Stiamo procedendo a tutto vapore verso la tempesta perfetta? Il No dell’Italia al Mes, in una sorta di harakiri ideologico del populismo nostrano, aggiunge l’ultima pennellata di nero ad un orizzonte già cupo e gravido di minaccia. Di fatto, adesso navighiamo verso la burrasca, avendo deciso che era meglio lasciare i salvagente a terra. Magari, ci salverà uno squarcio di sereno. Ma, al momento, ci sono tutti gli elementi perché, nel 2024, si realizzi la saldatura fra recessione, crisi finanziaria e attacco dei mercati: l’una chiama l’altro.
Cominciamo con l’alzarsi delle onde nel mare agitato. La Bce ha, al momento, sospeso la catena di aumenti dei tassi di interesse. Che però sono ancorati a livelli impensabili un anno e mezzo fa. E gli economisti avvertono che le decisioni di politica monetaria hanno effetti a distanza di un anno – un anno e mezzo dall’entrata in vigore. La stessa Banca d’Italia calcola che, anche se i tassi bancari sono già aumentati di cinque punti, un terzo della stretta monetaria debba ancora scaricarsi sul costo del credito. Quindi, lo strangolamento dell’economia è solo a due terzi dell’effetto complessivo.
Questo, tuttavia, è solo quello che si vede ad occhio nudo. Contemporaneamente all’aumento dei tassi, la Bce ha cominciato a liquidare la montagna di titoli che aveva accumulato negli anni scorsi con il Quantitative easing. E’ facile prevedere che, se l’aumento dei tassi viene interrotto, i falchi d’Europa insisteranno perché la normalizzazione del bilancio Bce continui. Vendere titoli è, però, lo strumento classico per rastrellare liquidità, ovvero, è un’ ulteriore manovra restrittiva, perché se c’è meno liquidità a disposizione i tassi salgono ancora.
Intanto, mentre la nave Italia si inerpica sui cavalloni della politica monetaria, il vento soffia sempre più forte. Normalmente, una politica monetaria restrittiva viene compensata da una politica fiscale (sussidi, tagli di tasse, spesa pubblica) espansiva. Non è questo il caso. Innescata dalla decisione del paese più grande, la Germania di tirare ulteriormente la cinghia – un harakiri ideologico uguale e contrario a quello italiano – per mantenere immacolato il bilancio, il deficit pubblico dell’eurozona (sussidi, spesa pubblica, tagli fiscali) scenderà dal 3,1 al 2,8 per cento del Pil. Si chiama austerità, nonostante una economia già in difficoltà. E, allora, stretta nella tenaglia di politica monetaria e politica fiscale, ambedue al ribasso, l’economia europea, secondo la maggioranza degli economisti, è destinata a fermarsi: hanno rivisto la previsione sul Pil europoeo 2024 da un più 1,2 ad un più 0,5 per cento. In queste condizioni, pare molto ottimistica non solo la stima del governo italiano di una crescita italiana dell’1,2 per cento nel 2024, ma anche lo 0,8 per cento più prudenzialmente calcolato dalla Banca d’Italia.
Questo ridimensionamento ha conseguenze. Le stime di deficit e debito pubblico per il 2024 erano state tarate su uno sviluppo dell’1,2 per cento. Meno sviluppo vuol dire meno tasse per l’erario e meno risorse disponibili. I parametri di deficit e debito, già accolti con malumore a Bruxelles perché considerati troppo alti sono destinati a peggiorare.
Da questo punto in poi, il problema non sono più dati e numeri, ma la psicologia: della Commissione, degli altri governi e dei mercati. Il nuovo patto di stabilità che sta per nascere fornisce un po’ di tempo per rimettere i conti sul binario giusto, ma l’obiettivo è un deficit pari all’1,5 per cento del Pil, e l’Italia si sta avviando a gran velocità in direzione opposta. Le agenzie di rating, gli operatori dei mercati potrebbero credibilmente trarne la conclusione che la situazione stia uscendo di controllo, votando contro i titoli italiani e facendo salire il costo del nostro debito e volare lo spread.
Dunque, la situazione sarebbe la seguente: la nave Italia sballottata dalle onde (Bce), trascinata dal vento (austerità), in perdita di velocità (recessione) che rende sempre precario mantenere la barra del timone sulla rotta, sbattuta da un gorgo ad un mulinello (mercati e agenzie di rating), che fa? Mettiamo che chieda aiuto alle navi vicine.
Dopo la clamorosa spernacchiata sul Mes, difficile che, come ha previsto il ministro del Tesoro, Giorgetti, “non ce la facciano pagare”. Quanto meno sottoponendoci ad una penosa lista d’attesa o esigendo aggiustamenti pesanti (o anche tutt’e due) o mettendoci sotto tutela in misura assai più vincolante di quanto sarebbe avvenuto con il nuovo Mes. Ma, se gli altri governi non si muovono o finché non si muovono, anche la Bce sarebbe assai riluttante a mettere in campo il Trasmission Protection Instrument, lo strumento nuovo di zecca, ideato per tamponare crisi sui mercati ma che, però, prevede una intesa con le altre istituzioni europee sul percorso di aggiustamento dei conti. In due parole, puoi dire no al Mes solo se sei sicuro di non averne mai bisogno. Per l’Italia è sempre una scommessa azzardata.
Perché, nella tempesta perfetta, anche l’Sos può andare buca.
Maurizio Ricci



























