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Home - Primo Piano - Autonomia differenziata, ecco perché potrebbe non arrivare

Autonomia differenziata, ecco perché potrebbe non arrivare

di Massimo Mascini
13 Febbraio 2023
in L'Editoriale
Autonomia differenziata, ecco perché potrebbe non arrivare

VINCENZO ENZO AMENDOLAFRANCESCO BOCCIAGIUSEPPE CONTEAgenda 2023, tavolo su Europa e Autonomia differenziata

È difficile che si arrivi davvero all’autonomia differenziata. Tutto farebbe credere di sì, perché il governo Meloni è molto coeso, o tale vuole apparire, e la Lega di Matteo Salvini, soprattutto la Lega di Luca Zaia, vuole fermamente arrivare a questo obiettivo. Ma sarebbe comunque un atto molto grave, che metterebbe a rischio quell’equilibrio di poteri che in Italia è in piedi da settant’anni e la stessa possibilità di governare il Paese in maniera accorta, attenta agli interessi di tutti e non solo a quelli di una minoranza. E poi la tradizionale politica di Fdi, il partito che va per la maggiore e guida questo esecutivo, è totalmente contraria agli obiettivi che il cambiamento vorrebbe raggiungere. Questa formazione politica ha sempre avuto come obiettivo uno Stato forte, molto centralizzato, con una guida capace di svolgere i compiti che si è assunto.

La politica dell’autonomia differenziata cerca invece, lo ha detto con grande chiarezza l’economista Gianfranco Viesti nell’intervista che ha dato a Il diario del lavoro, una vera riscrittura della mappa dei poteri in Italia, e l’obiettivo finale non può essere che uno Stato molto debole e Regioni fortissime, tutto il contrario di quanto ha sempre rincorso Fdi. Del resto, la Meloni è stata negli anni addietro prima firmataria di un disegno di legge di riforma costituzionale che tendeva addirittura ad abolire le Regioni. Se tutto ciò conta qualcosa, l’interesse dell’intero governo a questa trasformazione dello Stato potrebbe cadere in un momento politico ed elettorale più tranquillo, per esempio dopo le elezioni regionali, specie quelle in Lombardia, le più difficili per la Lega e per Matteo Salvini. Non ci sarebbe un dietrofront smaccato, forse, ma insabbiare un disegno di legge, per quanto importante, non è mai stato un problema per i politici italiani.

Il punto è che i rischi che lo Stato corre andando incontro all’autonomia differenziata sono realmente altissimi. Le Regioni hanno chiesto, e potrebbero finire per ottenere, poteri indiscussi e indiscutibili su 23 temi di altissima rilevanza: l’istruzione, la sanità, la politica energetica, la previdenza complementare, i beni culturali, in pratica tutti i campi possibili. E su questi temi, le Regioni non avrebbero solo competenza amministrativa, avrebbero anche la potestà legislativa esclusiva. Se il governo intendesse varare una legge nazionale in uno di questi campi, la politica energetica per esempio, non potrebbe farlo se non chiedendo il permesso delle Regioni, che, è facile immaginarlo, si dimostrerebbero molto mal disposte nel delegare un potere appena ricevuto.

Abbiamo visto l’anno passato quanto sia stato importante, a fronte dello scoppio della guerra in Ucraina, imbastire una nuova politica energetica, centrata sulla differenziazione delle sue fonti. Bene, questo in tempi di autonomia differenziata sarebbe impossibile, perché ogni Regione avrebbe una propria politica, anche in campo energetico. Diverremmo, afferma Viesti, un paese Arlecchino, con tante realtà differenti, tanto differenti da imbrigliare l’azione dello Stato. Del resto, ne abbiamo avuto la prova con la politica attiva del lavoro. Il governo Renzi aveva varato una profonda modifica delle norme della gestione del mercato del lavoro, ma questa nuova realtà avrebbe potuto funzionare solo con una trasformazione dell’azione dello Stato in questo settore. Ma sia i poteri del collocamento che la formazione sono già nelle competenze delle Regioni e quella trasformazione non è stata così attuabile, proprio perché si era in presenza di 21 differenti politiche del lavoro, tra loro assolutamente inconciliabili.

È davvero possibile che lo Stato voglia replicare questa situazione in tutti i campi della propria azione? È davvero possibile che compia un harakiri della propria capacità di gestione della cosa pubblica? Francamente nulla ci meraviglia più, perché le trasformazioni dell’esistente si stanno pericolosamente succedendo, ma forse questo passo rischia di essere veramente esagerato. Anche perché si tratta di un processo che, una volta avviato, sarebbe immodificabile o modificabile con grandissime difficoltà. Se il Parlamento approva il ddl Calderoli e si avvia l’iter procedurale, la possibilità di un successivo intervento sarebbe quasi nulla. E il passaggio di poteri dallo Stato alle Regioni avverrebbe senza che il Parlamento possa poi intervenire a frenarlo o modificarlo. Ci sarebbero trasferimenti importanti di personale dallo Stato alle Regioni, come anche di ingenti risorse economiche, che impoverirebbero pesantemente lo Stato nazionale impedendogli un reale governo della cosa pubblica.

Per tutto ciò è possibile che alla fine si preferisca non farne nulla. Ma quello che sconcerta è che di tutto ciò non ci sia nel paese un’informazione sufficiente. Di autonomia differenziata si parla, anche molto, ma solo di questioni particolari o marginali che non tengono conto del preoccupante quadro d’insieme. I grandi quotidiani, che dovrebbero spiegare cosa sta effettivamente accadendo e quali sono i pericoli che il paese corre, si limitano invece a temi di contorno. E’ certamente importante stabilire i livelli delle prestazioni dovute, ma è più importante, è centrale, che lo Stato sia messo nelle condizioni di continuare a svolgere un’azione politica in campi essenziali per la sua efficienza, come la sanità, l’istruzione, l’energia e così via.

Massimo Mascini

Massimo Mascini

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Direttore responsabile de Il diario del lavoro

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