Il dibattito intorno al rapporto tra welfare pubblico e contrattuale ha ormai perso, da tempo, i contorni di una mera disputa accademica, diventando un tema caldo nell’agenda delle parti sociali. Se infatti il concetto di welfare, a un primo sguardo, potrebbe apparire lontano dalla concretezza della quotidianità, basta tradurlo e pensarlo sotto forma di servizi, assistenza sanitaria, asili nido, per capirne immediatamente la ricaduta sulla vita delle persone. È stata questa la prospettiva che ha guidato la presentazione del volume n. 2/2017 della Rivista delle Politiche Sociale, che si è svolta ieri a Roma presso la sede della Spi Cgil Nazionale.
La governabilità è stato il primo elemento emerso nel corso del dibattito. Una buona governance dovrebbe tradursi nella capacità di tutti gli attori coinvolti nel saper gestire i grandi cambiamenti del welfare occupazionale, rendendoli capaci di innescare processi di incastro virtuoso con la sfera pubblica. Compito arduo, che necessità di driver di riferimento per valutarne l’impatto. Un test che per gli autori della rivista deve rispondere alle “3 E”: efficienza, efficacia e equità. Nel valutare ogni iniziativa che rientra del perimetro del welfare contrattale dovremmo essere in grado di dire se essa può essere svolta con un minor costo rispetto alla sfera pubblica, se persegue gli stessi risultati e se non rischia di alimentare diseguaglianze sociali.
Il principale fattore di rischio quando si parla di welfare contrattuale è che esso vada a riprodurre, se non ad aumentare, gli squilibri già presenti nel sistema pubblico e nel mercato del lavoro. Differenze tra insider e outsider, precarizzazione dei percorsi lavorativi, squilibri nelle copertura sociali, divari territoriali rappresentano tutti quelle insidie che possono rendere il welfare contrattuale un Giano Bifronte, un pharmakon dagli effetti sia positivi che venefici.
Una sfida che non può non vedere in prima fila il sindacato, come ha sottolineato Franco Martini, segretario confederale della Cgil. Il welfare contrattuale, oltre incidere su quello pubblico, sta modificando, se non scardinando, alcuni istituti della contrattazione, come il trade off con il salario. C’è inoltre il rischio di una dualizzazione tra settori occupazionali forti e deboli, così come tra fasce di lavoratori altamente tutelati e quelli che lo sono di meno. Dunque, per Martini, il sindacato dovrebbe prima di tutto porsi come soggetto capace di arginare due componenti potenzialmente intrinseche nel welfare contrattale: l’esclusività e l’esclusione.
La funzione regolativa della contrattazione, tema ribadito da Cristian Sesena, segretario nazionale della Filcams-Cgil, dovrebbe manifestarsi anche nel selezionare il tipo di welfare che si vuole offrire ai lavoratori. Benefit per il wellness e il tempo libero mal rientrano nell’idea di prestazioni sociali, e certamente non vanno a incidere né sulle diseguaglianze né colmano le lacune del welfare pubblico.
Altro punto caldo è quello legato agli incentivi e sgravi fiscali. Se ci vogliamo muovere nel solco delle “3 E”, guardando nello specifico all’equità, questa mal si concilia con la prospettiva che delle risorse pubbliche vengano erogate per finanziare delle misure che saranno fruite non dalla collettività, ma da un ristretto gruppo. Le scelte del legislatore in materia fiscale dovrebbero essere orientate, secondo i due sindacalisti e alcuni autori della rivista, maggiormente verso quegli istituti che possono avere una ricaduta anche sull’ambiente circostante.
Accanto dunque ai molti fattori di rischio permangono, tuttavia, degli elementi di innovazione. Nell’ambito degli interventi per favorire il work-live balance e dunque anche una maggiore equità di genere nel mercato del lavoro, le misure adottate al livello d’impresa, molto spesso, si rivelano essere anticipatorie rispetto agli interventi del legislatore in materia. Soprattutto l’appello di Martini al sindacato è stato quello di evitare di demonizzare il welfare contrattuale mantenendo, al contempo, la giusta sobrietà nel valutarlo, rispetto al diffuso invaghimento che, da tempo, si è manifestato riguardo al tema.