Sono almeno trent’anni che gli operai fanno notizia solo quando si tratta di raccontare le loro lotte disperate contro la chiusura della fabbrica dove lavorano. Non è successo solo alla Whirlpool di Napoli, all’ILVA di Taranto e per le eterne e grottesche vertenze dell’Alitalia. Altre migliaia di aziende minori sono state chiuse in questi anni, e decine e decine chiudono ogni anno senza riuscire a strappare nemmeno un trafiletto dalla cronaca locale.
Anche la multinazionale Electrolux ha conquistato gli onori della cronaca quando, a partire dagli anni Novanta, sotto la minaccia di andarsene dall’Italia, riusciva a strappare al sindacato accordi sulla riduzione dell’organico e la delocalizzazione delle produzioni, costringendolo a convincere gli operai, prendere o lasciare, ad accettare le loro condizioni. Electrolux ci ha riprovato, ancora una volta, in occasione della richiesta di rinnovo, dopo 14 anni, del premio di risultato avanzata da FIM FIOM UILM nazionali, chiedendo di spostare a livello nazionale materie inerenti la flessibilità del lavoro spettanti alle RSU di fabbrica. Invece, è accaduto che l’accordo tra le parti concluso il 23 aprile, sottoposto a referendum confermativo, è stato respinto: con il totale disappunto di Electrolux che certo non se l’aspettava. Finisce così un’epoca di relazioni industriali in cui a dettare le regole era sempre Electrolux. La logica del ricatto al sindacato sulla delocalizzazione dei posti di lavoro e delle produzioni, ora che Electrolux ha deciso di reinvestire nell’Area Padana, è stato un autogol.
In questi ultimi anni l’organizzazione del gruppo svedese in Italia è molto cambiata. Si tratta di un’impresa certamente all’avanguardia sotto il profilo dello sviluppo del prodotto e della ricerca, ma che continua a scaricare sul lavoro tutto il peso delle incongruenze in capo all’andamento del mercato e ai ritardi nei tempi di arrivo delle forniture di montaggio del prodotto finito realizzate – per ragione di costi e di profitto – soprattutto in Asia e nell’Est Europa. In Italia di recente il Gruppo si è poi suddiviso per linee di prodotto. La società Electrolux-Italia (996 milioni di fatturato nel 2019) raggruppa i cinque stabilimenti di elettrodomestici con 5.153 dipendenti compreso quello di Porcia (Pordenone). Electrolux-Professional – società controllata direttamente dall’azionista svedese – settore comunità ed alberghi, (332 milioni di fatturato nel 2019) comprende 921 dipendenti a Pordenone e 114 a Spilamberto in provincia di Modena. Al momento, nello stabilimento di Porcia lavorano 1.719 persone nella parte produttiva in capo alle lavatrici alto di gamma; oltre 1.000 come sede del quartier generale Electrolux per l’Italia, Centro di ricerca e innovazione e Innovation Factory. All’interno sono presenti altre società del territorio del settore logistico, commerciale, direzionale e dei servizi che fanno salire a 3.200 le persone occupate nell’area inutilizzata della grande fabbrica ex Zanussi. A Porcia, ad esempio, ha trovato sede la direzione e il settore progettazione tecnica del Gruppo Cimolai (1.500 occupati, 500 milioni di fatturato): un’eccellenza mondiale nel campo dell’ingegneria delle infrastrutture metalliche, impegnata in questo momento sulle Ande cilene nella costruzione del più grande telescopio del mondo. A Susegana (TV) è iniziata la realizzazione della nuova fabbrica di frigoriferi per un investimento di 137 milioni di euro e altri 23 milioni negli altri stabilimenti del gruppo. Come accennato, questa macchina quasi perfetta ha come proprio tallone d’Achille l’incertezza per quanto riguarda i tempi di consegna delle forniture per l’assemblaggio dei prodotti finiti Electrolux in Italia che arrivano molto spesso da Cina, India ed Est Europa. Per aggirare l’ostacolo legato all’incertezza nei tempi di consegna delle forniture e dell’andamento della domanda dei mercati, l’accordo siglato il 23 aprile stabilisce come soluzione che le materie fino ad oggi trattate in ogni singolo stabilimento dalle RSU aziendali in caso di contrasto tra le parti a livello d’azienda, siano trasferite alle segreterie sindacali nazionali. Le RSU di stabilimento rimangono titolari come sede della trattativa a livello di fabbrica, ma all’interno di nuove regole: dieci giorni per la risposta delle RSU di fabbrica all’azienda alla richiesta di straordinario anche per singola linea, reparto o turno a titolo di flessibilità; cinque giorni quando, a discrezione dell’azienda, la richiesta di esonero allo straordinario del singolo lavoratore che dovrà attendere a problemi quali l’accudimento di famigliari o per motivi personali debitamente documentati e potrà essere rifiutata quando l’assenteismo supera il due per cento dei lavoratori previsti in organico. Inoltre, l’azienda può intervenire sull’utilizzo dei permessi personali, i cosiddetti P.A.R, e di spostare a livello nazionale anche il calendario delle ferie annuali e tutte le controversie che ostacolano gli accordi sulla flessibilità nell’uso della forza lavoro. Contro tali richieste le RSU degli stabilimenti di Susegana-Treviso, Forlì e Solaro (Lombardia) avevano indetto uno sciopero al quale non hanno aderito le RSU di Porcia e di Cerretto d’Esi (Fabriano-Ancona). Come contropartita alla nuova intesa il Gruppo ha concesso un aumento lordo del premio di risultato di 200 euro l’anno per ciascuno dei prossimi quattro: una cifra tuttavia insufficiente a recuperare la perdita di valore del premio risalente a quattordici anni prima. L’accordo del 23 aprile, ponendo dei limiti all’autonomia contrattuale delle RSU di fabbrica, ha determinato la nascita di un “Fronte del NO”, nel frattempo costituito, che manifesta il suo dissenso attraverso un volantino distribuito ai cancelli degli stabilimenti di Susegana, Forlì, Solaro e Porcia, al quale fa seguito una risposta delle RSU di Porcia che invitano i lavoratori ad esprimersi per il SÌ.
Nel referendum del 15 maggio tra 5.153 lavoratori del Gruppo Electrolux-Italia il NO prevale con 1.757 contrari (nonostante i 595 voti favorevoli nello stabilimento di Porcia e i 126 di Cerretto d’Esi) e 1.472 per il SÌ. Il 23 giugno scorso, dopo due mesi discussione tra i vertici nazionali dei metalmeccanici ed Electrolux per ottenere la modifica al testo dell’accordo del 23 aprile, salta la clausola dello straordinario obbligatorio a livello di fabbrica prevista in quel testo e viene reintrodotta l’obbligatorietà di un accordo con le RSU di stabilimento. Per ottenere questo risultato il sindacato ha dovuto rinunciare all’impegno assunto, con una lettera alle segreterie nazionali, di trasformare in contratti a tempo indeterminato 100 degli attuali 600 contratti a termine. Una vera e propria vendetta.
Ma a preoccupare maggiormente è quello che sta accadendo a Porcia. Appena qualche giorno dalla vittoria del SÌ alle elezioni per il rinnovo delle RSU di stabilimento, la FIOM è stata battuta per la terza volta di seguito. Ancora una volta è arrivata prima la UILM con nove eletti tra gli operai (il 46 per cento degli elettori operai) e uno tra gli impiegati. La FIOM è arrivata seconda con sette eletti tra gli operai e uno tra gli impiegati; terza la FIM con tre eletti tra gli operai e uno tra gli impiegati. La UILM elegge 10 dei 22 delegati previsti. La UILM e la FIM sono prime anche per il numero di consensi fra i candidati più votati: il primo e il secondo eletto della UILM ottengono rispettivamente 167 e 136 preferenze, il primo della FIM 130 e i primi due della FIOM rispettivamente 109 e 49 voti personali. Eppure, i candidati della FIOM sono conosciuti dai lavoratori per il loro impegno nel dare risposte ad ogni singolo operaio nel rapporto con l’azienda e anche nel far conoscere i servizi che la CGIL offre ai lavoratori iscritti e no.
Infatti, basta esaminare il conteggio del NO all’accordo dello stabilimento di Porcia che ha che ha ottenuto 254 voti, e il voto alla FIOM alle elezioni per le RSU che invece ammonta a 262, per capire che alcuni sostenitori della CGIL hanno votato contro l’accordo.
Il NO ha vinto perché la FIOM degli altri stabilimenti conduce da anni unitariamente ai delegati FIM e UILM una battaglia affinché la fabbrica rimanga il luogo delle decisioni e del confronto sulla flessibilità e l’organizzazione del lavoro, e non solo, ma anche per diffondere in Electrolux un pensiero critico sulla robotizzazione della fabbrica. Le macchine ci devono aiutare, non sostituirci. In questo momento, per evitare che le macchine facciano sparire non solo l’uomo, ma anche la stessa umanità, bisogna decidere come governare gli sviluppi dell’automazione.
Infatti, è davvero curioso che nel testo dell’accordo del 23 aprile non compaia una sola volta la parola Robot. Eppure, è da tempo che il profitto di Electrolux nelle fabbriche di Susegana e di Porcia scorre lungo un tratto dove da un lato delle catene di montaggio lavorano gli operai e, dall’altro, ci sono i Robot installati di fronte all’operaio. Ma in queste tecnologie che prevedono, attraverso la robotizzazione delle mansioni, una costante interazione tra l’uomo e il digitale, il lavoro umano viene declassato a fattore meccanico e deprivato di qualsiasi margine umano, compreso quello di pensare criticamente e del diritto di intervenire sullo svolgimento del processo produttivo. Molto spesso nelle multinazionali, come la nostra Electrolux, il pensiero critico è vissuto come una minaccia. A indisporre Electrolux è sempre quella libertà di critica e di proposta che viene dai rappresentanti sindacali dei lavoratori degli stabilimenti italiani della multinazionale e, in particolare, degli operai che lavorano alle catene di montaggio. Ed è facile a comprenderlo osservando dall’interno delle fabbriche il processo di lavoro legato all’impiego dei robot. I tempi sono senza dubbio moderni ma i ritmi rimangono antichi. Anzi, la nuova ritmica operaia, essendo molto più “scientifica” della precedente, mette ancor più a dura prova la resistenza psicofisica dei lavoratori. Infatti, il principio che governa il funzionamento delle catene di montaggio è rimasto sempre lo stesso: quello del tempo necessario per compiere un gesto capitalisticamente profittevole. Nello stabilimento di frigoriferi di Susegana il ritmo di velocità delle catene è stato calcolato per una fase lavorativa dell’operaio di 30 secondi per frigorifero e una produzione di 104 pezzi all’ora. Per quanto riguarda il montaggio esso è svolto in parte dai robot e in parte dall’operaio. E questo vale sia per le lavatrici dello stabilimento di Porcia sia per i frigoriferi a Susegana.
Con una fase di lavoro di 36 secondi le lavatrici–ora per operaio sono 96. Inoltre, se prima dell’impiego dei robot i componenti di montaggio più pesanti venivano inseriti all’interno delle lavatrici e dei frigoriferi dallo stesso operaio, ora la “minore” fatica fisica richiesta all’apparato muscolare dell’operaio, grazie all’impiego dei robot, viene recuperata, sfruttata e ridistribuita aumentando i ritmi di lavoro delle singole mansioni. Il vantaggio per l’azienda è un aumento dei pezzi per ora lavorati per operaio. Gratis. Ma le nuove tempistiche delle catene hanno per il lavoratore come effetto collaterale un progressivo logoramento psicofisico della persona: stress psicologico da reiterazione ma, soprattutto, patologie legate alla ripetitività lavorativa come dolori alle cervicali, alla colonna vertebrale, epicondilite e tunnel carpale. Patologie che interessano soprattutto le donne ma anche molti impiegati con carichi di lavoro altrettanto stressanti e continuativi.
A Susegana Electrolux ha assunto oltre cento ingegneri per la costruzione della nuova fabbrica nella quale il dominio del profitto e delle macchine andrà chiaramente a tutto svantaggio dei lavoratori.
Mancano i tecnici, continua a lamentarsi Confindustria. Eppure, alle catene di montaggio dei soli stabilimenti di Porcia e di Susegana ci sono 1.500 persone ritenute “dequalificate”, sebbene le loro mansioni interagiscano quotidianamente con l’intelligenza artificiale dei robot. Anche questo “dettaglio” conferma che il futuro della contrattazione dovrà necessariamente svilupparsi a partire dalle imprese attraverso proposte e battaglie per una ricomposizione del lavoro e per una piena valorizzazione del lavoro umano nonostante il crescente sviluppo dell’intelligenza artificiale applicata alle macchine.
Giannino Padovan



























