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Home - Approfondimenti - Analisi - Concertare una nuova politica dei redditi

Concertare una nuova politica dei redditi

21 Settembre 2006
in Analisi

di Agostino Megale, presidente Ires Cgil

L’Italia del dopo elezioni, con il centrosinistra al Governo, presenta tutte le condizioni, a maggior ragione con l’esiguità della maggioranza al Senato, per rilanciare una politica di concertazione vera, come scelta  di fondo del programma di legislatura.
Il giorno 14 settembre 2006 il Governo ha riavviato  il dialogo con le parti sociali, proponendo un  patto sociale per una nuova politica dei redditi. Ciò è importante per ricostruire una capacità di azione convergente delle parti sociali con il Governo, con l’obiettivo di rinnovare il patto del luglio ’93 all’insegna di un sostegno alla crescita e alla tutela dei redditi da lavoro e da pensione.

Sebbene il Paese oggi parta da una condizione difficile, sono già presenti i primi segnali di ripresa.
Le previsioni attestano la crescita del Pil nel 2006 all’1,8%, più di quanto sia aumentato nei quattro anni precedenti; la produzione industriale continua a crescere anche nel secondo trimestre (+1,3%); le proiezioni del commercio estero indicano una ripresa dell’occupazione e delle esportazioni, anche nei settori del Made in Italy. L’eredità del centrodestra consiste in un buco della finanza pubblica “vero”, in corrispondenza di un avanzo primario “azzerato”.  Eppure, malgrado le grande difficoltà congiunturali e strutturali, più che di allarmismi c’è bisogno di tenere la barra dritta nell’attuazione del programma del Governo, utilizzando al meglio le idee, il patrimonio, la forza sociale di Cgil, Cisl e Uil: l’obiettivo è di realizzare una concertazione vera e autorevole, unica condizione per rilanciare una nuova politica di tutti i redditi capace di agire dal risanamento alla leva fiscale, per sostenere la crescita ed il rilancio del sistema economico-produttivo, nonché un’equa redistribuzione della ricchezza, soprattutto verso le famiglie di lavoratori e pensionati.
I 30 miliardi previsti nella Finanziaria 2007, di cui almeno la metà dovrà essere destinata al sostegno alla crescita e agli investimenti (compresa la riduzione del cuneo fiscale),  dovranno essere  funzionali proprio a tali obiettivi: più che un “tira e molla” sull’entità della manovra, occorre sostenere gli investimenti, per una crescita stabile del sistema economico italiano, che miri ad un aumento del Pil anche oltre i 2 punti percentuali ogni anno. La Finanziaria deve portare, attraverso una concertazione vera e non rituale, a convergenze programmatiche, per le quali produrre soluzioni condivise e concordate, a partire da tutti i capitoli di spesa definiti “sensibili”.


Molto importante è il documento di proposte unitarie avanzato da Cgil, Cisl e Uil nei direttivi del 18 settembre 2006, ove si fa riferimento esplicito a:
– realizzare una lotta per la legalità fiscale, contro l’evasione e il lavoro nero come priorità che la politica economica deve assumere;
– rinnovare i contratti dei pubblici dipendenti,  come condizione per rendere credibile una nuova politica dei redditi fondata si su un tasso di inflazione atteso o programmato pari al 2% come definito del Dpef ma anche dal  riequilibrio redistributivo a  favore del lavoro dipendente e dei pensionati, attraverso l’aumento delle detrazioni per la produzione del reddito e tramite un rilancio della politica concertava, anche a livello locale, su prezzi e tariffe, perché solo così si difendono efficacemente i redditi;
– ritenere importante  le scelte compiute nel Dpef di utilizzare la riduzione del cuneo fiscale per il lavoro a tempo indeterminato nell’ambito di una lotta alla precarietà nei settori pubblici e privati con l’impegno, oltre la Finanziaria, di un piano di legislatura per la stabilità e la buona occupazione. Ricordo che circa 11 milioni di lavoratori stanno sotto i 1.300 euro, di questi 6,5 milioni stanno sotto i 1.000 euro con giovani, donne e immigrati che rappresentano  le nuove disuguaglianze sociali.


Il lavoro è la forza che può tenere insieme competitività ed equità. Bisogna saper cogliere nella “nuova concertazione” una grande opportunità utile al lavoro, alle imprese, al Paese. La sola azione contrattuale del sindacato, pur muovendosi unitariamente, da sola non è in grado di sostenere il lavoro. I numeri sulla dinamica delle retribuzioni tra il 2002 e il 2005 (1) parlano da soli. Se tra il 1996 e il 2001 si recupera potere di acquisto per quattro anni consecutivi, si tiene il passo con l’inflazione effettiva e si redistribuisce al lavoro una parte della produttività (arrivando ad una crescita sia dei salari contrattuali pari a +0,1% che dei salari di fatto pari a +0,7%), fra il 2001 e il 2005 si registra una perdita consistente, da attribuirsi ad una inflazione programmata del 40% inferiore a quella reale, ritardi nei rinnovi contrattuali, anche fino a 24 mesi, e mancata restituzione del fiscal drag (d.l. n. 69/1989). Un combinato disposto dagli esiti letali per la tutela dei redditi da lavoro. I contratti nazionali siglati nel 2004 e nel 2005 hanno svolto bene il loro ruolo – con rinnovi basati sull’inflazione attesa vicino a quella reale – e che tuttavia, privi di una seria politica dei redditi, non hanno potuto impedire un arretramento del potere d’acquisto sul quadriennio di riferimento. Le retribuzioni contrattuali tengono segnando un +0,4% ma se il confronto viene spostato sulla dinamica generale delle retribuzioni, emerge un bilancio in perdita per i salari di fatto (–1,0%). La mancata restituzione del fiscal drag, sulla retribuzione media lorda annua di un lavoratore dipendente italiano (24.584 euro), corrisponde ad una perdita che va da 118 a 172 euro ogni anno. A questo si deve aggiungere il mancato intervento del governo per controllare prezzi e tariffe, in violazione di quanto previsto dall’accordo del luglio ’93. In totale, vuol dire una perdita cumulata, nell’arco del quadriennio, pari a 1.647 euro: 1.082 per la perdita “secca” del potere di acquisto nel periodo di governo di centro-destra, e 565 per la mancata corresponsione del fiscal drag. Le previsioni per il 2006 vedranno per il secondo anno consecutivo un buon andamento delle retribuzioni di fatto, senza riuscire ancora però ad innestare una dinamica di crescita effettiva.
Oltre ad influire sulla tendenza dei consumi interni e dei risparmi, la dinamica negativa dei salari ha inciso notevolmente sul reddito delle famiglie e sulla sua iniqua distribuzione. Nel 2005, si registra, infatti, una crescita reale media dei redditi netti delle famiglie pari a circa il 2% secondo la Banca d’Italia, che tradisce gravi sbilanciamenti al suo interno. Dal 2002 ad oggi, la famiglia di un imprenditore o di un libero professionista acquista 4 punti percentuali, laddove quella di un impiegato perde un punto e quella di un operaio addirittura 6 punti. Mentre le famiglie con a capo un operaio o un impiegato hanno perso, in termini di potere d’acquisto cumulato, rispettivamente 1.434 e 1.425 euro, un imprenditore o un libero professionista ne aggiunge 9.053. Il 10% delle famiglie più ricche possiede oggi il 45,1% dell’ammontare della ricchezza netta. Basta, poi, allargare ulteriormente il confronto tra i redditi netti sulla base delle altre variabili socio-demografiche (area geografica di appartenenza, nazionalità, titolo di studio, sesso, età, ecc.) per scoprire un’Italia con molte, troppe disuguaglianze.
Un plauso particolare va alle liberalizzazioni promosse dal ministro Bersani, che produrrà un risparmio annuo medio per le famiglie di circa 667 euro. Un valore pari al rinnovo contrattuale di un anno. In questo caso, siamo di fronte ad un tipico esempio di riformismo illuminato contro il quale si scatenano le peggiori reazioni corporative. Tassisti, farmacisti, avvocati, sembrano riscoprire le forme di lotta più estreme per tutelare i loro privilegi. Si tratta di aver chiaro che il sindacato non sta a guardare, limitandosi ad apprezzare, ma, pur nella sua autonomia, è capace di sostenere con nettezza scelte coraggiose e “di sinistra”, nell’interesse di una modernizzazione del Paese.


Nei primi atti del Governo, peraltro, vanno apprezzati atteggiamenti politici coerenti, quali quelli del ministro del Lavoro relativi agli impegni sugli sgravi sul cuneo fiscale (di cui almeno il 40% al lavoro) selettivi alle imprese con occupazione stabile o che si impegnano a renderla stabile. Questa impostazione, puntando a far costare meno il lavoro a tempo indeterminato, è destinata a cambiare l’approccio culturale e il quadro di riferimento capovolgendo  la tesi degli ultimi anni tutta basata sulla “filosofia da costi”.
Avendo chiaro che il punto fondamentale di qualsiasi ragionamento sulla politica di redistribuzione del reddito è la riconquista di quella nuova politica dei redditi, capace di realizzare una crescita del potere di acquisto reale delle retribuzioni è utile avanzare alcune idee  relative al modello contrattuale puntando ad un aggiustamento  ed aggiornamento  delle regole contrattuali, cominciando a fissare quattro punti chiave:


1) Consolidare il ruolo dei contratti nazionali, che devono difendere il salario reale sulla base dell’inflazione effettiva o attesa (schema Dpef attuale), superando la logica dell’inflazione programmata, quando lontana dall’inflazione prevista reale.
2) Prevedere che i costi normativi dei contratti, dalla riforma degli inquadramenti a politiche di riduzione degli orari, fino alle normative della malattia o della previdenza integrativa o sanitaria, possono essere posti a carico della produttività. È evidente che la stessa produttività non può essere distribuita due volte; la quota da utilizzare a livello decentrato va sottratta da quella utilizzata a livello nazionale. Anche per questo, vanno realizzati osservatori congiunti per controllare e monitorare la produttività dei diversi livelli: quanto cresce, quanta ne va al lavoro e ai salari, quanta alla ricerca, alla formazione e all’innovazione. Penso che dobbiamo essere capaci di assumere la sfida della produttività, per aumentarla e per ridistribuirla con maggiore equità.
3) Estendere la contrattazione decentrata in azienda, o in alternativa, nel territorio laddove si realizza una “convenienza competitiva”, che porti le parti sociali a mettersi d’accordo e ad individuare nel  distretto  un’opportunità per le relazioni industriali nell’interesse del lavoro e dell’impresa. Per questo, incentivare il secondo livello contrattuale con una manovra di carattere fiscale può risultare importante e utile.
4) Approfondire la questione relativa alla durata dei contratti poiché sia l’attuale sistema di biennio salariale con il quadriennio normativo, che l’eventualità di un passaggio al triennio possano consentire una efficace tutela dei salari. Appare, comunque, indispensabile rispettare i tempi per il rinnovo dei contratti, mentre trovo errata  l’idea che a fronte dei ritardi contrattuali si scelga la strada dell’aumento della cosiddetta “indennità carsica”. Il rischio è l’annullamento e la perdita di interesse per la conquista del rinnovo contrattuale anche da parte dei lavoratori. Bisogna ragionare su regole che a 3–4 mesi dalla scadenza consentano di chiudere fisiologicamente un rinnovo contrattuale, avviando, nel contempo, un processo graduale di accorpamento dei contratti per filiera produttiva che porti dai circa 400 contratti attuali a 40-50 futuri, con l’obiettivo di riflettere attentamente in questo scenario su processi di unificazione contrattuali da realizzare con gradualità, anche tra grandi e piccole imprese.


Credo che il 2007 sarà l’anno nel quale Cgil, Cisl e Uil, unitariamente, possano costruire una piattaforma da sottoporre al confronto e alla consultazione con i lavoratori, per poi avviare il tavolo con il Governo e la Confindustria, al fine di realizzare l’aggiornamento nel nuovo scenario dell’accordo del luglio del ’93 che ancora oggi rappresenta il miglior accordo sindacale della storia repubblicana: Gino Giugni lo ha definito una sorta di “accordo costituente” delle relazioni industriali in Italia.


1) Il 19 luglio l’Ires ha presentato con il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani, un aggiornamento del Rapporto I salari nei primi anni 2000 (A. Megale, L. Birindelli, G. D’Aloia, Ires, 2005, Roma, Ediesse, Collana Studi e Ricerche), realizzato dagli autori e da Riccardo Sanna (ricercatore Ires Cgil).

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