Mentre le sale cinematografiche chiudono e il tessuto culturale del Paese si impoverisce, la trattativa per il rinnovo del contratto degli esercizi cinematografici diventa un campo di battaglia per merito e metodo. Il no della Slc-Cgil mette in luce una serie di criticità difficili da ignorare tra cui, in particolare, la precarizzazione del personale e l’atteggiamento antisindacale dell’Anec, l’Associazione nazionale esercenti cinematografici. Salvare le sale è più che giusto, ma a pagare il prezzo non possono essere i lavoratori. Ne parla in questa intervista la segretaria nazionale con delega alla produzione culturale della Slc-Cgil, Sabina Di Marco.
La prima domanda è banale quanto dirimente: perché i cinema, così come anche i teatri, chiudono?
Perché è cambiata la modalità di fruizione dello spettacolo, poi durante il Covid si è diffusa la fruizione del prodotto cineaudiovisivo tramite le piattaforme che ha comportato un rallentamento importante della presenza nelle sale cinematografiche e quindi le sale cinematografiche hanno vissuto un periodo di grande crisi. In larga parte questo sta cambiando: stiamo assistendo, per esempio al ritorno dei giovani nelle sale. È quindi necessario fare delle analisi avvedute, analizzare in maniera più attenta e composita la modalità con cui le persone fruiscono di cinema e di teatro, e cosa rende i cinema ed i teatri più attrattivi della poltrona di casa. Sicuramente le piattaforme hanno cambiato il modo con cui si fruisce lo spettacolo e quindi c’è la necessità anche di ripensare le sale cinematografiche, così come va ripensata la programmazione dei teatri: forse bisogna fare cose più orientate ad alcuni target di pubblico.
E nello specifico delle sale cinematografiche?
In questo caso abbiamo le piccole sale – che riescono a svolgere anche una funzione sociale nei quartieri e che in alcuni casi, come a Bologna, qualificano il proprio personale – oppure le grandi catene di cinema per una fruizione di massa – che si avvicinano, nel modello, più ai centri commerciali dove è possibile trovare di tutto. Si sta ridisegnando il panorama e molte sale cinematografiche vengono chiuse perché non c’è la capacità di fare il salto di qualità, e cioè di provare a costruire un luogo di aggregazione culturale attrattivo di cui noi avremmo bisogno nelle città e nei paesi. Se le sale rimangono abbandonate a sé stesse, con una programmazione senza significatività e senza valore aggiunto, è chiaro che diventano dei luoghi vuoti.
Quindi cosa bisognerebbe fare?
Il punto è che si dovrebbe provare ad avere più capacità di interpretazione di quali sono i bisogni dello spettatore e quindi provare a dargli delle risposte orientandosi anche ai luoghi che sono legati ai quartieri e alle piccole comunità, perché possono fare tanto anche in termini di aggregazione e di socialità. In questo processo di cambiamento, il personale potrebbe giocare un ruolo importante legato ad accoglienza e competenza nella conoscenza del prodotto filmico. Oltretutto gioca un ruolo dirimente anche l’invecchiamento della popolazione, per cui diventa impegnativo spostarsi per raggiungere un cinema che magari abbia anche attività commerciali al suo interno. Però è importante diversificare, perché è quello che consente di far sopravvivere anche le piccole realtà. Purtroppo gli interlocutori, o almeno una parte, con i quali ci siamo confrontati per il rinnovo del contratto vanno in una direzione esattamente contraria.
Motivo per cui la Slc-Cgil non ha firmato l’ipotesi di rinnovo del Ccnl esercizi cinematografici del 23 gennaio. Perché?
Abbiamo infine ritenuto di non dover firmare perché per noi le richieste della controparte sono irricevibili: tutti gli sforzi fatti per rafforzare la qualità del lavoro nel settore venivano vanificati dall’uso sproporzionato di contratti a termine e dall’introduzione per via contrattuale di deroghe al lavoro intermittente, che per legge prevede requisiti molto più stringenti. In questo modo i lavoratori hanno sempre meno un’identità legata al cinema. Una volta lavorare in un cinema significava essere parte di una filiera in un’ottica anche un po’ romantica. Questo mondo adesso non c’è più, e forse anche per questo il cinema in sala è meno attrattivo. Mentre i lavoratori si avvicinano al lavoro nei cinema con passione e con un atteggiamento di identificazione con un lavoro che offre un servizio. I datori di lavoro al tavolo negoziale si sono preoccupati quasi ossessivamente di risparmiare cercando di strappare una multifunzionalità che arriva a chiedere ai lavoratori di arrivare a fare anche le pulizie. In questa volontà di far ricoprire diverse funzioni è emblematico il fatto che non si propongono di valorizzare il lavoro nella direzione che identifica le sale cinematografiche come luoghi di fruizione di cultura, anche di massa. E quindi alla cura dell’offerta di culturale. Durante la trattativa le controparti hanno denunciato una fuga dei lavoratori dal settore – che sostanzialmente ritengono che sia un lavoro non qualificante e senza appeal -, ma invece di invertire la tendenza chiedono di avere lavoratori usa e getta per sopperire, di fatto, a un bisogno di personale che a nostro avviso dovrebbe essere stabile e qualificato. La questione, poi, riguarda anche i lavoratori con contratti a tempo indeterminato che vedranno sempre più “rosicchiare” i propri diritti e minare la solidarietà tra lavoratori. Quella dell’Anec è una visione che va letteralmente in controtendenza con il fatto che c’è sempre maggior bisogno di professionalizzare. In più l’ipotesi di Accordo prevede una parte di aumento destinata al welfare da realizzarsi con la sanità integrativa. Questa parte è impossibile da realizzare per le regole del Fondo sanitario di riferimento del settore che si è già espresso con tutte le perplessità circa la possibilità di attuazione. In particolar modo per i contratti a termine che potranno arrivare fino al 50% della forza lavoro e che non vedranno mai quei miglioramenti economici legati al welfare, così come i tempi indeterminati che finiscono per essere una platea poco significativa da un punto di vista numerico e quindi irrilevante per qualunque fondo che intenda fare integrazioni migliorative. Dunque, non ci sarà la parte di aumento prevista per la sanità integrativa, forse si tradurrà in buoni benzina…forse.
Alcuni rappresentanti dell’Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo hanno firmato l’intesa con la Uilcom. Qual è la sua valutazione?
Credo che alcuni siano molto confusi, soprattutto a fronte della mobilitazione degli artisti, anche internazionali che si è avuta per le sale del Lazio. Quella associazione pubblicizza per i propri associati la tessera Anec per andare al cinema con agevolazioni. Non posso credere che i vantaggi per gli attori e le attrici non siano accompagnati dalla solidarietà con gli altri lavoratori. Sottoscrivere un’ipotesi che penalizza e rende precari i lavoratori del cinema fa supporre, o forse sperare, che non abbiano ben valutato cosa sottoscrivevano, o più semplicemente sono proprio d’accordo con l’uso di strumenti di contrattuali di quella natura e con quell’utilizzo estremo. La Cgil ha promosso dei Referendum che vanno nella direzione opposta, nella ricerca di stabilità e qualità del lavoro, per tutti i lavoratori, non per alcuni.
Anche la posizione dell’Anec fa rumore.
Proprio qualche giorno fa l’Anec ha convocato i lavoratori per spiegare il contratto, entrando a gamba tesa in un momento di consultazione. Un atto di estrema gravità, che probabilmente precostituisce una vera e propria attività antisindacale, alla cui base c’è il timore del risultato negativo presso i lavoratori per l’ipotesi così concepita nel tentativo di esercitare pressioni inaccettabili e fortemente lesive di un diritto fondamentale spettante esclusivamente alle rappresentanze sindacali dei lavoratori. Si può immaginare quanto pesi ad un lavoratore che vive un rapporto personale con il datore di lavoro da cui dipende, dover partecipare ad una riunione che sollecita la presenza, sul suo contratto di lavoro. Si parla di circa 3.500 addetti, un numero non particolarmente ampio, ed è forse per questo che si adotta questo atteggiamento padronale. I lavoratori non si stanno dimostrando favorevoli a questa ipotesi che non prevede alcuna forma di tutela, anche a fronte del fatto che sono stati investiti ulteriori 21 milioni aggiuntivi per rafforzare le sale. Non c’è giustificazione a non produrre lavoro stabile e qualificato.
Quindi in che fase della trattativa si è entrati?
C’è da dire che Slc-Cgil sta procedendo con assemblee nei luoghi di lavoro su tutto il territorio nazionale e che la risposta dei lavoratori è di contrarietà all’approdo della trattativa nelle modalità presentate. Fistel-Cisl e Uilcom-Uil hanno sottoscritto l’intesa, però ci sono gli accordi interconfederali con Confindustria e Confcommercio che prevedono che a sottoscrivere le ipotesi di accordo debbano essere soggetti altamente rappresentativi – il 50% più uno degli iscritti -, ci si aspetta che innanzitutto venga dimostrato che le due organizzazioni firmatarie abbiano i requisiti della rappresentatività. Noi stiamo facendo le assemblee e risulta che i lavoratori non apprezzano questa ipotesi di accordo, quindi il livello a cui è arrivata la trattativa non è considerato sufficiente. Chiediamo che si riapra il tavolo e di poter trattare condizioni migliori.
Come si inserisce questa trattativa a ostacoli nella discussione sulla desertificazione cinematografica?
Si parla tantissimo dei cinema e della necessità di farne luoghi di cultura, ma bisogna preoccuparsi di chi dentro ci lavora, perché diventano tali anche per la qualità del personale impiegato.
Tornando alle crisi delle sale, si assiste a uno scaricabarile di responsabilità. C’è chi dà la colpa all’oligopolio delle piattaforme VOD e a un pubblico “pigro” sostanzialmente sottovalutato, ma forse occorrerebbe risalire tutto il processo di filiera per appurare le responsabilità: contributi selettivi con parametri escludenti, distribuzioni poco coraggiose, esercenti che non diversificano la programmazione e appiattiscono l’offerta. Dove sta la ragione?
Secondo me c’è un vizio di fondo: questo è un settore che ha profonda difficoltà d’accesso perché non c’è un percorso professionale, non c’è alcuna certificazione delle professioni, non c’è un sistema di istruzione e di formazione se non informale. Il canale di ingresso è principalmente per conoscenze. Il sistema è complicato ma deve essere il più possibile orientato a consentire l’accesso e quindi a rafforzare l’industria cinematografica. Bisogna fare molta attenzione a questo equilibrio: nuovi prodotti, nuove persone che entrano anche da percorsi che abbiano una qualche trasparenza rispetto alla qualità, il che è molto difficile in questo settore.
Quali altre tutele sono necessarie ai lavoratori del cine-audiovisivo?
Bisogna arrivare ad un sistema di tutele che preservi il lavoro dall’ingerenza costante della politica e dai suoi arbitri. Che fa della cultura il luogo della propaganda, immiserendone la funzione. È necessario individuare quali sono i parametri necessari per rendere adeguato il sistema di welfare in questo settore. E bisogna istituire una misura di sostegno costante anche in costanza di lavoro, sul modello dell’intermittence francese. In Italia il progetto ha prodotto un ulteriore ammortizzatore sociale , l’indennità di discontinuità, che non soddisfa nessuno. Ieri con il Covid, oggi con la flessione di lavoro ed un aumento della disoccupazione, tra oggi e domani l’impatto dell’IA, e intanto i lavoratori dello spettacolo sono in balia di ciò che accade sulle loro teste, e di volta in volta degli stanziamenti economici concessi, che servono solo a tentare di tamponare. Abbiamo già presentato al ministro della Cultura la nostra piattaforma unitaria e per affrontare tutte le criticità abbiamo fatto la richiesta dell’apertura di un tavolo con INPS e ministero del Lavoro. Le misure che noi chiediamo sono tutte ad hoc per un settore che ha delle specificità, anche per arrivare ad avere una pensione, per questo abbiamo bisogno del coinvolgimento di soggetti che tecnicamente siano in grado di tradurre le norme in qualcosa di esigibile. Ci deve essere un sistema efficace, in modo tale che non ci sia bisogno ogni volta di scomodare le piazze per avere quello che spetterebbe loro di diritto e bisogna fare in modo che ci siano delle norme che tengono conto della naturale e fisiologica alternanza tra lavoro e studio. Sostenere la cultura è sostenere chi ci lavora.
Elettra Raffaela Melucci