di Simone Cappelli – Servizio lavoro Provincia Prato
Il distretto industriale di prato è uno dei più noti centri dell’industria tessile/abbigliamento in Italia. La specializzazione di Prato nelle attività legate all’industria tessile risale al XII° secolo, quando le produzioni di panni erano regolate dalla corporazione dell’Arte della Lana. Il vero boom del distretto pratese inizia nel secondo dopoguerra. Tra il 1950 ed il 1981 il numero degli addetti tessili balza da 22.000 a 60.000. Il distretto pratese oggi comprende tutti i comuni della Provincia di Prato (Cantagallo, Carmignano, Montemurlo, Poggio a Caiano, Prato, Vaiano e Vernio); due comuni in provincia di Firenze (Calenzano e Campi Bisenzio); tre comuni in provincia di Pistoia (Agliana, Montale e Quarrata). Il settore tessile/abbigliamento conta oltre 8.000 imprese, circa 45.000 addetti, un fatturato complessivo che supera i 5 miliardi di euro.
Le aziende dell’area pratese coprono tutte le fasi della filiera tessile, dalla filatura al finissaggio dei tessuti. Il disegno organizzativo si basa su una articolata divisione della produzione tra tante piccole e medie imprese indipendenti, ciascuna specializzata in una sola attività (filatura, tintoria, ritorcitura, orditura, tessitura, finissaggio). La “lavorazione conto terzi” è la forma di rapporto tra imprese più diffusa. Il coordinamento della produzione è svolto dai lanifici che curano le fasi di progettazione dei campionari, di commercializzazione e i vari gli aspetti logistici ed organizzativi. Sotto questo punto di vista, il distretto industriale di Prato assomiglia a un grande laboratorio: senza alcuna concertazione formale, anche le imprese pratesi riescono ad allineare i loro comportamenti verso obbiettivi comuni costituiti da standard qualitativi elevati e tempi di consegna ridotti, lotti frastagliati e costi industriali competitivi. È proprio questo sistema che ha fornito la matrice dello concetto stesso di distretto industriale[1], considerato come aggregato su base territoriale di attività economicamente connesse, che include: l’industria meccanotessile, le imprese di commercio all’ingrosso e intermediazione commerciale specializzate in beni tessili, le imprese di chimica tessile, gli spedizionieri.
Ciò che ha permesso ad una realtà come il distretto tessile di vivere e svilupparsi in tutti questi anni, mentre lo stesso settore in Paesi altrettanto industrializzati andava progressivamente riducendosi, è stata la forte capacità di innovare i propri filati, i propri tessuti e con essi l’immagine sul mercato. Più condizioni ben miscelate tra tradizioni ed innovazioni hanno favorito la capacità di sostenere e promuovere lo sviluppo economico e professionale fra i diversi operatori del sistema locale[2]:
1. Il segno di un’appartenenza forte del distretto ed una identità propria collegata ad un passato industriale e tessile dove le attività industriali si collocano al centro di una società locale;
2. i saperi locali mostrati e depositati nelle sperimentate capacità innovative e progettuali delle tradizioni tessili;
3. l’organizzazione di reti sociali e nel sistema delle relazioni sociali;
4. la ricerca dell’affermazione e dello sviluppo cogliendo e sfruttando al meglio le opportunità offerte coniugando il localismo con lo sviluppo economico moderno.
L’economia pratese vive però un momento particolarmente difficile. l’evoluzione dello scenario economico e tecnologico internazionale mette in seria difficoltà il sistema delle piccole medie imprese italiane. La concorrenza, leale e sleale, dei Paesi emergenti diventa sempre più accesa e lo sviluppo delle nuove tecnologie di comunicazione fa facilmente prevedere una penetrazione capillare nei nostri mercati. Nel prossimo futuro non solo sarà sempre più difficile competere sui mercati terzi, ma la concorrenza sarà feroce anche sui nostri mercati nazionali e regionali. Si riduce sempre più lo spazio per nicchie di eccellenza e per mercati protetti. È una facile e condivisa previsione che le produzioni a basso valore aggiunto registreranno inevitabilmente uno spostamento verso Paesi in cui il costo del lavoro è quasi trenta volte più basso rispetto all’Europa. A questo si aggiunge il fatto che la situazione è destinata ad aggravarsi con la scadenza dell’Accordo Multifibre, che fino al 2004 disciplinerà i flussi in ingresso in Europa di prodotti provenienti da Paesi in via di sviluppo e di nuova industrializzazione.
In questo contesto, l’industria pratese sembra non riuscire a riallacciare i fili spezzati di un travagliato ciclo congiunturale che si profila più lungo del previsto e, sommandosi ai fattori strutturali di cui si è parlato, morde di più. Gli indicatori utilizzati per ricostruire l’andamento delle attività produttive nel distretto hanno sforato verso il basso i minimi toccati nelle precedenti indagini[3], allontanando le residue illusioni sulla possibilità di arginare la crisi. Le aspettative di ripresa, già ridimensionate nei mesi passati, vanno ulteriormente posticipate.
Così, dopo mesi di tenuta, i livelli occupazionali del distretto hanno cominciato a dare segni di cedimento, come dimostra l’andamento del saldo tra i flussi in entrata (le assunzioni) e in uscita (i licenziamenti) dal mercato del lavoro locale[4], con particolare riferimento al settore tessile-abbigliamento, dove, a partire dal mese di giugno, si sono registrati saldi costantemente negativi, con punte negative particolarmente elevate nei mesi di luglio e dicembre. Anche i dati relativi alle liste di mobilità confermano questo quadro, poiché nel 2003 lo stock degli iscritti è cresciuto, rispetto al 2002, di oltre il 62%.
A fronte di questa situazione, gli attori locali del distretto hanno elaborato una serie di interventi che hanno come scopo quello di conseguire una uscita evolutiva dalla crisi. Una strategia di risposta alle difficoltà che vede fortemente coinvolti i governi locali e quello regionale, stabilita in accordo con le altre istituzioni economicamente rilevanti[5], come le associazioni industriali e artigiane e i sindacati. È un approccio che basa il proprio funzionamento su una consolidata pratica regolativa che, peraltro, caratterizza il modello di sviluppo della Toscana: un modello di political economy locale interventista, con le amministrazioni locali impegnate a indirizzare e sostenere attivamente lo sviluppo economico fornendo un sostegno concreto alle imprese in termini di servizi reali[6]. Un modello basato sull’azione congiunta nel quale le associazioni contribuiscono alla progettazione e alla produzione di beni collettivi[7] volti ad aumentare la competitività del sistema locale (come la formazione professionale, la ricerca e il sostegno all’innovazione) oltre che ad aumentare la qualità della vita nelle società locali.
Rientrano in questa strategia di rilancio competitivo, le politiche per la valorizzazione del lavoro adottate dalle amministrazioni provinciali, le quali nei loro piani per la formazione professionale e le politiche del lavoro hanno messo a disposizione dello sviluppo locale le risorse del Fondo sociale europeo per il 2003 e il 2004. I bandi multimisura provinciali hanno previsto, in armonia con il procedimento concertativo con le parti sociali, una priorità strategica per i settori collegati alle attività tessili e alla moda, valorizzando soprattutto i processi di innovazione e riorganizzazione del processo produttivo già individuati al tavolo per il rilancio del distretto. Parimenti, il Progetto integrato di sviluppo locale della Provincia di Prato (“Sistema distrettuale integrato pratese: competitività e innovazione”, approvato il 13.10.2003, al fine di conseguire l’obiettivo della “Riqualificazione ed innovazione del sistema produttivo”) prevede una specifica operazione costituita dal progetto infrastrutturale di un “Centro per la ricerca, l’innovazione e l’alta formazione a servizio del distretto tessile pratese”, che riceverà dallo Stato e dalla Regione Toscana un finanziamento pari a 12 milioni di euro.
In questa direzione si colloca anche il Progetto pilota integrato sul sistema moda varato dalla Regione Toscana, il quale prevede una serie di interventi e procedure tesi a realizzare una forma di coordinamento e programmazione integrata delle azioni da porre in essere a sostegno del sistema moda. Infine, la Regione Toscana, di concerto con le Province di Prato, Pistoia e Firenze, ha recentemente promosso il Programma interregionale moda – Azioni di sostegno e promozione del sistema moda. Si tratta di un progetto multiregionale finanziato dal Fse che si propone di attivare azioni congiunte tra le Regioni, in una logica di integrazione dei sistemi formazione – istruzione – lavoro e politiche di sviluppo locale.
Tuttavia, gli interventi compresi in questa strategia di rilancio dell’economia locale necessitano inevitabilmente di tempo per conseguire i propri effetti positivi. Nel frattempo, l’aggravarsi della crisi congiunturale sta mettendo a dura prova il tessuto socio-economico del distretto, come evidenziato dai dati citati precedentemente. La strategia di rilancio delineata e gli obiettivi enunciati implicano quindi la necessità di affrontare la gravità dei risvolti sociali della crisi con interventi straordinari e immediati, perché le azioni di sostegno e promozione del sistema moda non possono certo avvenire in un quadro di smantellamento dell’apparato produttivo e radicale riduzione dei posti di lavoro.
Rientra fra questi interventi straordinari, l’attivazione di uno “sportello emergenze” gestito dal Centro per l’impiego della Provincia di Prato, in collaborazione con l’Unione degli industriali e i sindacati, che offre un servizio di placement ai lavoratori inseriti nelle liste di mobilità. Ma i numeri della crisi occupazionale registrati alla fine del 2003[8] sono stati tali da rendere evidente la necessità anche di interventi mirati a “tamponare” l’emorragia di posti di lavoro e offrire forme di sostegno al reddito dei lavoratori, in particolare quelli del comparto artigiano e delle piccole imprese con meno di 15 dipendenti, i più esposti agli effetti della crisi. Nel corso degli ultimi mesi, le aziende pratesi hanno fatto un massiccio ricorso allo strumento della cassa integrazione guadagni ordinaria: da gennaio 2001 a ottobre 2003 l’incremento delle ore di Cigo per il settore tessile-abbigliamento è aumentato di oltre il 1.000%, e questo nonostante si tratti di uno strumento che mal si adatta alla struttura produttiva del distretto.
Come è noto, possono farvi ricorso solo le imprese industriali, mentre, sono interessate alla disciplina della cigs le imprese industriali con più di 15 dipendenti o che nel semestre precedente la data di presentazione della domanda abbiano occupato più di 15 dipendenti. Per quanto riguarda le imprese artigiane, invece, possono fare ricorso solo alla Cigs ma, oltre ad avere più di 15 dipendenti, devono dimostrare che nel biennio precedente il loro fatturato dipendeva, per oltre il 50%, da un solo committente e che si trovano pertanto nella necessità di sospendere i dipendenti in conseguenza di sospensioni o contrazioni dell’attività dell’impresa committente che sia stata, a sua volta, ammessa alla concessione del trattamento straordinario della integrazione salariale. È evidente come in un distretto nel quale più di 8 imprese su 10 sono microimprese e quelle che restano sono quasi tutte piccole, la possibilità di fare ricorso ai consueti strumenti di integrazione salariale è assai limitata.
Di fronte al profilarsi di una vera e propria emergenza occupazionale nel distretto[9], le istituzioni e le parti sociali si sono dunque attivate nei confronti del Governo al fine di ottenere un intervento, anche straordinario, che desse ossigeno al sistema produttivo locale in vista dell’attivazione a regime degli interventi di rilancio programmati. In particolare, era ben presente la necessità di un intervento rivolto ai lavoratori delle piccole imprese e delle aziende artigiane, i quali come si è visto non dispongono di alcuna forma di ammortizzatore sociale, se non, grazie ad una prassi ormai consolidata, la possibilità di usufruire impropriamente dell’indennità di disoccupazione durante i periodi di sospensione dal lavoro.
Inizialmente, l’orientamento degli attori locali era volto ad ottenere la proroga e l’estensione dei trattamenti di Cigo, ma i contatti con il ministero hanno presto mostrato la non percorribilità di questa strada. Si è così fatta avanti l’ipotesi di inserirsi nel varco aperto dall’art.3, comma 137, della Legge finanziaria 2004, il quale prevede che nel caso di programmi finalizzati alla gestione di crisi occupazionali, anche con riferimento a settori produttivi e ad aree territoriali, ovvero miranti al reimpiego di lavoratori coinvolti in tali programmi, il Governo può disporre proroghe di trattamenti di cassa integrazione guadagni straordinaria, già previsti da disposizioni di legge, anche in deroga alla normativa vigente in materia, nonché concessioni, anche senza soluzione di continuità, dei predetti trattamenti, che devono essere stati definiti in specifici accordi in sede governativa intervenuti entro il 30 giugno 2004. I requisiti richiesti dal combinato disposto vi erano tutti: la configurazione del distretto di Prato come area territoriale specifica, la presenza di precisi programmi concertati di rilancio dello sviluppo e di gestione della crisi occupazionale.
Verso la fine del 2003 è quindi cominciata una serrata opera di concertazione locale che ha coinvolto i sindacati, le associazioni di categoria e la Provincia di Prato, nel ruolo di coordinamento, che ha portato alla stesura di un protocollo di intesa fra le parti nel quale si evidenziava la strategia di rilancio competitivo del distretto messa in campo dagli attori locali e si faceva richiesta del trattamento straordinario di integrazione salariale per l’equivalente di 4.300 lavoratori a zero ore per un periodo di almeno 4 mesi. Inoltre, il distretto richiedeva la possibilità di accedere all’utilizzo della Cigs da parte delle aziende artigiane non rientranti nel capitolo di applicazione dell’art.12 della l.223/91 e di tutte quelle industriali, che avessero occupato meno di quindici lavoratori nel semestre precedente la richiesta di concessione. Inoltre, pur trattandosi di cassa integrazione straordinaria, le parti hanno posto come vincolo imprescindibile il fatto che il ricorso allo strumento fosse subordinato allo svolgimento di una consultazione sindacale effettuata con la partecipazione delle associazioni datoriali e sindacali, competenti per settore, firmatarie del protocollo, allo scopo di conoscere la situazione aziendale, valutarne ogni suo aspetto e assumere le misure organizzative più opportune per ottimizzare la gestione, nell’ottica di assecondare processi di cambiamento e di ristrutturazione in una logica di rilancio dello sviluppo.
I primi mesi del 2004 hanno visto tutte le componenti economiche e sociali del Distretto impegnarsi in un’azione di pressing nei confronti del ministero del Lavoro, con il quale vi sono stati altri due incontri preparatori, al fine di ottenere la stipula di un accordo che concedesse al territorio lo stanziamento economico necessario. Gli scogli più ardui da superare sono stati l’entità economica dell’intervento ma, soprattutto, l’entità della deroga alla normativa vigente che il distretto stava chiedendo, trattandosi dell’estensione del trattamento di integrazione salariale straordinario ai lavoratori di tutte le imprese del settore tessile e abbigliamento comprese nei codici Ateco dal 17.00.0 al 18.24.3, anche quelle artigiane, le quali, ovviamente, non versano il contributo addizionale che alimenta il fondo per la Cigs.
Alla fine, l’accordo ha previsto l’erogazione del trattamento di integrazione salariale straordinaria per un totale di 18 milioni di euro a favore dei dipendenti (operai, impiegati, intermedi, quadri) delle imprese artigiane (cui non si applica l’art.12, commi 1 e 2, della legge 223/91) o delle imprese industriali fino a 15 dipendenti, per un periodo anche non continuativo non superiore a 6 mesi nell’arco dell’anno 2004. I lavoratori beneficiari devono avere un’anzianità lavorativa, presso l’impresa che procede alla sospensione, non inferiore a 90 giorni. Ai fini del perfezionamento dell’iter di concessione del trattamento, le imprese artigiane non associate all’Ente bilaterale della Toscana, applicheranno la procedura prevista dall’art. 5 della legge 164/75. Le imprese artigiane iscritte all’Ente svolgeranno la consultazione sindacale di cui al citato art. 5 con le modalità attualmente in vigore presso l’Ente stesso.
L’ultimo ostacolo ha riguardato la procedura di attivazione dell’intervento. Il ministero premeva affinché il verbale di conciliazione di ogni singola azienda interessata venisse siglato presso la direzione provinciale del lavoro. Se, da un lato, era anche comprensibile la volontà del ministero di controllare l’iter di una procedura assolutamente innovativa che rappresenta una vistosa novità nel panorama degli interventi di sostegno al reddito dei lavoratori, d’altro canto non era pensabile che centinaia di aziende potessero tutte recarsi presso l’ufficio provinciale del ministero per firmare il verbale di conciliazione. La soluzione individuata prevede che le domande di Cigs, unitamente al verbale di consultazione sindacale, siano inoltrate alla direzione regionale del lavoro di Firenze, la quale autorizzerà – previa verifica delle condizioni individuate nell’accordo – la sede regionale Inps ad erogare i relativi trattamenti.
[1] C. Trigilia (1989), Il distretto industriale di Prato, in Regini M., Sabel C.F., Strategie di riaggiustamento industriale, Il Mulino.
[2] Cfr. F. Bortolotti, (2000), La Regolazione locale dell’innovazione nei distretti industriali: il caso di Prato, Quaderni Cesvit; G. Becattini, (1987), Mercato e forze locali. Il distretto industriale, Il Mulino; M. Piore, C. Sabel (1987), Le due vie dello sviluppo industriale, Isedi.
[3] Cfr. Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Prato, CNA, Confartigianato, Unione Industriale Pratese In collaborazione con ASEL Srl: La congiuntura a Prato, Numeri: 17 e 18.
[4] La Provincia di Prato, prima e ancora unica in Italia, pubblica mensilmente un bollettino sull’andamento del mercato del lavoro locale. Questo è possibile grazie all’utilizzo del Sistema Informativo Regionale del Lavoro IDOL, il quale permette di registrare in tempo reale le assunzioni e i licenziamenti che le aziende obbligatoriamente comunicano alla Provincia e consente quindi di ottenere in qualsiasi momento il calcolo del saldo tra i flussi in entrata e in uscita dal mercato del lavoro.
[5] Con questa espressione Max Weber in Economia e Società (1922), indicava realtà che «in certe circostanze acquistano significato […] poiché ne derivano effetti che ci interessano sotto il punto di vista economico: essi sono fenomeni economicamente rilevanti»: religione, etnia, lingua, mentalità economica, ideologia, livelli fiduciari, moralità ed etica degli affari, livello di istruzione, localismo o cosmopolitismo, ecc. Ma anche aspetti sociostrutturali come famiglia, ceto, casta, status e legami reticolari a livello locale. E infine le forme dell’associazionismo economico: organizzazioni degli interessi artigiani, della piccola e media impresa, della grande impresa e dei lavoratori (sindacati), organizzazioni degli interessi tecnico-economici e professionali, camere di commercio.
[6] L. Burroni (1999), Regolazione locale nelle regioni della Terza Italia. Una comparazione tra Veneto e Toscana, in Sviluppo locale.
[7] Per approfondimenti si vedano Cornes e Sandler (1986), The Theory of Externalities, Public Goods and Club Goods, Cambridge University Press.
[8] L’Osservatorio sul mercato del lavoro della Provincia di Prato ha fatto registrare nel mese di dicembre 2003 un saldo negativo tra assunzioni e licenziamenti pari a 2.278 unità.
[9] Le “medie” imprese (> di 50 addetti) sono poco più di 70 mentre le “grandi” (> 250 addetti) si contano tranquillamente con le dita di una mano e la loro incidenza sul totale degli occupati non supera il 2%. Il quadro si presenta ancora più frastagliato se spingiamo le analisi a un livello più approfondito: su un totale di 2.838 unità locali specializzate nella tessitura, 1.700 (il 60%) avevano uno o due addetti; nella filatura, le unità locali con 1 o 2 addetti erano 1.130 su un totale di 2.330 (48%). La “precarietà” dimensionale delle schiere imprenditoriali emerge anche dalla natura giuridica delle aziende tessili che per due terzi sono imprese artigiane. Le società di capitali, invece, sono poco più di 1.500.