La mancanza di competenze rischia di rallentare la crescita della parte più dinamica della nostra economia. E quindi: la tecnologia distrugge il lavoro? A leggere i dati del Focus Censis/Confcooperative “4.0 la scelta di chi già lavora nel futuro” presentati a Roma, sembra proprio di no. Piuttosto, se all’innovazione c’è da attribuire una colpa, e se mai di colpa si può parlare, è quella di cercare professionalità che non si trovano.
La spinta all’innovazione ha aperto nuovi spazi di opportunità alle imprese, generando l’offerta di prodotti e servizi inediti e decretando la nascita di nuovi profili professionali e nuove competenze in grado di interpretare i potenziali (mai così ampi e inattesi) di sviluppo e di cambiamento.
Per questo motivo, il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, sostiene che saranno le persone più qualificate a poter cogliere le opportunità del 4.0 e per questo occorre un investimento straordinario in formazione e innovazione, perché tutti siano in condizione di capitalizzare le opportunità. “Siamo per un 4.0 dal volto umano che non lasci indietro nessuno – afferma -. In Italia, solo l’8,3% dei lavoratori è impegnato in programmi di formazione permanente, al di sotto della media europea 10,8%. Dobbiamo fare molto di più. Formare non è una spesa, ma un investimento sul futuro del paese”.
In termini di peso relativo, oggi in Italia, su 100 occupati 3,3 sono riconducibili alle professioni ICT, mentre solo 1 su 100 è un “professionista ICT ad elevata qualificazione”. In termini assoluti, l’occupazione nelle professioni ICT ha raggiunto nel 2016 le 755mila unità, con un incremento di 82mila addetti rispetto al 2011: in sei anni, mentre l’occupazione totale rimaneva pressoché stazionaria, nel perimetro delle professioni ICT gli addetti sono aumentati del 12,2%.
A oggi gli “specialisti ICT” sono pari a 234mila, con un incremento di circa 80mila nei sei anni considerati: fra il 2011 e il 2016, sono cresciuti del 52%.
Il diverso ritmo del cambiamento impresso dal digitale rispetto al resto dell’economia appare evidente se si considera che le 111mila imprese digitali attive crescono fra il 2011 e il 2017 del 17,6%, passando dall’1,8% al 2,2% sul totale delle imprese attive italiane. Inoltre le imprese attive nel settore del commercio al dettaglio via Internet sono raddoppiate nell’arco di sei anni (+99,6%), passando da poco più di 8mila a quasi 17mila.
Nel giro di due anni accademici (2015-2016 e 2016-2017), il numero degli iscritti ai corsi di studio nell’area “digitale” all’interno della classe scientifica dei corsi delle nostre università è aumentato del 6,8% contro il 2,8% dell’intera area scientifica (la “ripresa” degli iscritti totali in tutte le università e classi di studio si è fermata allo 0,9%).
I laureati dei corsi di studio “digital” sono aumentati, nell’anno accademico 2015-2016, del 7,8% rispetto all’anno accademico precedente (37mila 540 laureati), contro il 2,0% del totale di ambito scientifico e l’1,1% di tutti i laureati nell’anno. Il fatturato del mercato digitale è stimato in aumento del 2,3% nel 2017, contro l’1,5% del PIL; fra il 2017 e il 2019 è atteso un incremento del valore pari a 3,8 miliardi di euro.
Il valore degli acquisti on line dei consumatori italiani è cresciuto del 21,3% nel 2016; è stimato in crescita nel 2017 del 16,9%, contro l’1,5% dei consumi 2016 delle famiglie e la stima dell’1,4% dei consumi 2017. Fra gli acquisti on line, per quelli riguardanti il turismo, si prevede un aumento quest’anno dell’8,5%.
E.M.