Dopo la grande paura, i ripensamenti. Il coronavirus in poche settimane ha sconvolto l’Italia. Il timore di una pandemia ha spinto a comportamenti sopra le righe, spesso in eccesso. Scuole chiuse, aeroporti vuoti, aziende ferme. Le autorità, sanitarie e politiche, hanno agito prontamente. Forse con un eccesso di interventismo, a volte andando al di là del necessario, ma nel complesso hanno fatto quello che le persone si attendevano facessero. Adesso però un po’ tutti stanno facendo una rapida marcia indietro. Un po’ perché si sono, ci siamo resi conto che pandemia non era, un po’ per evitare comportamenti esagerati che avrebbero potuto portare più danni di quanti ne avrebbero evitati. Il nuovo timore è che il danno economico, perché le attività produttive sono state fermate e i partner commerciali reagiscono male, sia molto forte, forse insopportabile. “Non rischiamo di morire di coronavirus, ha detto il presidente degli albergatori, ma di morire di fame”.
Tanto è vero che tutte le forze economiche e sociali, industriali, commercianti, artigiani, cooperatori, banchieri e sindacati, tutti assieme hanno sentito il bisogno di sottoscrivere un appello generale alle forze politiche perché si cambi strada, per evitare il diffondersi di immagini del nostro paese che ci danneggino in maniera forte e permanente. Un intervento inusuale, forte, che ricorda da vicino un identico appello che banche, imprese e sindacati lanciarono nel luglio del 2011 al governo in carica chiedendo misure che impedissero il tracollo finanziario del nostro paese. A Palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi che stentava a opporsi con misure adeguate alla speculazione finanziaria internazionale che scommetteva contro il nostro paese e magari anche per il fallimento della costruzione europea.
Lo spread correva oltre quota 500 e il governo era praticamente immobile, attonito, incapace di prendere una decisione. Ci pensò pochi giorni dopo la Bce con la famosa lettera firmata dal presidente Claude Trichet e dal suo successore (già designato) Mario Draghi che dettò al governo italiano una serie di interventi, tutti diretti a rafforzare l’economia del nostro paese e a fronteggiare in maniera adeguata quella azione speculativa. Provvedimenti poi tutti adottati, dal governo di Berlusconi e da quelli che lo seguirono.
Oggi, come allora, si è sentito il bisogno di dare una sveglia al governo. Non perché questi non si sia mosso con solerzia, ma perché la situazione economica è grave e servono interventi di vero sostegno all’economia. L’Italia è uscita abbastanza malconcia dalla grave crisi economica dello scorso decennio, si stava riprendendo con difficoltà e tanti passi indietro, ma gli effetti di questa epidemia rischiano di farci arrivare a un tracollo vero e proprio. Non a caso le forze produttive e sociali chiedono un vero grande piano di rilancio degli investimenti, pubblici e privati, che faccia ripartire l’economia. Un piano di cui si discetta da anni, su cui tutti sembrano d’accordo, che però nei fatti non riesce a vedere la luce. La ritrosia dei 5Stelle nei confronti delle grandi opere da sola non basta certo a spiegare questo blocco, evidentemente c’è dell’altro.
Difficile dire se questo appello resterà chiuso in un cassetto o se davvero qualcosa accadrà. In linea di massima è possibile che abbia un seguito, perché se tutte le realtà associative del paese decidono di mettersi in moto la politica non può far finta di niente. Anche perché non bisogna dimenticare che il 2020 sarà costellato da una serie di importanti elezioni per il governo di alcune importanti regioni, il cui esito sarà determinato anche e soprattutto dall’andamento dell’economia. La gente, gli elettori non vogliono morire e nemmeno ammalarsi di coronavirus, ma soprattutto vogliono vivere bene, avere un lavoro, non rinunciare ai loro grandi o piccoli agi. Se non hanno riscontri su questi terreni fanno presto a cambiare partito.
Comunque sia, da questa emergenza usciremo. Se l’Oms ha decretato che in Cina è stato superato il picco superiore, se quindi la malattia è già in regressione dove è scoppiata, anche da noi tutto finirà. Il punto è che da questa influenza usciremo cambiati e non in meglio. La tendenza generale in questi mesi è stata infatti quella di chiudersi, di interrompere i contatti, di rinserrarsi ciascuno nel proprio guscio, la propria casa, il proprio paese, la propria regione. Evitare i contatti significa non vedere le persone, non parlare con gli altri, stare soli. Proprio il contrario di quanto si sta cercando di fare da qualche anno proprio per evitare gli isolamenti, che impoveriscono le persone, avviliscono, impediscono la crescita culturale e di conseguenza anche quella economica. La partecipazione, la collaborazione, il dialogare sono le caratteristiche cui si è cercato di improntare la società. Per uscire da quell’isolamento che tanto male ha fatto a tutti noi, quando l’imperativo era restare a casa da soli a vedere la tv (meglio quella commerciale). Abbiamo cercato di cambiare strada, adesso arriva un comando opposto. È questo che dobbiamo combattere, che gli sforzi di tanti anni siano vanificati da un eccesso di paura per una malattia che forse è meno grave di quanto abbiamo creduto e stiamo tuttora credendo.
Massimo Mascini