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Home - Approfondimenti - Interviste - Dopo la tragedia di Firenze: cosa è successo, come si poteva evitare. Parla Alessandro Genovesi, leader degli Edili Cgil

Dopo la tragedia di Firenze: cosa è successo, come si poteva evitare. Parla Alessandro Genovesi, leader degli Edili Cgil

di Nunzia Penelope
20 Febbraio 2024
in Interviste
Crollo Firenze, Landini: le regole degli appalti siano uguali per pubblico e privato. Mercoledì 21 in piazza a Firenze insieme a Bombardieri

“Con la patente a punti oggi probabilmente quelle aziende non avrebbero potuto avere l’appalto Esselunga; con una congruità anche su tempi e modi di esecuzione ci sarebbe un limite allo sfruttamento del lavoro; con l’obbligo alla timbratura si saprebbe chi e quanto tempo lavora in un cantiere”. Alessandro Genovesi, segretario generale della Fillea, gli Edili della Cgil, sta preparando lo sciopero che si terrà mercoledì 21, assieme ai metalmeccanici, come reazione alla tragedia di Firenze. Il volantino che il sindacato sta diffondendo, prodotto in molte lingue diverse, per raggiungere il più possibile il variegato popolo degli edili, dice che non è più il momento del cordoglio: è il momento che il Governo, le imprese e le loro associazioni di rappresentanza, si assumano le responsabilità: massimo ribasso, appalti a cascata, mancanza di controlli, precarietà del lavoro, sono conseguenze di scelte, non una fatalità.

A Firenze, da quel che si sa, sembra sia crollata una trave, trascinando giù i solai. In quale passaggio si può presumere che non sia stata non rispettata la sicurezza? Vi siete fatti un’idea?

Difficile farsi un’idea: i nostri delegati a Firenze ci hanno detto testualmente che le macerie del cantiere ‘’sembrano Gaza’’. Ma qualcosa si può dire. Per esempio, che la sicurezza in edilizia c’entra anche nell’organizzazione del lavoro. Il contratto edile prevede non solo la formazione professionale, con i patentini, e la formazione sulla sicurezza vera e propria, ai lavoratori, con un pacchetto di ore preciso, ma anche una organizzazione del lavoro studiata appositamente per gestire la contemporaneità sul cantiere di squadre diverse con attività diverse, che devono sempre essere tutte coordinate tra loro. Per capirsi: è pompista che fa il getto di cemento ma è il carpentiere che gli dice se è il momento di farlo, e dove farlo. Se questo passaggio non avviene correttamente, è possibile che una trave non perfettamente ‘’asciugata’’, sotto il peso di un getto di cemento venga giù. Per questo è indispensabile che ci sia chi coordina il tutto: le diverse squadre, i singoli operai, eccetera. Quello che probabilmente, da quello che si sa al momento, è mancato a Firenze.

C’erano, sembra, 40 o 60 imprese a lavorare in quel cantiere. Come è possibile?

Questo è un altro discorso ancora. A forza di deregolamentare la catena degli appalti, e non intervenire sugli appalti privati, siamo al punto che non si riesce a capire quali e quante ditte sono in un cantiere. Oltretutto, è anche probabile che buona parte fossero ditte individuali. Cioè manovalanza, ma a partita Iva. Spiego meglio. In un cantiere si può risparmiare su tre voci: costo del lavoro, che pesa per circa il 25 per cento sul totale dei costi, sui materiali, che valgono circa il 60 per cento, e sulla sicurezza, che vale all’incirca un altro 5 per cento. Per risparmiare sul costo del lavoro si può ricorrere al sistema delle ditte individuali: cioè prendi un piastrellista, per dire, ma non lo assumi, gli fai aprire la partita Iva e lo paghi a fattura. Per cui capita che risulti un gran numero di ditte coinvolte a cascata. Una squadra di sette operai può essere composta in realtà da sette ditte individuali.

Non è un assurdo che ci siano regole differenti tra pubblico e privato? Che se la stessa azienda prende un appalto pubblico deve rispettare alcune regole, e se invece prende un appalto privato no? Ha senso questo doppio regime?

È vero, oggi il cantiere di un appalto pubblico è più tutelato rispetto a uno di un appalto privato. Per riunificare il tutto basterebbero quattro righe: nelle quali affermare che gli articoli 11, 41 e 119 del codice degli appalti pubblici sono applicati anche al settore privato quando un appalto superi i 70mila, euro di valore, cioè la cifra in base al quale scatta il Durc di congruità.

Sotto accusa anche la cronica carenza dei controlli: lavoratori in nero, altri assunti col contratto dei metalmeccanici, e questo non nel profondo sud ma nel centro di Firenze.

A me intanto sembra strano che un cantiere così grosso, di una società come Esselunga, nel centro di Firenze, non sia stato visitato. Quanto agli assunti con contratto dei metalmeccanici: se il cantiere fosse stato a un livello più avanzato sarebbe stato normale che ci fosse anche personale con contratto da metalmeccanico: per fare gli impianti, per esempio. Ma a Firenze erano ancora alle prime fasi della struttura, è più probabile che li abbiano assunti con quel contratto per risparmiare, visto che quello metalmeccanico costa circa il 14 per cento in meno del contratto edile. Quanto al lavoro nero, grazie al Durc di congruità dal 2021 si è già ottenuto di far emergere circa 90 mila lavoratori.

La titolare del Lavoro, Marina Calderone, ha aperto alla possibilità di introdurre il reato di omicidio sul lavoro nel codice penale. Siete d’accordo?

Assolutamente si. È una proposta che abbiamo avanzato proprio noi. Come per l’omicidio stradale, che può essere colposo, o doloso, se ci sono determinate aggravanti, cosi anche quello sul lavoro: se emerge che non sono state seguite le regole sulla sicurezza, per dire, da colposo passa a doloso, e questo significa pene più alte, sopra i 5 anni, quindi possibilità concreta se condannati di andare in prigione, e possibilità di subire il sequestro dei beni anche in attesa del processo stesso. Oltretutto, adesso il 99% dei processi finisce prescritto, e comunque nessuno va in prigione.

Nunzia Penelope

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Vicedirettrice de Il Diario del lavoro

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