavoratrici e i lavoratori e individuare insieme gli aggiustamenti alla riforma.

Nel frattempo, un gruppo di piccoli produttori ha presentato ricorso al Tar del Lazio che lo scorso 27 novembre “accoglie la domanda cautelare” sul decreto Tax Credit “e fissa per la trattazione del merito del ricorso l’udienza pubblica del 4 marzo 2025″. Con questa spada di Damocle, il Mic e il Mef si adoperano per un provvedimento correttivo che smusserebbe i parametri stringenti e limitativi della riforma Sangiuliano, pur continuando a negare la paralisi del settore. Tuttavia la sentenza viene rinviata al 27 maggio perché il decreto correttivo è al vaglio della Ragioneria dello stato. Sentito dal quotidiano Domani, l’avvocato Christian Collovà spiega che la decisione è stata rimandata “perché, se il decreto fosse stato revocato, sarebbero decadute anche le correzioni, riportandoci al punto di partenza”. Secondo quanto trapelato, nel correttivo sarebbe stato eliminato il vincolo di accordo con una primaria società di distribuzione cinematografica e anche anche la necessità di dimostrare che il 40% del costo di produzione dell’opera cinematografica sia coperto da risorse private. Tuttavia, sarebbe previsto un limite dell’80% alle misure di sostegno pubblico.

È questo il contesto che accoglie i David di Donatello 2025. Interno giorno, palazzo del Quirinale. L’attrice Geppi Cucciari presenta la cerimonia alla presenza dei candidati e delle istituzioni. Parla il ministro Giuli – “Il cinema va riconfigurato […] Abbiamo messo a disposizione una squadra di 30 tecnici dedicati ad accelerare il processo di erogazione basato sui diritti acquisiti da coloro che hanno ottenuto il riconoscimento degli incentivi in modo tempestivo, perché quella tra il Ministero e il cinema non può che essere una storia d’intesa e d’amore” –, ma parla soprattutto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, come sempre, centra il punto: il cinema, afferma, è “un comparto che ha un peso importante, e crescente, nell’economia nazionale. Anche per questo, mentre apprezziamo il fiorire di nuove opere dobbiamo anche riflettere sui problemi aperti, individuare i punti critici del sistema e trovare soluzioni che possano aiutare il cinema a superare le difficoltà”. E affonda riprendendo la questione della desertificazione delle sale, parlando di “una pericolosa erosione che le sta sottraendo a città e quartieri” e che “non ci si può rassegnare a logiche commerciali e di mercato che non tengono adeguatamente in considerazione il cinema, inteso anche come valore sociale, come occasione di incontro, di ritrovo, di condivisione. Le istituzioni – sia nazionali sia locali – hanno la responsabilità di governare questi processi”. Mattarella entra poi nel vivo: “Occorre rilanciare le produzioni, e farlo in modo da restituire dinamicità ed equità al sistema. Vi sono incertezze normative che non aiutano i produttori indipendenti, né gli autori più giovani. Problemi che vanno affrontati anche per evitare che raffreddi l’interesse di produzioni estere, tornate nei nostri studi perché hanno visto nell’Italia un grande polo del cinema europeo. È auspicabile che istituzioni e componenti del cinema intensifichino il dialogo e cerchino soluzioni”.

“Meno male che c’è il presidente Mattarella”, dichiara ai cronisti Elio Germano, vincitore della statuetta come migliore attore protagonista per Berlinguer – La grande ambizione e presente alla matinée, “perché io ho fatto fatica invece ad ascoltare il rappresentante della cultura del nostro Paese, il ministro” Giuli, a cui addebita il demerito della situazione che vive il settore: “Il cinema è davvero in crisi e noi crediamo per grossa responsabilità del ministero della Cultura. Sentirci dire che le cose vanno bene, in questo modo tra l’altro bizzarro, è dal mio punto di vista fastidioso”. Ma non solo: “Mi piacerebbe che invece di piazzare i loro uomini nei posti chiave come fanno i clan si preoccupasse di fare il bene della nostra comunità mettendo le persone competenti nei posti giusti. Non sono solo le armi che aumentano il Pil del Paese”.

Qualche ora dopo, durante la serata delle premiazioni, viene conferito il David alla carriera al regista Pupi Avati – che a febbraio, in un’intervista al Corriere, aveva rilanciato la proposta di istituire un ministero ad hoc per il cinema, proposta salutata con favore anche dal vicepremier e ministro degli Affari Esteri, Antonio Tajani. Al termine del suo discorso, Avati si rivolge direttamente alla sottosegretaria leghista alla cultura, Lucia Borgonzoni: “La cosa del Cinema Revolution è carina però noi abbiamo bisogno di qualcosina in più”. Questa festa è una cosa meravigliosa, indora la pillola il regista, ma “voglio dire a Lucia che tutto ciò non assomiglia al cinema italiano. Qui stasera c’è l’opulenza, ma nel cinema italiano ci sono società piccole e indipendenti che stanno facendo una fatica pazzesca a sopravvivere. Applaudi, Lucia. Dov’è la Sbarigia? [Chiara Sbarigia, Presidente dell’Istituto Luce Cinecittà e di APA – Associazione produttori audiovisivi, ndr] Non applaudono loro due”. Il gelo sul volto di Borgonzoni, Sbarigia che simula entusiasmo. “La cosa più bella che si potrebbe fare è questa: la Schlein telefona alla Meloni e le dice ‘Giorgia sono Elly, non potremmo vederci per mezz’ora con Giorgetti e parlare del cinema italiano?’. Non sarebbe auspicabile?”. Avati agguanta il premio e se ne va tra gli applausi. La leader della Pd coglie la palla al balzo sui suoi canali social: “Caro Pupi, io ci sto! Abbiamo già presentato una proposta di legge per salvare e rilanciare il cinema italiano, pronta a discuterne con il governo”.

Ma è l’affondo di Germano a bruciare, non la requisitoria del “conservatore” Avati. Federico Mollicone (FdI), presidente della commissione Cultura della Camera, si schiera a difesa del suo datore di lavoro: “Germano è un bravo attore, ma un pessimo rappresentante della categoria: chieda scusa al ministro” -, ma è lo stesso ministro a replicare qualche giorno dopo: “C’è una minoranza rumorosa che si impadronisce perfino dei più alti luoghi delle istituzioni culturali, come il Quirinale, per cianciare in solitudine, come Elio Germano qualche giorno fa, con certe battutine che sono una spia interessante del loro approccio”. E non manca di riprendere un refrain caro alla destra: “È esistita una cultura di sinistra oggettivamente potente, coerente ed organica, quella gramsciana, bisogna dargliene atto, ma c’è stata anche progressivamente una erosione dal momento in cui si è generato il divorzio tra consenso e potere. Avevano gli intellettuali e se li sono persi, si sono affidati agli influencer e poi hanno scoperto che anche loro erano quattrinari, alla fine gli sono rimasti solo i comici ormai”. Il riferimento è anche a Geppi Cucciari, che al Quirinale ha ironizzato sui barocchismi dei discorsi di Giuli – “l’unico ministro i cui interventi possono essere ascoltati anche al contrario, e spesso migliorano”.

Alla luce di tutto ciò, 94 tra attori e registi hanno sottoscritto una lettera ideata dal regista Andrea Segre (Berlinguer – La grande ambizione, vincitore di due statuette) indirizzata a Giuli e Borgonzoni. “La situazione lavorativa e produttiva del cinema italiano è indubbiamente in crisi – si legge -. Negli ultimi due anni il quadro di complessiva incertezza normativa e i ritardi, generati in primis dall’operato del Governo nella gestione della riforma del Tax Credit, hanno causato una crisi di sistema che ha colpito molte produzioni, soprattutto le più piccole e indipendenti, e ha lasciato senza lavoro centinaia di lavoratrici e lavoratori, a cui manca anche un sostegno al reddito per il 2025 e un sussidio di recupero salariale e contributivo per il 2024”. E ancora: “L’auspicata prossima pubblicazione della versione definitiva del decreto correttivo Tax credit è una prima risposta, ma incompleta e insufficiente. Riteniamo che sia necessario attivare iniziative ben più ampie e rilevanti, come ad esempio ha chiesto Pupi Avati durante la cerimonia dei David di Donatello. La cultura e la democrazia italiana non possono essere piegate ad interessi di parte, ma vanno tutelate e arricchite con rispetto delle competenze, delle professionalità, delle regole costituzionali e dei diritti di tutti e tutte”. La richiesta è di un incontro tra le parti per ascoltare le richieste urgenti delle associazioni “e chiediamo che si fermino invece le polemiche pretestuose e gli attacchi inaccettabili a chi democraticamente ha mosso critiche all’operato del Ministero, come il nostro collega Elio Germano e la nostra collega Geppi Cucciari, ai quali va tutta la nostra solidarietà”.

L’opposizione approfitta a condivide i contenuti della missiva. “Le dichiarazioni del ministro Giuli sono inqualificabili”, affermano i componenti del Partito democratico in Commissione Cultura della Camera. “I suoi attacchi a chi esprime dissenso sono indegni per chi dovrebbe rappresentare e tutelare le istituzioni culturali nell’interesse di tutti gli italiani. Sono state sollevate questioni reali, gravi e urgenti che meritano risposte, non denigrazione o controinformazione. Serve un confronto immediato, pubblico e trasparente. Chiediamo che il presidente della Commissione Cultura, Federico Mollicone, calendarizzi senza ulteriori ritardi la proposta di legge Schlein sul cinema e avvii un dibattito sullo stato del cinema e dell’audiovisivo in Italia”.

Ma anche il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, fa sentire la sua voce: “Facciamo nostro l’appello che il mondo dello spettacolo ha sottoscritto rispetto alle forti difficoltà di molte produzioni cinematografiche, soprattutto quelle più piccole e indipendenti, prodotte dalle scelte sbagliate e dai ritardi del Governo sul Tax Credit. Quella del settore – aggiunge il leader della Cgil – è una crisi che riguarda centinaia di lavoratrici e lavoratori. Per questo è urgente introdurre forme di sostegno al reddito che garantiscano queste lavoratrici e questi lavoratori nei periodi di non lavoro”.

Una guerra di logoramento lunga due anni, insomma, in cui molto è cambiato ma tutto è rimasto com’è. Quanto è andato in scena in questa edizione dei David è stato rilevante soprattutto perché, come Nanni Moretti alla mostra del cinema di Venezia 2024, ci si è accorti finalmente che le luci della ribalta servono anche alla rivendicazione di condizioni che permettono la sussistenza dell’industria in quel momento celebrata. In attesa del pronunciamento del Tar, si resta con la speranza che le proteste non restino lettera morta.

Elettra Raffaela Melucci

Elettra Raffaela Melucci

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