Domani i tre sindacati dei metalmeccanici incontreranno i presidenti di Federmeccanica e di Assistal, poi, subito dopo, denunceranno la rottura delle trattative sindacali e decideranno gli scioperi. Uno subito, l’altro successivamente. Inutile pensare che l’incontro con i due presidenti possa cambiare qualcosa, sarebbe una messa in mora di chi ha trattato finora, nel caso il direttore generale di Federmeccanica, cosa impensabile. Quindi scioperi e l’avvio di una fase di dura contrapposizione.
I sindacati giungono a questa svolta ritenendo di non averne responsabilità. In un convegno che voleva ricordare Ezio Tarantelli, l’economista vicino al sindacato ucciso 31 anni fa dalle Brigate rosse, oggi si sono incontrati i vertici di Fiom, Fim e Uilm e quello di Federmeccanica, ma non è uscito nemmeno un minimo spazio di manovra. Stefano Franchi ha ribadito le sue ragioni, la necessità di guidare il cambiamento senza esserne travolti, di distribuire quattrini solo in azienda, dove e se c’è stata produzione di ricchezza. Come potrebbe, si è chiesto, un’azienda che non ha margini concedere aumenti salariali? Ha assicurato che Federmeccanica non ha alcuna intenzione di smantellare il contratto nazionale, che deve però cambiare, diventare residuale rispetto alla contrattazione aziendale.
Su tutt’altra linea i sindacati. Noi, ha detto Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, non abbiamo paura del cambiamento, al contrario: non a caso negli anni passati abbiamo cambiato il nostro approccio alle relazioni industriali, tanto è vero che per sei anni abbiamo rinnovato i contratti senza scioperi, con grande consenso generale. Non ci siamo mai tirati indietro, ma adesso, dopo 5 mesi di trattative e 13 incontri, ci troviamo di fronte all’impossibilità di andare avanti e raggiungere un accordo. Perché noi vogliamo un aumento contrattuale, ha ribadito, mentre Federmeccanica non li vuole dare a nessun costo. Hanno proposto un sistema inaccettabile, che non prevede aumenti salariali e questo non lo accettiamo, non possiamo accettarlo.
Palombella ha osservato che aver avanzato una proposta e considerarla indiscutibile non è un’indicazione di forza, ma di debolezza. La verità, ha detto, è che la posta in gioco è il ruolo del sindacato nei prossimi anni. Ci propongono, ha ricordato, un assetto salariale che non prevede aumenti per 20 anni: se questa è la modernità, ha detto, io non voglio essere moderno. Da sindacalista esperto, sa che la partita sarà dura, ma, ha osservato, se Fiom Fim e Uil saranno unite potremo farcela.
Si è discusso molto anche della possibilità di distribuire aumenti salariali al livello nazionali che scontino un aumento generale della produttività, come ha proposto il recente documento sulla contrattazione di Cgil, Cisl e Uil. Pietro De Biasi, il responsabile delle relazioni industriali in Fca, ha osservato che questo è possibile, a patto però che non ci sia poi anche la contrattazione aziendale, altrimenti sarebbe una non-scelta. Maurizio Landini, però, non è della stessa opinione. Perché, si è chiesto il segretario della Fiom, devo preferire un sistema che coprirebbe la metà dei lavoratori quando ho adesso uno strumento, appunto il contratto nazionale, che mi consente di tutelare la totalità dei lavoratori? Va bene cambiare, cambiare anche il contratto nazionale, ma fino a un certo punto. Allo stesso modo, De Biasi ha sostenuto la necessità che il governo vari subito il salario minimo di legge, che ormai non abbiamo solo noi in Italia, e che significherebbe invece non la fine dei contratti nazionali, bensì la liberalizzazione della contrattazione. Landini ha detto di non essere contrario al salario minimo per legge, basta, ha detto, che prenda come riferimento i minimi salariali dei contratti nazionali
Si è discusso molto anche sulla possibilità di individuare l’aumento di produttività che dia luogo ad aumenti salariali. Landini ha osservato che la produttività non cresce solo in azienda e per merito dell’azienda, perché essa dipende da tante cose anche di carattere generale, come il funzionamento in generale del sistema produttivo, la capacità della macchina dell’amministrazione statale, la rete energetica e così via. E allora, ha osservato, come è possibile chiedere solo in azienda che si ridistribuiscano i proventi di questa crescita? Ha avuto il conforto di Marco Bentivogli, segretario generale Fim, che ha messo in evidenza anche il grande problema che determina la crisi della nostra economia, la carenza degli investimenti. Il sindacato, ha detto, non ha alcuna paura dell’innovazione organizzativa, specie se mixata con quella tecnologica: al contrario, il sindacato è vivo se esiste nelle fabbriche, nei reparti. E la grande trasformazione avuta con il sistema Wcm, i risultati molto positivi cui questo sistema ha dato luogo, testimoniano della bontà delle scelte fatte.
Insomma, nessuna recriminazione sulle scelte del passato, e invece, almeno per il sindacato dei metalmeccanici, grande determinazione a fronteggiare la contro-piattaforma presentata il 22 novembre da Federmeccanica. La parola quindi da domani è agli scioperi, e nessuno si aspetta sia una cosa facile.
Massimo Mascini