161ª Seduta
Presidenza del Vice Presidente
MORRA
Interviene il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali Viespoli.
La seduta inizia alle ore 15.
IN SEDE CONSULTIVA
(2228) Conversione in legge del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica
(Parere alla 5a Commissione. Seguito dell’esame e rinvio)
Riprende l’esame, sospeso nella seduta del 9 giugno scorso.
Il senatore TREU (PD), rilevato che il rispetto dei limiti di competenza della Commissione non può esimere da considerazioni di carattere generale sui contenuti del provvedimento, ritiene che esso ponga innanzitutto un problema di riequilibrio dei sacrifici e di maggiore equità dei rapporti tra i grandi settori dell’economia che ne risultano toccati. E’ in gioco infatti una valutazione di fondo in ordine al modello di società che intende realizzare ed alle modalità stesse per superare la crisi. Lungi dal limitarsi a misure di carattere emergenziale, il provvedimento dovrebbe infatti anche contenere indicazioni per il futuro. Un esempio paradigmatico è a suo giudizio offerto dal pubblico impiego, erroneamente ritenuto materia estranea alla competenza della Commissione, trattandosi di un comparto oramai pressoché totalmente privatizzato. Peraltro, se ci si limita al blocco dei meccanismi contrattuali, si opera unicamente un rinvio della spesa e non un intervento di carattere strutturale; e inoltre, tali previsioni hanno senso unicamente ove la contempo si adottino misure che valorizzino le differenze, investendo risorse sulla parte dinamica del sistema, vale a dire sulla contrattazione di produttività. Analoghe considerazioni valgono, in generale, per i costi della Pubblica Amministrazione: operare semplicemente attraverso tagli di carattere lineare è solo dimostrazione di cinismo; un comportamento virtuoso richiederebbe invece l’eliminazione degli sprechi. Molti sono i settori nei quali sarebbe possibile operare in questo senso: si possono ridurre i costi della politica, del sindacato, di taluni enti; stupisce al contempo che il provvedimento non contenga alcun riferimento concreto ed operativo in materia di politica dell’occupazione.
Pur dichiarandosi d’accordo in ordine ad un allineamento tra età pensionistica ed aspettative di vita, osserva che occorre elaborare una strategia sulle opportunità occupazionali dei soggetti che si trovino nella fascia di età compresa tra i 50 e i 70 anni. Con riferimento all’innalzamento dell’età pensionistica delle donne, nel ritenere che limitarlo al pubblico impiego ponga problemi di legittimità costituzionale, ritiene che non possa in materia prescindersi dalle scelte individuali e che si debba tener conto anche della divisione dei ruoli tra i sessi.
Infine, nel giudicare il provvedimento carente anche sotto il profilo delle misure di sostegno all’occupazione e all’impresa, stigmatizza che ogni processo di liberalizzazione finisca per riferirsi unicamente al mercato del lavoro, e non anche a settori che pure ne avrebbero necessità, come quello dei servizi, delle professioni e delle utilities semipubbliche.
La senatrice CARLINO (IdV) rileva, in via preliminare, che la manovra correttiva si fonda su tagli sostanzialmente generalizzati, con una procedura iniqua ed inefficiente. Dalla lettura della relazione tecnica allegata al decreto-legge si apprende che la manovra, presentata come una drastica riduzione delle spese, in realtà è composta per il 40 per cento da maggiori entrate. Inoltre molti dei tagli sono solo teorici e di dubbia praticabilità; sicuramente il Governo ha impostato la manovra sulla base di misure non strutturali, che vengono invece rinviate al futuro. Alcune disposizioni hanno unicamente un fine mediatico, come i tagli ai cosiddetti enti inutili, privi di valore in termini di riduzione della spesa, in quanto i lavoratori a tempo indeterminato saranno assorbiti dal ministero di riferimento, mentre ne faranno le spese i giovani precari, che non vedranno rinnovati i contratti annuali.
Passando ai singoli articoli, rileva che, quanto all’articolo 7, nel complesso i risparmi totali derivanti dal riassetto degli enti di previdenza sono pari a 4.689.626 euro da riferire agli anni 2011 e successivi: si tratta dunque di risparmi non particolarmente significativi, a fronte di soppressioni che possono dar luogo a perplessità, come quella dell’ISPESL.
Reputa inoltre dubbia l’utilità del comma 12 dell’articolo 8, che prevede il differimento, per le pubbliche amministrazioni, dell’applicazione delle disposizioni in materia di valutazione dei rischi, con riferimento alla sicurezza nei luoghi di lavoro, dubitando che possano conseguirne vantaggi in termini finanziari.
Per quanto concerne l’articolo 10, sulle invalidità, pur condividendo la programmazione di un incremento numerico delle verifiche, avanza perplessità sull’innalzamento di ben 11 punti del livello di invalidità necessario per accedere all’assegno, che penalizza principalmente i veri invalidi.
Per quanto riguarda l’articolo 12, ritiene si tratti di fatto di un netto allungamento dei tempi di attesa rispetto alle regole vigenti, oltre che di un aumento dell’età di pensionamento che avrà impatto soprattutto sulle donne, che sono le principali fruitrici delle pensioni di vecchiaia, atteso che per loro è più difficile aver completato l’anzianità contributiva necessaria a raggiungere i requisiti per la pensione di anzianità. Anche ove si ritenesse opportuno l’aumento dell’età pensionabile, esprime dubbi sull’opportunità di operare in “regime di emergenza” con provvedimenti ad hoc, normalmente iniqui, perché toccano solo i pensionati di alcuni blocchi (dal 2011 in poi), mentre si sarebbe potuto applicare un anticipo del sistema contributivo, in maniera equa, già agli inizi del duemila. Il rischio è come sempre l’effetto annuncio, che tende a vanificare buona parte dei risparmi, con un’impennata nel numero delle uscite per pensionamento nei periodi precedenti le riforme. Nel caso di specie, l’effetto congiunto del ritardo delle finestre e della rateizzazione del trattamento di fine rapporto saranno un forte incentivo a lasciare il lavoro appena possibile.
Il comma 10 del medesimo articolo stabilisce che dal 1° gennaio 2011 al trattamento di fine rapporto dei dipendenti pubblici si applicherà il meccanismo di calcolo che regola quello dei dipendenti delle aziende private. Viene abbandonato l’ancoraggio della liquidazione alla retribuzione finale, e a ciò va aggiunto che il trattamento di fine rapporto dei lavoratori privati abbraccia come base di calcolo quasi tutta la busta paga, mentre negli uffici pubblici le voci variabili sono ininfluenti. Di fatto, dunque, l’equiparazione delle regole per le liquidazioni tra settore privato e settore pubblico rischia di essere solo nominale o addirittura di creare forte disparità. Il cambio di regole potrebbe spingere ad anticipare l’uscita dei dipendenti pubblici che hanno i requisiti per farlo; nella stessa direzione gioca la rateizzazione delle liquidazioni di importo elevato, prevista dal comma 7.
Dopo aver osservato che la relazione tecnica allegata ritiene non quantificabile la disposizione di cui all’articolo 53, in ragione della sua indeterminatezza, ribadisce l’iniquità della manovra, che finisce per danneggiare i pubblici dipendenti, i pensionati e soprattutto i giovani, per effetto del taglio dei contratti a tempo determinato e del blocco delle assunzioni e delle carriere nel pubblico impiego.
Il seguito dell’esame è quindi rinviato.
La seduta termina alle ore 15,30.