Giovedì i due candidati alla presidenza di Confindustria avranno il primo confronto con il Consiglio generale, che dovrà giudicarli e scegliere tra loro il successore di Giorgio Squinzi. Vincenzo Boccia e Alberto Vacchi, davanti alla platea dei 198 grandi elettori, illustreranno i propri programmi per il quadriennio. A prescindere dalle sfumature di ciascuno, è probabile che entrambi metteranno al primo posto quella riforma dei contratti che non era riuscita a Squinzi, e indicheranno come strada da seguire quella indicata da Federmeccanica. E tuttavia, se fino a qualche settimana proprio la strategia degli industriali metalmeccanici sembrava essere vincente (non a caso, tutti i candidati l’avevano citata esplicitamente come brillante esempio), oggi, alla luce dello stallo in cui sembra versare la trattativa per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, con tanto di sciopero unitario di Fim, Fiom e Uilm, riunite per la prima volta dopo otto anni, non sembra più tanto brillante. Ma tant’e’. Saranno gli industriali a decidere, e a scegliere.
L’unica cosa che a oggi sembra certa è che il futuro presidente erediterà, esattamente come l’uscente, una Confindustria divisa, anzi: spaccata nettamente in due. Salvo colpi di scena, infatti, il successore di Squinzi rischia di essere eletto con uno scarto di sette, massimo dieci voti. In base ai conteggi interni, tra Vacchi e Boccia si profila il testa a testa, e pur considerando un fisiologico spostamento di posizioni nelle prossime due settimane, è difficile immaginare un esodo biblico di consensi dall’uno all’altro, tale da consentire l’affermazione di una maggioranza schiacciante. Ma c’è anche da dire che le previsioni della vigilia spesso si rivelano del tutto erratiche. Nel 2000, fino alla sera prima, si dava per vincente Carlo Callieri, in nottata alcuni voti sicuramente cambiarono direzione, ma nessuno avrebbe immaginato che Antonio D’Amato vincesse con un distacco colossale come quello che emerse a urne aperte. Esattamente opposte le previsioni nel 2012: la sfida Squinzi-Bombassei dava in grande vantaggio il primo, che in realtà vinse con soli 6 voti di margine. Causando una frattura interna che non si è mai sanata, e che quattro anni dopo rischia di riprodursi nel confronto Boccia-Vacchi, divisi da un pugno di voti.
Too close to call, dicono gli americani durante le maratone elettorali, quando la distanza tra Repubblicani e Dem è talmente bassa da non consentire una sicura attribuzione all’uno o all’altro. E too close to call sono oggi Vacchi e Boccia, per prevedere chi dei due vincerà. I ‘tecnici’ del conteggio confindustriali continuano a tracciare grafici, basandosi sulle prese di posizione esplicite di queste settimane; ma anche quelle non bastano a definire con chiarezza la situazione. Anche per via del marchingegno elettorale, che distingue tra voti assembleari e consiliari. Per esempio: territoriali come Calabria, Valle d’Aosta, Sardegna, schierate a favore di Boccia, contano un solo voto in Consiglio. La Puglia (ancora Boccia) ne vale 2. Per contro, Bergamo, Varese e Brescia, pro Vacchi, valgono una dozzina di voti consiliari. E ancora: Assolombarda ha 10 voti, tutti per Vacchi; Unindustria Lazio ne ha 7, di cui però almeno uno, quello di Luigi Abete, andrà a Boccia. I Giovani: 6 voti consiliari, che il presidente Marco Gay giura tutti per Boccia, ma secondo altri calcoli almeno due, si dice, saranno in realta’ per Vacchi. La Piccola industria: 16 voti, compattamente per Boccia, con al massimo un paio in libera uscita, tra cui forse il rappresentante che siede in Assolombarda. L’Emilia: per Vacchi, ma solo al 90%, perché la provincia di Reggio e’ per Boccia, come Liguria, Val d’Aosta, Piemonte, mentre Milano, Monza, Bergamo, Brescia, Varese, Pavia, mezzo veneto, Bolzano, Firenze, Prato, il Lazio, Napoli e Benevento sono con Vacchi, che conta dalla sua anche grandi associazioni di fortissimo peso politico, vedi Federmeccanica. Che però, e siamo sempre lì, in Consiglio esprime un solo voto, quello del presidente Fabio Storchi. Il quale Storchi è tra l’altro dato in pole per un posto di vicepresidente per le relazioni industriali nella squadra di Vacchi, che potrebbe comprendere anche Regina per l’economia, Gianfelice Rocca per il centro studi, e la vicepresidente di Treviso, Maria Cristina Piovesana per l’internazionalizzazione. Boccia, invece, punterebbe su una squadra prevalentemente rosa, con Lisa Ferrarini, Antonella Mansi, la presidente dell’Unione di Torino Licia Mattioli, Luisa Todini.
Resta che, chiunque vinca, stante l’attuale situazione dovrà governare “contro” l’altra metà dell’associazione. Una metà non necessariamente geografica, perché la spaccatura riguarda un po’ tutta Italia: il nord è spartito tra Vacchi e Boccia, come lo sono il centro e il sud. Divisioni che passano anche dentro le storie dei singoli, le loro amicizie, i legami. Per dire: sono per Vacchi Diana Bracco e Fedele Confalonieri, amici fraterni e storici di Giorgio Squinzi, che invece tifa per Boccia. Ed erano supporter di Vacchi anche Luca di Montezemolo e Gaetano Maccaferri, soci in Sigaro Toscano di Aurelio Regina, altro candidato, poi uscito dalla corsa.
Insomma, un gran caos, per una Confindustria che dovrà affrontare anni non facili: con i sindacati che forse non contano, ma intanto tengono il punto sui contratti; con la situazione economica che doveva essere in ripresa e che invece, con gli ultimi dati Istat che ci danno nuovamente in deflazione, dimostra di essere ancora nel pantano; e con un premier che tendenzialmente mostra di ignorare perfino l’indirizzo di Viale dell’Astronomia, al punto da non aver mai preso parte a un’assemblea annuale nell’era Squinzi. E vedremo se ci sarà, Matteo Renzi, ad ascoltare il nuovo presidente, il 26 maggio prossimo. Sicuramente sarebbe un segnale.
@nunziapenelope