Un operaio è stato licenziato per giusta causa per “aver condotto all’esterno dello stabilimento materiale di proprietà della società, nello specifico una notevole quantità di bustine di un medicinale in forma di granulato “. In particolare, è stato contestato al lavoratore che al termine del suo turno di lavoro, si approssimava al badge nel tornello posto all’uscita dello stabilimento in possesso di una busta di plastica di quelle in genere utilizzate per la raccolta dei rifiuti.
Su richiesta di un responsabile del datore di lavoro di indicare e far vedere cosa contenesse la predetta busta, l’operaio ne mostrava il contenuto costituito da circa 130 confezioni singole di un medicinale in forma di granulato e con nome commerciale Brufen. Le confezioni venivano trattenute dal personale dell’azienda.
Tra le varie eccezioni difensive proposte dal lavoratore sia in Tribunale che in Corte d’Appello contro il licenziamento vi è stata l’illegittimità dell’ispezione della busta contenente le bustine del medicinale. In particolare, il lavoratore ha sostenuto che l’azienda non aveva la facoltà di ispezionare la busta essendo un effetto personale non ispezionabile per esigenze di tutela della riservatezza e di intimità della persona.
La Corte di Appello di Roma ha rigettato questa eccezione difensiva richiamando l’orientamento della Corte di Cassazione che sul tema ha affermato che “Quanto all’ambito di applicazione della L. n. 300 del 1970, art.6, questa Corte ha avuto modo di precisare (cfr. Cass. n. 1461/88) che l’art. 6 cit. – nel prevedere i casi in cui sono consentite, ai fini della tutela del patrimonio aziendale, le visite personali di controllo sul lavoratore – riguarda unicamente le ispezioni corporali, ma non anche quelle sulle cose del lavoratore, atteso che la norma citata – da interpretarsi letteralmente – contempla solo la “visita personale”, che nell’ordinamento processuale sia civile (art.118 c.p.c.) che penale (artt. 244-246 c.p.p.) è tenuta distinta dall’ispezione di cose e luoghi …”.
La Corte di Appello di Roma ha così condiviso l’interpretazione della norma data dal Tribunale confermando la sentenza: “l’estensione agli accessori (definiti dal ricorrente diretta pertinenza della persona) del divieto ex art. 6 S.L. non è condivisa dalla prevalente giurisprudenza che legge le “visite personali” come distinte dall’ispezione dei luoghi e cose. “Il disposto dell’art. 6 dello statuto dei lavoratori – che prevede i casi in cui sono consentite, ai fini della tutela del patrimonio aziendale, le visite personali di controllo sul lavoratore – riguarda unicamente le ispezioni corporali, ma non anche quelle sulle cose del lavoratore, atteso che la norma citata – da interpretarsi letteralmente – prevede solo la “visita personale” che nell’ordinamento processuale sia civile (artt. 118 e 258 cod. proc. civ.) che penale (art. 309 cod. proc. pen.) è tenuta distinta dall’ispezione di cose e luoghi. (nella specie la suprema Corte ha cassato la pronuncia del giudice del merito che – in un giudizio avente ad oggetto la legittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore per essersi illecitamente appropriato di beni dell’azienda – aveva ritenuto che violasse il disposto dell’art. 6 cit. un’ispezione eseguita dal datore di lavoro sulla borsa personale del lavoratore. Ne consegue che l’accordo sindacale è necessario per stabilire le regole per perquisire la persona del dipendente non i suoi effetti personali come borse o bagaglio in genere, poiché solo nel primo caso sussistono le prevalenti esigenze di tutela della riservatezza ed intimità della persona.
“L’accordo tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali aziendali o la commissione interna, che, ai sensi del terzo comma dell’art. 6 della L. n. 300 del 1970, determina le ipotesi in cui – secondo l’eccezionale previsione del primo comma dell’articolo citato e in deroga al generale divieto stabilito da questa stessa disposizione – possono essere disposte, ai fini della tutela del patrimonio aziendale, visite personali di controllo sui lavoratori nonché le modalità delle medesime, è soggetto (al pari del provvedimento dell’ispettorato del lavoro, da adottare in mancanza dell’accordo predetto) al controllo del giudice per quanto concerne sia l’effettiva sussistenza del requisito dell’indispensabilità delle visite sia l’osservanza o meno dei limiti imposti dalla necessità del rispetto della “privatezza”.
Rapportando questo principio ermeneutico alla fattispecie dedotta in giudizio deve concludersi per l’inapplicabilità dell’art. 6 st. lav. anche alla ispezione della busta trasportata dal lavoratore, con conseguente legittimità dell’operato datoriale, specie ove si consideri che le modalità di esecuzione della predetta ‘ispezione’ sono state caratterizzate, pacificamente, dall’assenza di qualsiasi invasività. (Corte di Appello di Roma sezione lavoro sentenza numero 2307 pubblicata il 24 maggio 2022).
La Corte di Appello di Roma con la sentenza richiamata non ha condiviso il contrario parere del Ministero del lavoro espresso nella circolare n.20.542 del 2016 che ha ricondotto nell’alveo delle visite personali anche gli ‘accessori’ dei singoli lavoratori, con conseguente estensione delle relative guarentigie procedimentali previsti dall’articolo 6 dello statuto dei lavoratori.
Anche la Corte di Appello di Milano (sentenza n. 1083 pubblicata il 30 agosto 2021) segue il medesimo indirizzo giurisprudenziale della Corte di Appello di Roma affermando la legittimità dei controlli difensivi del patrimonio aziendale sul contenuto delle borse e degli effetti personali del lavoratore. Le garanzie dell’art. 6 dello Statuto si applicano solo alle perquisizioni corporali, sulla persona del lavoratore. Riteniamo che il divieto si estenda ai vestiti che il lavoratore indossa (tasche di pantaloni, giacche, cappotti etc).
Biagio Cartillone