“È questa la sentenza che ci aspettiamo dalla Corte Costituzionale verso una normativa discriminante e penalizzante per i dipendenti pubblici” dichiara Massimo Battaglia, segretario generale della federazione Confsal-UNSA, il cui ricorso sarà discusso domani 17 aprile.
Mentre per i lavoratori privati è pacifica l’erogazione del TFR entro 3 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, i dipendenti pubblici sono costretti ad attendere fino a 51 mesi in caso di pensione anticipata, secondo i requisiti della legge Fornero, e fino a 93 mesi per chi aderisce a quota 100.
Una normativa – di posticipo e di rateizzazione del TFS/TFR – escogitata e motivata con la necessità del bilancio dello Stato e caricata sulle spalle dei lavoratori del settore pubblico.
In questi ultimi dieci anni, i dipendenti pubblici hanno già subito il blocco dei rinnovi contrattuali con pesantissime ricadute su retribuzioni e quindi sui contributi previdenziali.
La Consulta dovrà pronunciarsi sull’illegittimità dell’art. 12 c.7 del DL 78/10 e dell’art. 3 c.2 del DL n. 79/97 per disparità di trattamento con i lavoratori privati; la pronuncia in ogni caso non interferirà direttamente con la norma varata da questo Governo sull’anticipo bancario del TFS fino a 45.000 euro, su base volontaria e con interessi a carico dei lavoratori.
Nei confronti dei lavoratori andati in pensione negli anni pregressi e nei confronti di quelli che andranno in pensione nel 2019 lo Stato risulta debitore di oltre 17 miliardi di euro, ai quali, per effetto delle cessazioni fra fine del 2019 e inizio 2020, si aggiungono altri 7 miliardi, per un totale di 24 miliardi di euro.
“Ci aspettiamo che la Consulta ponga fine a questa vera e propria appropriazione indebita ai danni dei lavoratori pubblici” conclude il segretario Massimo Battaglia.
TN